La teoria della relatività generale di Albert Einstein - a 110 anni di distanza (FISICA) ~ di Giulio Cirulli - TeclaXXI
FISICA
Giulio Cirulli
La teoria della relatività generale di Albert Einstein (1915) - a 110 anni di distanza
foto generata da Canva JS
Dopo aver
elaborato la teoria della relatività ristretta nel 1905, Einstein cercò estendere
i suoi risultati anche ai sistemi non rettilinei e uniformi, comprendendo così
l’accelerazione. Il risultato dei suoi sforzi fu l’elaborazione
nel 1915 di una nuova teoria: la relatività generale.
Ai posteri piace immaginare che gli scienziati procedano nel
processo di elaborazione delle loro teorie attraverso improvvise illuminazioni,
Si pensi per l’antichità alla tradizione che vuole la scoperta della legge
della spinta idrostatica fatta da Archimede (che infatti avrebbe dato il suo
nome al principio), mentre faceva il bagno immergendosi nella vasca. O si pensi,
per quanto riguarda l'evo moderno, alla legge della gravitazione universale
scoperta da Newton dopo che una mela gli era caduta addosso, mentre stava
disteso sotto un albero. Per quanto
l'aneddoto sia famoso, non è certo che sia realmente accaduto o sia stato
inventato (forse dallo stesso Newton) per spiegare la scoperta in un modo più
accessibile.
Lo stesso è accaduto per la teoria della relatività di
Einstein. Secondo questa versione storica, a un certo punto gli sarebbe arrivata un’illuminazione.
In effetti, il medesimo Einstein utilizzò l'esempio di un imbianchino che cade
da un'impalcatura per illustrare il principio di equivalenza, che stabilisce l’equivalenza
tra massa gravitazionale e massa inerziale, la quale cosa è il fondamento appunto
della sua teoria della relatività generale. L’imbianchino che cade però non sarebbe
un episodio realmente accaduto, quanto piuttosto un esperimento del tutto
mentale. Ma in che cosa consiste esattamente quella che Einstein avrebbe definito
“l’idea più felice della mia vita”? E soprattutto che c’entra un imbianchino
che cade da un palazzo?
Questa situazione gli
fece intuire che tra la gravità e un’accelerazione non esiste alcuna
differenza. In altri termini, Einstein capì che, se ponessimo una persona in
una enorme scatola chiusa e quest’ultima accelerasse a 9,81 m/s e prendessimo
la stessa persona e la ponessimo nella medesima scatola, non saprebbe dire se
la scatola fosse posta a terra e sottoposto alla gravitazione o se fosse un
ipotetico ascensore che accelera a 9,81 m/s nello spazio.
Ḕ un’intuizione
che permise a Einstein di poter muovere i primi passi verso una formulazione
più estesa della relatività ristretta. Riuscendo a includere l’accelerazione
nel moto della relatività ristretta, il fisico tedesco in un colpo solo aveva
risolto il problema dei suoi risultati nei sistemi accelerati e/o sottoposti a
gravità. Era certamente un grandissimo risultato, ma lasciava fuori tutti i moti
curvilinei
La seconda
intuizione geniale legata alla gravità che ebbe Einstein è il concetto di
curvatura dello spazio-tempo, secondo il quale un oggetto dotato di massa e
quindi di gravità deforma lo spazio-tempo che lo circonda in modo proporzionale
alla sua gravità. Per visualizzare il fenomeno, possiamo servirci del classico
esempio del tappeto elastico e dei pesi posto su di esso. Ḕ un’ottima semplificazione,
ma ha il difetto di essere fallace. Infatti, la deformazione non avviene solo
sugli assi spaziali x e y, escludendo quello z e l’asse temporale. E
quest’ultimo è fondamentale perché la deformazione dovuta alla gravità degli
oggetti sullo spazio-tempo è tale da rallentare il tempo in
funzione della gravità stessa.
Queste ultime considerazioni, che possono
sembrare inezie, in realtà sono fondamentali.
Infatti, stando
alla formulazione classica della gravitazione newtoniana, la gravità risulta
tanto più forte, quanto due oggetti sono massivi e quanto più sono vicini. Ma
secondo la teoria della relatività generale non accade sempre così. Questo vale
soprattutto per il tempo e lo spazio, i quali non sono assoluti ma formano un’unica
entità chiamata spazio-tempo, la quale è flessibile e si deforma in presenza di
velocità elevate o di corpi estremamente massicci.
Qual è la ricaduta
pratica di questa rappresentazione?
Seppure
in una misura infinitesimale, una persona che si trova a terra avrà un tempo
relativo che scorre più lento rispetto a una che si trovi sulla cima
dell’Everest, perché si troverà più lontano dal nucleo della terra dove la
gravità risulta più forte. Se poi consideriamo
i satelliti in orbita, possiamo osservare un leggero sfasamento (nel termine di
pochi millisecondi più veloce che a terra).
Non è
una differenza da poco, dal momento che quei satelliti non solo regolano le
telecomunicazioni ma anche il GPS. Se un segnale viaggia da Roma a un satellite,
allora subirà un leggero sfasamento di tempo, che verrà raddoppiato al suo
ritorno a terra, creando così, sia pure per pochi millesimi di secondo, degli
errori di geolocalizzazione di diversi metri, che pertanto rendono inaffidabili
questi sistemi. Consci di tali limiti gli ingegneri, mediante calcoli
complicatissimi, hanno dovuto implementare dei software nei satelliti dei
sistemi che correggessero questo sfasamento relativistico.
Ma quali sono le prove che Einstein non si è inventato tutto di sana pianta?
Oltre ai GPS e alle telecomunicazioni che tramite correttivi avrebbero notevoli sfasamenti, vi sono altre prove solide. La prima è legata ad alcune astrografie effettuate nel 1919, quando durante una eclisse solare si poté osservare un fenomeno descritto dalla relatività generale nel 1915, ossia una “lente gravitazionale”, la luce attorno a un oggetto dotato di gravità curva il suo percorso, quindi se il sole si trova nella costellazione del Toro (come avvenne durante l’eclisse) significa che tra noi e il Toro si pone il Sole, quindi “spegnendo” il Sole potremmo vedere le stelle, ma quelle del Toro no, perché si trova “dietro” il Sole. E invece, proprio grazie al fatto che la gravità curva il tessuto spaziotemporale non solo nel 1919 osservammo la costellazione del Toro, ma alcune stelle di questa costellazione risultarono “duplicate”.
La seconda prova è
la vita dei muoni, delle particelle cariche negativamente simili agli elettroni
ma molto più massicce (circa 200 volte l’elettrone).
Ora,
più una particella subatomica è massiccia, più tende a essere instabile e pronta
a decadere in particelle più piccole. Nel
caso del muone il suo decadimento rilascia un neutrino muonico. Dopo qualche
minuto, vi è un ulteriore decadimento che rilascia un neutrino elettronico e un
elettrone.
Tutto
questo avviene nell’arco di circa 2,2 milionesimi di secondo.
Non dimentichiamo
che i Muoni sono il sottoprodotto di uno scontro nell’alta atmosfera fra i
raggi cosmici e le particelle atmosferiche. Ma la distanza tra l’alta atmosfera
e la terra è tale che seppur i muoni viaggino a una velocità di quasi il 98%
della velocità della luce non potrebbero comunque arrivare a terra, ma grazie
alla dilatazione temporale circa il 90-95% dei muoni è rilevato a terra.
Un’altra prova
della veridicità della relatività ce l’ha fornita LIGO, un osservatorio delle
onde gravitazionali, il quale quasi 100 anni dopo la formulazione della
Relatività Generale ha osservato lo scontro tra due enormi corpi solo dalle
onde gravitazionali prodotte dalla loro fusione.
L’ultima
prova della veridicità della relatività generale è la foto di Sagittarius-alpha
uscita nell’aprile 2019, cioè la foto del buco nero. So che la foto sfocata del
buco nero assomiglia vagamente all’Occhio di Sauron, come appare nella
mitologia del Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien (come
ironizzava internet). Ciò nondimeno dimostra l’effetto della curvatura
spaziotemporale dovuta alla gravità: la gravità di un buco nero è talmente
forte e potente da intrappolare persino la luce. Ma quella che riesce a
sfuggire crea quell’alone arancione, con tanto di anello orientato a 90°
rispetto all’osservatore. La cosa strepitosa è che la luce che noi osserviamo
attorno al buco nero proviene dagli oggetti dietro al buco nero.
In conclusione, accennerò
alle equazioni di campo della Relatività Generale. Non
entrerò nei tecnicismi, perché i meccanismi matematici al loro interno sono troppo
complicati.
Queste equazioni suppongono gli effetti
della gravità, la distribuzione della materia nell’universo, la forma
dell’universo, le possibili origini e i destini dell’universo. Infine, alcune
di queste equazioni descrivono l’esistenza dei Buchi Bianchi (oggetti che
emettono materia ma che non la attraggono ossia l’opposto dei buchi neri), i cunicoli
spaziotemporali, ossia i famosi Wormhole, e il destino del tempo
all’interno buchi neri.
La cosa
incredibile di tutto ciò è come questi risultati siano stati ricavati da Einstein
con “carta e penna”, ovvero con una lavagna e un gessetto, insomma: qualche
decennio prima dell’invenzione del computer e quasi un secolo prima delle prime
Intelligenze Artificiali.
GIULIO CIRULLI
BIONOTA
Romano di Roma, appassionato di scienze, matematica, storia romana, medievale e storia delle religioni. Non prende nulla seriamente se non le cose serie: Carbonara, Scienze e Numeri.
Diplomato all’istituto agrario e laureato in fisioterapia, insomma, braccia riabilitate per l’agricoltura.


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