Orfeo: l'apollineo e il dionisiaco (I parte) (PSICOLINGUISTICA) ~ di Renato Proietti - TeclaXXI
PSICOLINGUISTICA/MITO
ORFEO: L’APOLLINEO E IL DIONISIACO
di Renato Proietti
I PARTE
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Figlio della musa Calliope che si unì, fra
gli altri, col dio Apollo, non è chiaro se Orfeo fosse figlio di quest’ultimo o
se fosse invece figlio di Zagreo[1], divinità agreste; di
sicuro, Orfeo ebbe in dono da Apollo la Lyra, strumento che Hermes aveva
inventato e donato ad Apollo per rifonderlo del furto della sua mandria.
È più probabile la discendenza da Zagreo, la
quale spiegherebbe l’ascendente che Orfeo ebbe su Persefone, madre di Zagreo e
quindi sua nonna, e il suo accostarsi al culto dionisiaco. Dioniso altri non
fu, infatti, che la reincarnazione di Zagreo. Secondo una delle tante narrazioni
che circondano la nascita di Dioniso (quella raccolta nei miti orfici), la
predilezione di Zeus per Zagreo fece sì che Era, come al solito gelosa,
chiedesse ai Titani di sopprimerlo. Questi lo fecero a pezzi, ma i pezzi furono
ricomposti da Apollo e Atena riuscì a trovare il cuore e portarlo a Zeus.
Secondo alcuni Zeus diede il cuore da mangiare a Semele, secondo altri fu lui
stesso a mangiare il cuore di Zagreo prima di unirsi a Semele: da questa nacque
Dioniso, che, come Zagreo, fu divinità agreste, dio delle passioni, della
fertilità e del vino.
Orfeo risentì quindi sia dell’ascendenza
di Zagreo–Dioniso che dell’influenza di Calliope e Apollo, dell’esaltazione del
corpo, della carne e della passione orgiastica mediata dal suono dell’aulos,
suonato dai satiri che facevano parte della corte di Dioniso così come
dell’ordine e dell’armonia apportata dalla ragione che crea le arti e la
musica. Chaos come opposto a Kosmos, ebbrezza opposta a razionalità.
L’influenza di Apollo dona a Orfeo una
capacità affatto particolare, quindi: egli è forse il primo eroe «culturale»,
che attraverso la musica e le parole riesce a parlare all’anima (psyché)
dell’uomo, riuscendo ad addolcirne e ammansirne gli impeti. Fu proprio per
questa sua capacità che Giasone lo volle con sé nell’impresa sull’Argo.
L’eccelso cantore e poeta riuscì non solo a placare la rivalità interna alla
schiera di forastici eroi, ma anche ad addolcire l’animo delle Sirene, di
Tifone e persino delle Rocce Simplegadi, che sbattevano di continuo fra di loro
fracassando le navi che tentavano di attraversare Ponto Eusino, posto all’ingresso
del mar Nero.
Abbiamo quindi un primo elemento costitutivo
di quelli che saranno i misteri orfici: la sussistenza di un’anima, separata
dal corpo, che è immortale e che può essere reincontrata nell’aldilà.
Per l’orfismo questo rappresenta un
elemento umano, che lo distingue sia dal mondo animale che dal divino: Orfeo,
al ritorno dall’impresa degli Argonauti, si ricongiunge ai sacerdoti di Dioniso,
ma con una missione del tutto diversa e personale. La sua religione misterica,
pur non rinnegandola, rifugge la retorica dionisiaca dell’estasi selvaggia alla
ricerca di una dimensione più profonda dell’amore.
Dimensione che si concretizzerà, per lui,
nell’incontro con Euridice, la più bella delle Driadi, ninfe dei boschi. Nel
pieno dei riti orgiastici fa il suo ingresso la monogamia: d’ora in poi la Lyra
di Orfeo suonerà solo per la sua Euridice.
UN
PASSAGGIO FONDAMENTALE
Si può forse leggere in questa versione
del mito il passaggio antropologico dall’estro al mestruo: il sapiens, attraverso
la comparsa del linguaggio, avverte lo svilupparsi di quelle tendenze affettive
che diventano sentimenti coscienti, caratterizzando ciascun individuo
come tale, una persona unica con una sua anima che potrà sopravvivere al
corpo. La femmina non è più dominata dall’estro, e allo stesso tempo diventa
recettiva tutti i giorni dell’anno ma fertile solo in un periodo limitato. È
controintuitivo leggere in tutto ciò l’adattamento progressivo della specie alle
nuove esigenze di riproduzione e allevamento della prole; è un’altra esigenza a
emergere: la necessità, avvertita dagli umani, di accoppiarsi non soltanto nel
dominio del corpo ma in quello dell’anima, cercando quella che ancora oggi
chiamiamo l’«anima gemella» o «l’altra metà della mela» (con un chiaro
riferimento al mito dell’androgino), non già opposta, bensì complementare.
La sessualità si accoppia all’amore in quanto la recettività continua
garantisce al maschio, che non segue alcun ciclo, la soddisfazione della spinta
sessuale – mentre la femmina, libera dalla spinta dell’estro, dedicherà la
maggior parte della vita all’accudimento. Chiaro quindi che l’amore apollineo
non sostituirà il furore dionisiaco… ognuno di noi nella vita dovrà fare i
conti con queste due dimensioni!
È quello che si esplicita nella parte del
mito che narra l’amore di Orfeo ed Euridice: l’unione fra i due non è ben
accolta dalle Menadi, sacerdotesse di Dioniso, le quali, pur non conoscendo
l’amore, sembrano conoscere bene la gelosia… Si raggiunge infine un accordo: le
nozze saranno festeggiate con rito dionisiaco!
Ma proprio quella sera, mentre il suono
della Lyra si confonde con quello dell’aulos, il pastore Aristeo, anch’egli
figlio di Apollo (e quindi fratello di Orfeo), invita Euridice a danzare con
lui, se ne invaghisce e, reso ebbro dal vino (ricordiamo che il nome latino di
Dioniso è Bacco, e di conseguenza quello delle Menadi è Baccanti),
la rincorre per possederla. Scappando, Euridice pesta una serpe che la morde su
un piede, uccidendola sul colpo.
IL
VIAGGIO NELL’ADE
È la parte del mito per cui Orfeo è
universalmente noto: la forza dell’amore che può sconfiggere la morte. Orfeo
decide di scendere agli Inferi e grazie al suono della Lyra riesce a convincere
Caronte e a placare Cerbero, per un attimo Tantalo può dissetarsi e sfamarsi, Sisifo
si riposa appoggiandosi al suo macigno e la ruota di Issione si ferma… finché
non arriva al cospetto di Ade e di Persefone, madre di Zagreo (e quindi sua
nonna) la quale, forse memore del suo rapimento, è più propensa ad accogliere
la sua richiesta di lasciargli ricondurre Euridice fra i vivi. Ade non può
contraddirla, ma pone la condizione che si rivelerà ferale: Orfeo non dovrà
girarsi a guardare Euridice finché questa non sarà uscita fuori dal mondo degli
Inferi!
Da allora, chiunque si sia occupato del
mito si pone la domanda senza risposta… perché proprio a due passi dall’impresa
Orfeo si gira?
Chiaro che una risposta definitiva non
esisterà mai… la mia è ispirata ai Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese e
alle fasi di elaborazione del lutto di Sigmund Freud.
Pensavo
alla vita con lei, com’era prima; che un’altra volta sarebbe finita. Ciò ch’è
stato sarà. Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si
portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora?
Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora dissi «Sia
finita» e mi voltai. Euridice scomparve come si spegne una candela. Sentii
soltanto un cigolìo, come d’un topo che si salva.[2]
Il
viaggio di Orfeo si svolge in una dimensione onirica, dove Orfeo – chiedendosi
se valga la pena sottoporre nuovamente Euridice e sé stesso alle sofferenze
della vita – assume un rapporto più maturo con la dimensione dell’amore. Del
resto, la scoperta del culto dei morti sta a testimoniare la nostra necessità
di mantenere un rapporto affettivo anche con l’immagine ideale che abbiamo
della nostra persona amata.
L’amore non sconfigge la morte, più
semplicemente ne annulla l’effetto sulla nostra necessità di mantenere un
legame di prossimità, attraverso il ricordo, con la persona scomparsa. La fase
onirica rappresenta perciò la prima parte dell’elaborazione del lutto: la
negazione.
Andandola a cercare Orfeo ne nega la
scomparsa.
Ma quando sono vicini alla luce è come se
Orfeo si risvegliasse dal sogno: accetta la morte come parte ineliminabile
della vita, e qui inizia la fase della disperazione.
Riuscirà ad uscirne? Secondo alcune
versioni del mito no, rimarrà per sempre chiuso in sé stesso, secondo altri
reinvestirà affettivamente nell’amore omosessuale; il suo comportamento
comunque provocherà l’ira e lo sdegno delle Baccanti le quali, irritate dal suo
rifiuto a riversare in loro la sua passione, lo uccideranno smembrandone il
corpo.
Nel prossimo articolo, approfondiremo l’analisi
del mito nella figura delle Baccanti (continua)
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RENATO PROIETTI
BIONOTA
65 anni, psichiatra e psicoterapeuta, a tempo perso attore amatoriale... A tempo pieno marito e padre. Studioso di Scienze della cognizione, dedico il poco tempo libero alla ricerca e alla riflessione epistemologica: coscienza e costruzione dell'identità personale sono i temi che mi appassionano.
[1] Zagreo sarebbe
figlio di Persefone e di Zeus Katakthonios (del sottosuolo) o forse, per essere
ancor di più una figura ctonia, di Ade. Persefone, moglie di Ade, trascorreva con
lui sei mesi dell’anno nella profondità degli inferi e i restanti sei mesi alla
luce del sole con la madre Demetra, dea delle messi, delle stagioni e della
natura. Nei sei mesi passati in superficie, Persefone rappresenta la primavera.
[2] Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò (L'inconsolabile), 1947.
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