La teoria della relatività ristretta di Albert Einstein - a 120 anni di distanza (FISICA) ~ di Giulio Cirulli - TeclaXXI

 

FISICA

 

Giulio Cirulli

 

La teoria della relatività ristretta di Albert Einstein (1905) - a 120 anni di distanza


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 Nel 1905 Albert Einstein ha il suo Anno Mirabilis. In quell’anno pubblica tre articoli dirompenti, o come direbbero gli anglofoni, “Groundbreaking”. Il primo riguarda l’effetto fotoelettrico, il secondo il moto browniano, infine il terzo la relatività ristretta.

     In quest’ultimo articolo Einstein descrive la sua teoria più famosa, quella che rivoluzionerà la fisica a tal punto che assieme alle scoperte di Planck, Bohr e altri fisici, determinerà uno spartiacque nella fisica, un prima e un dopo che permetterà al mondo di oggi di essere quello che è (in matematica questo avverrà con Kurt Godel e i suoi Teoremi di Incompletezza).

        Fino al 1905 si credeva che la luce viaggiasse in un mezzo invisibile e impalpabile, in onore delle teorie metafisiche degli elementi fu chiamato Etere (che nulla ha a che fare con l’etere chimico), esattamente come accade per il suono, che essendo una vibrazione deve necessariamente viaggiare in un mezzo (aria, acqua, metalli, legno etc.), essendo la luce una vibrazione elettromagnetica (non me ne vogliano i fisici per questa definizione). La seconda cosa che si credeva è che la luce avesse sì una velocità finita, ma che questa non costituisse un limite insuperabile. La terza certezza del paradigma scientifico prima del 1905 era che il tempo in tutto l’universo fosse assoluto.

Ma veniamo al dunque. Già prima di Einstein vi era una teoria della relatività, detta Galileiana. Essa afferma che i principi e le leggi fisiche rimangono invariati sia se un oggetto è statico, sia se è in moto. Inoltre, secondo Galileo, per poter determinare che un oggetto si trovi in moto, è necessario prendere un sistema di riferimento. Mi spiego meglio.

Immaginiamo una palla da baseball lanciata a una velocità di 100 km/h. Essa si muoverà a quella velocità relativamente al lanciatore, al battitore, al campo e al pubblico che l’osserva, se tutti mantengono la loro posizione statica rispetto alla palla.
        Se, per assurdo, il lanciatore, il battitore, il campo e il pubblico stessero viaggiando alla stessa velocità e nella stessa direzione della palla, dato che tutte le forze e i principi della fisica restano invariati (la gravità non cambia direzione, le forze atomiche continuano a tenere uniti gli atomi e l’elettromagnetismo non smette di applicare la propria forza attrattiva o repulsiva fra le cariche) nessuno sarebbe, in quel sistema di riferimento, in grado di dire se la palla sia ferma in aria o si stia muovendo. Ed è questo il principio della relatività del moto galileiano.
    Naturalmente, tale assioma resta valido solo se il moto della palla si mantiene rettilineo e uniforme (ossia in linea retta e senza accelerazione o decelerazione).

Einstein a questo punto si domanda che cosa succederebbe se un ipotetico osservatore viaggiasse a velocità prossime a quelle della luce (quelle dette da quel momento velocità relativistiche). Grazie a una serie di equazioni, Einstein scopre alcune cose interessanti.

La prima che la velocità della luce è il limite massimo universale per un oggetto dotato di massa e/o di energia e di informazione. In breve, nulla può viaggiare più veloce di tale limite.
La massa inerziale oggetto, ossia la misura della resistenza di tale oggetto al suo variare di moto o al suo stato di quiete, aumenta esponenzialmente all’aumentare della sua velocità sino a raggiungere un asintoto che tende all’infinito. Credo sia chiaro a tutti che questa misura sia funzione dell’energia immessa nel sistema per spostare l’oggetto; un’automobile che viaggia a una velocità di 130 km/h necessiterà più benzina (e dunque di energia) per poter accelerare di 1 km/h rispetto alla stessa automobile che viaggia a 100 km/h a parità di condizioni. Se questo oggetto superasse la velocità della luce, avrebbe una massa negativa (attenzione massa e non forza peso).

     Un altro corollario che deriva dal limite invalicabile di velocità è che nemmeno la luce stessa può superare questo limite. Inoltre, sempre a velocità relativistiche, un osservatore che vedesse l’oggetto, che viaggia in moto rettilineo uniforme, osserverebbe una contrazione nella lunghezza dell’oggetto. Ma ma non sarebbe un’illusione ottica, bensì una contrazione oggettiva. Si tratta del paradosso relativistico della ruota. Vale a dire: immaginiamo una ruota di bicicletta che viaggia a velocità relativistica. Se noi misurassimo la sua circonferenza, scopriremmo che avrebbe una misura inferiore alla sua misura da ferma, pur se i raggi della stessa ruota mantenessero la stessa misura.

La cosa interessante è che questa contrazione osservata dall’osservatore è simmetrica. Infatti, se qualcuno fosse su un mezzo a velocità relativistica rispetto all’osservatore e vedesse l’osservatore dal suo mezzo, allora lo troverebbe contratto di un fattore pari alla contrazione del suo mezzo.
Ma la cosa più sorprendente della teoria della relatività è che il tempo cessa di essere un imperativo assoluto. Infatti, ogni oggetto in moto rettilineo uniforme subisce un rallentamento dello scorrere del tempo rispetto a quello di un osservatore esterno, sempre in modo proporzionale alla sua velocità di moto. Questo ultimo risultato genera il paradosso dei gemelli e del nonno tanto cari alla letteratura fantascientifica. Ora la cosa interessante è che sia l’aumento di massa inerziale, la contrazione della lunghezza e il rallentamento del tempo sono ricavati dalla medesima equazione (a qui cambiamo di volta in volta la grandezza misurata, massa, lunghezza o velocità)

 


    Di volta in volta cambieremo la t di tempo, con la m di massa e l di lunghezza.

     L’impossibilità di poter superare la velocità della luce (c nell’equazione) è data dal fatto che la radice di un numero negativo (salvo l’introduzione dei numeri immaginari) non esiste. Per poter raggiungere tali risultati, Einstein dovette formulare l’altro concetto amato dalla Science Fiction, ossia “lo spazio-tempo quadridimensionale”.

Oltre alla classica formulazione altezza-lunghezza-larghezza (asse x-asse y -asse z) si aggiungeva la dimensione del tempo.

Ora, al netto della grandezza dei risultati raggiunti, questa formulazione della relatività ha un enorme vulnus, ossia quella di essere valida solo in sistemi di riferimento in cui il moto è solo ed esclusivamente rettilineo e uniforme.

Nella vita quotidiana di tutti, un tale moto non si verifica mai. In altri termini, anche se utilizzassi un Cruise control sulla mia auto, la mia velocità non sarebbe mai uniforme e soprattutto, anche se viaggiassi sulla mitica Route 66 in America, comunque gli avvallamenti, i saliscendi e la stessa sfericità della terra renderebbero, di fatto, impossibile un moto rettilineo,

Per questo motivo la teoria della relatività è da considerarsi certamente rivoluzionaria, ma comunque inservibile in ogni contesto che non fosse puramente teorico. Ciò spiega perché Einstein pubblicò nel 1915 una seconda formulazione della sua teoria: la relatività generale (o speciale).    E di essa mi occuperò in un prossimo articolo.

 




GIULIO CIRULLI


 

BIONOTA 

Romano di Roma, appassionato di scienze, matematica, storia romana, medievale e storia delle religioni. Non prende nulla seriamente se non le cose serie: Carbonara, Scienze e Numeri.

Diplomato all’istituto agrario e laureato in fisioterapia, insomma, braccia riabilitate per l’agricoltura. 

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