Adriano Olivetti – Un altro capitalismo era possibile? V PARTE Il Movimento di Comunità (STORIA) ~ di Riccardino Massa - TeclaXXI

 

STORIA

 

Adriano Olivetti – Un altro capitalismo era possibile?

 Parte quinta – Il Movimento di Comunità

di Riccardino Massa

 



     L’“utopia positiva” di Adriano Olivetti è impregnata di pragmatismo, vale a dire la volontà di coniugare la cultura, l’industria e le regole del mercato con i principi dell’etica pubblica e della responsabilità sociale. Ḕ un modello da lui elaborato nell’esilio in Svizzera durante la Seconda guerra mondiale. Trovava spunto dal pensiero del “Personalismo comunitario” di Mounier (propenso all’incontro tra cristianesimo e socialismo) più che dall’interpretazione di Maritain (teorico del connubio tra cristianesimo e democrazia). Era un pensiero che si ancorava al valore della comunità e poneva al centro della propria azione la persona:

“…una corrente di pensiero assai importante nel mondo contemporaneo tendente ad affermare la distinzione tra il concetto di persona e quello di individuo.

Il suo esilio in Svizzera fu l’occasione per intessere rapporti con molti intellettuali antifascisti, anche perché a differenza di altri, non sarà internato in un campo. Infatti, è accolto inizialmente a Zurigo presso i coniugi Conrad ed Erika Schnyder, cioè i rappresentanti della Olivetti in Svizzera.   La permanenza in Svizzera fu il periodo che gli permise di riordinare le idee, annodando fili con l’antifascismo per la rinascita di una democrazia decisamente diversa da quella prebellica. Il soggiorno forzato sarà l’occasione per l’elaborazione di progetti istituzionali. Passerà dalla scrittura di un memorandum su tali argomenti, alla redazione di un testo “Ordine politico delle Comunità” (378 pagine) che sarà la base per ulteriori elaborazioni . Matura quindi l’idea comunitaria.

Il vincolo comunitario, secondo Olivetti, deve essere globale non potendo essere per sua natura, né naturale (come quello famigliare), né di interesse (come quello societario), colui che vi entra deve essere considerato come portatore di sensibilità peculiari, di un pensiero originale, di capacità di dare agli altri e di ricevere dagli altri membri della stessa comunità. Una Comunità che per definizione doveva essere aperta senza limiti di nazionalità, classe, sesso, appartenenza politica, religione. La missione che si era dato con la creazione del Movimento di Comunità non era quella di produrre profitti e saper competere sul mercato, ma quella di incidere sullo sviluppo di un territorio accrescendone l’occupazione, ripartendo in modo equo i frutti del lavoro, promuovendo condizioni adeguate di autogoverno, stimolando la diffusione di una cultura pluralistica e laica e incidendo così nell’organizzazione della città e del territorio. Parola d’ordine; rendere il territorio compatibile con l’ambiente e con una adeguata qualità della vita di chi vi abita. Nei Paesi ancora rurali del Canavese, l’influenza delle scelte olivettiane si fecero sentire. Subito dopo lo scontro bellico, durante la ricostruzione, non esistevano biblioteche e il movimento di Comunità iniziò ad istituirle nei vari Comuni, in quanto Olivetti sostenne da sempre che l’evoluzione sociale doveva andare di pari passo con l’emancipazione culturale. Allora molti abitanti del Canavese iniziarono a lavorare in fabbrica senza per questo lasciare completamente il lavoro contadino. Adriano comprese che le monocolture produttive su un territorio sarebbero state deleterie. Quindi, pur in fase di espansione occupazionale, la scelta olivettiana fu quella di non occupare in azienda due persone della stessa famiglia, quando questi provenivano dalla campagna. Tale scelta fu fatta per non desertificare l’agricoltura della zona, in quanto aveva compreso già all’epoca che bisognava far convivere il mondo industriale con il mondo rurale preesistente, mantenendo un importante valore di scambio positivo tra i due mondi .

Olivetti definì il territorio della “comunità” con ragioni naturali ed esistenziali più che storiche, facendo coincidere l’unità amministrativa e politica con quella economica.

“Una comunità né troppo grande né troppo piccola, concreta, territorialmente definita, dotata di vasti poteri, che dia a tutte le attività quell’indispensabile coordinamento, quell’efficienza, quel rispetto della personalità umana, della cultura e dell’arte, che il destino aveva realizzato in una parte del territorio stesso, in una singola industria” .

Emerge la rappresentazione della fabbrica come centro di una evoluzione del territorio. Vuole dare alla fabbrica non solo il fine di creare profitto individuale, ma anche di essere il centro motore di uno sviluppo collettivo. Una sua visione era quella di scomporre l’Italia in 400-500 comunità . Per poi, ricomporla su basi federali. Ma la sua idea era anche rivoluzionaria sotto un altro aspetto. Non aveva una prospettiva urbanocentrica, ma piuttosto una collocazione di medie città su un territorio più vasto che inglobasse le attività produttive. Ad esempio, la città di Torino sarebbe stata suddivisa in quattro aree con una estensione anche sul territorio agricolo circostante.

La logica piramidale di tipo federalista non viene annullata nella sua ipotesi istituzionale. Infatti, le Comunità (con una dimensione di circa 120.000 abitanti) Olivetti vuole raggrupparle in “Regioni”, con una presenza massima di 2 – 3 milioni di abitanti (molto simili agli attuali dipartimenti della Repubblica francese). Comunità come base politica di uno Stato Federale.

Tutte queste istituzioni, da quella più territoriale sino allo Stato centrale, secondo la visione olivettiana, hanno all’interno sette funzioni politiche. Si lascia quelle non citate all’azione sovrana dello Stato perché di interesse più complessivo (per esempio la difesa, la scuola, la sanità). Mentre, queste sette articolazioni, partendo dal basso sarebbero state: affari generali o amministrazione, giustizia, lavoro, cultura, assistenza, urbanistica, economia. I rappresentanti di questi ordini delle singole comunità sarebbero stati eletti in uno dei due rami del parlamento, mentre il secondo ramo parlamentare sarebbe diventato l’espressione politica delle comunità concrete in parte con voto a suffragio universale, e in parte con la rappresentanza del lavoro.

L’interesse di Olivetti era quello di realizzare una “Democrazia integrata”. Ciò si sarebbe dovuto ottenere da un lato attraverso la democrazia elettiva, e dall’altro con la costituzione di un “Istituto politico fondamentale” con lo scopo di educare e formare una classe politica (come l’ENA in Francia) Vi doveva essere pure un istituto universitario di formazione dei dirigenti sindacali per una democrazia popolare e del lavoro. In sostanza, si sarebbe trattato di due istituti per la formazione della classe dirigente. La tesi olivettiana dell’organizzazione dello Stato si completava con la necessità di creare un sistema di rappresentanza misto.

Una riflessione che lo attrasse molto fu il ruolo che dovevano avere gli urbanisti nello sviluppo di una società rinnovata. Nel campo urbanistico ipotizzò che l’elaborazione dei “Piani Urbanistici Comunitari” rimanesse competenza esclusiva delle comunità di base con criteri programmatori più generali, escludendo le sovrapposizioni istituzionali. Un modello da lui studiato e che seguiva la logica statunitense della “Tennessee Valley Autority” ipotizzata da Presidente Franklin Delano Roosevelt, come strumento giuridico per superare la grande depressione del ‘29.

In economia, la parola d’ordine olivettiana fu quindi quella di socializzare senza statalizzare. Una scelta che lui stesso dichiarerà difficile nel nostro Paese, così impregnato di individualismo. Un tema ritenuto da lui stesso di estrema complessità per il quale non esiste una unica ricetta . La visione federalista di Olivetti nasceva sicuramente dall’ambiente dove era nato e aveva avuto le prime esperienze politiche. L’aria che aveva respirato era quella di un autonomismo alpino presente da secoli. Le Alpi, per le popolazioni locali, non erano mai state viste come confine politico, ma come cerniera tra le culture. Un federalismo, che troviamo espresso in periodo resistenziale nella stesura della “Carta di Chivasso” ₁₀, e che in parte fu ripreso dai costituenti nell’elaborazione della nostra Carta costituzionale, soprattutto nella parte riguardante l’articolazione territoriale dello Stato.

 _____________

 ₁ Lettera scritta da Adriano Olivetti a Luigi Einaudi nel novembre del 1944 riportata nel libro di Luigi Massa, La nuova Comunità è possibile, Torino, Genesi Editrice, giugno 2009.

₂ Avvengono incontri con Luigi Einaudi, Ignazio Silone, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Egidio Reale, il Professor Fanfani che è un internato, ma soprattutto con quelli che furono i suoi giovani collaboratori prima dell’esilio Giorgio Fuà, Luciano Foà, Alberto Zevi.

₃ Luigi Einaudi con lo pseudonimo di Junius su “L’Italia e il secondo Risorgimento” supplemento del giornale Gazzetta Ticinese il 17 luglio 1944 con il titolo “Via il prefetto” scriverà una proposta di abolizione dei Prefetti e delle Provincie, simboli di uno Stato centralizzato.

₄- ₆ Adriano Olivetti, Società, Stato, Comunità. Milano, Edizioni Comunità, 1952.

₅ Una scelta ben diversa da quella che fece invece l’industria automobilistica la quale, invece di spostare gli impianti su territori diversi, pensò di accentrare le produzioni provocando i grandi fenomeni di emigrazione di migliaia di italiani degli anni ’50 e ‘60 che dal sud raggiunsero le città del nord, desertificando socialmente diverse aree dell’Italia post-bellica.

₇ Testimonianza di Riccardo Musatti, “Un disegno, un’idea” in Zodiac, Milano, 1960, volume IV.

₈ Aspetti che furono ampiamente criticati dai suoi oppositori, in quanto ricordavano il corporativismo scelto in modo univoco dal regime fascista.

₉ Cineteca RAI Roma - Garroni Emilio Ritratti contemporanei – Adriano Olivetti, Programma televisivo, regia di Giorgio Moser. Durata 30’, trasmesso il 29 febbraio 1960.

₁₀ Per l’esattezza, il nome era: Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine, documento elaborato da Émile Chanoux, Ernest Page, Federico Chabod, Osvaldo Coísson, Gustavo Malan, Giorgio Payronel, Mario Alberto Rollier. Tutti vicini agli ideali del Partito d’Azione. Venne stilato clandestinamente il 19 dicembre 1943 a Chivasso (To).


RICCARDINO MASSA

BIONOTA

Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.

 

 

Commenti