Parigi 12 febbraio 1934 di Marco Cignetti - parte I ( storia&narrativa)

 

STORIA & NARRATIVA 

 

Marco Cignetti

            Parigi, 12 febbraio 1934

Un episodio del passato – Un insegnamento sempre attuale

Prima parte

 

PERSONAGGI  ITALIANI Beatrice Viarenghi – insegnante di francese in pensione (*1960) Sandra, figlia maggiore di Beatrice (*1983) Silvana, detta “Vani”, figlia minore di Beatrice (*1993) Gianni, compagno di Vani Sandra Durando, madre di Beatrice (*1936 ╬2012) Giacomo Durando, nonno materno di Beatrice (*1917 ╬ 1991) Beatrice Costa, nonna materna di Beatrice e moglie di Giacomo (*1919 ╬ 1996) Prof. Castiglioni, docente di storia moderna e tutor di Beatrice (A.A. 2020/2021) Prof. Bassanelli, docente di storia medievale di Beatrice (A.A. 2017/2018) Ricky, Fabrizio, Valerio, Susy, Valentina, Beppe, “John”, “Peroni”, studenti di Bassanelli (seminario su Carlo Magno – A.A. 2017/2018) Francesco Rossi, ex allievo di Beatrice incontrato sul treno con due amici.

PERSONAGGI FRANCESI Michel Fournier, dell’Istituto storico della Resistenza di Parigi (*1960) Jacques Fournier, padre di Michel (*1935 ╬ 1989) Sandrine Giroud, nonna paterna di Michel (*1916 ╬ 2001) Charles Fournier, suo marito (*1915 ╬ 1970) Victor e Marie, nonni materni di Michel Justine, amica di Michel.


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 1 - IN TRENO (ESTATE 2021) La donna arrivò dalla stazione Porta Susa di buon’ora. Una rapida occhiata al tabellone per capire da quale binario sarebbe partito il treno, poi uno sguardo attorno a sé per meglio assaporare il piacere della partenza; scese la scala che portava alla sua piattaforma e attese l’arrivo del treno. Attorno a lei una ovattata concitazione, di persone che sanno cosa devono fare, quasi nessuno aveva fretta, nessuno indugiava inutilmente, nessuno arrivò all’ultimo istante. Non fosse stato per le mascherine che davano un tocco di irrealtà alla scena, poteva sembrare un giorno come tanti degli ultimi anni. Quando il treno arrivò, salì sul suo vagone, un vagone “open air” senza scompartimenti; sistemò la valigia trolley nell’apposito vano e si accomodò sulla sua poltroncina prenotata. “Il dado è tratto” pensò. Poi si accorse che era una sciocchezza. Il dado era stato tratto alcuni mesi prima, quando aveva deciso di aggregarsi al gruppo di studio sul decennio precedente la Seconda guerra mondiale in Francia, e proporre al tutor di approfondire alcuni eventi del febbraio del 1934. O forse il vero momento della scelta fu qualche settimana prima, quando aveva scoperto che il materiale reperibile su internet e nelle varie biblioteche cittadine non era sufficiente. O forse solo dieci giorni fa, quando, con la scusa della ricerca, aveva deciso di tornare a Parigi e godersi una vacanza. Il treno prese rapidamente velocità. In pochi minuti uscì dalla città. Non avrebbe voluto staccare gli occhi dal finestrino, la campagna piemontese le aveva sempre dato un senso di serenità, ma a un certo punto, nella sua mente scattò una misteriosa molla, quella che mette in moto i pensieri di chi è affascinato da qualche argomento. Smise di godersi il panorama, aprì la cartella piena di documenti, fascicoli, fotocopie e appunti, ed estrasse quello che in qualche modo era stato l’inizio di tutto. Il documento iniziava parlando delle manifestazioni della destra francese del 6 febbraio 1934. L’ “Action Française”, le organizzazioni patriottiche giovanili - alle quali si unirono le Croci di Fuoco e l’Unione Nazionale Combattenti - indirono una manifestazione per il 6 febbraio del ’34, giorno in cui Eduard Daladier, membro del Partito Radicale, si presentava alla Camera dei deputati per ottenere la fiducia. L’ex capo del governo Camille Chautemps si era dimesso precedentemente a causa degli scandali che avevano implicato figure di secondo piano del Partito Radicale. Tra questi il più noto era il caso Stavisky. (…) Così il 6 febbraio la folla riunitasi per la manifestazione sulla riva destra del fiume, cercò di riversarsi in Place de la Concorde (posta di fronte alla Camera dei deputati) scontrandosi pesantemente con la polizia nel tentativo di espugnare il Parlamento. L’episodio le ricordò quanto era avvenuto solo pochi mesi prima a Washington, prima dell’elezione di Biden alla presidenza degli Stati Uniti. Appuntò sul foglio “approf.similit.Capitol Hill”. Gli scontri furono tali che 17 persone perirono mentre ben 2300 rimasero ferite. Questi episodi erano i più gravi di una lunga serie di scontri e violenze che avevano visto le leghe di destra protagoniste della politica francese dall’inizio del ’34. Inoltre, Daladier, a cui subentrò l’ex presidente della repubblica Doumergue a capo di un così detto governo di “Unità Nazionale”, si dimise. Altre fonti parlavano di 12 morti, altre di 18 ma ciò non diminuiva la gravità dell’episodio, pensò. Passò a un secondo foglio, questo tradotto da lei, tratto da Wikipedia francese. (…) Tuttavia, il 6 febbraio innescò una dinamica che gradualmente prevarrà sulle controversie degli “apparati”. [rif. necessario]. Il giorno dopo, furono formati diversi comitati antifascisti, composti da socialisti, radicali e rappresentanti di vari gruppi di sinistra, ma mai comunisti. Persistono le divisioni ideologiche. Il 9 febbraio, il PCF e la CGTU[1] organizzano un grande raduno a Place de la République, contro il fascismo e le ambiguità del governo. Da parte sua, la SFIO[2] preferisce aderire alla chiamata della CGT, la quale aveva proclamato uno sciopero generale per il 12 febbraio. “Già questo la dice lunga sui rapporti interni alla sinistra francese 

dell’epoca” pensò. E anche questo le ricordò qualcosa dell’attualità e della storia del suo paese. Il PCF decide di unirsi alla manifestazione, sperando ancora di attrarre alla sua linea politica i militanti socialisti, posizionando altoparlanti lungo tutto il corteo. Tuttavia, avvenne il contrario: “I militanti comunisti si uniscono al corteo socialista, abbandonando i binari e gli oratori comunisti, ed è al grido di “Unità! Unità!” che i militanti dei due partiti sfilano insieme”. Si tratta quindi dei militanti ordinari, che contro la volontà degli stati maggiori hanno fatto del 12 febbraio 1934 una manifestazione unitaria, preparando così gli animi all’idea del Fronte Popolare. Episodio sintomatico del desiderio di una unione antifascista molto più presente alla base che ai vertici dei due partiti, i cui dirigenti ancora si odiavano a vicenda [rif. necessario] “Certo che il “rif.” è necessario cara wiki! – pensò. “Sto andando a Parigi proprio per questo!” Ecco in poche frasi il motivo (o il pretesto) per un viaggio a Parigi. “Professoressa Viarenghi è proprio lei!” Nonostante la mascherina (o forse proprio a causa di quella) impiegò un paio di secondi per riconoscere Rossi, uno dei suoi più bravi allievi della quinta, maturati tre anni prima. La sua ultima quinta, il suo ultimo anno di insegnamento. “Francesco Rossi, qual buon vento ti porta in Francia? Non certo il ricordo dei miei insegnamenti, immagino”. “Scherza? Se mi sono appassionato alla cultura francese, è grazie a lei!” “Beh, ne sono felice. Cosa fai di bello, vai all’università, immagino” “Sì: biologia. Ma il suo francese mi è servito, lo scorso anno ho conosciuto una ragazza di Lione, ora vado a trovarla. “Ah, cherchez la femme…!” “Beh, per ora…” disse Francesco arrossendo un po’ “Fra’, ti sbrighi? Facciamo colazione senza di te!” “Vai, non far aspettare i tuoi amici” “No… più tardi passo a trovarla, se le fa piacere…” “Volentieri, così mi racconti…” I ragazzi proseguirono verso il vagone bar. Beatrice tornò a guardare i suoi appunti. In realtà li vedeva, ma in quel momento non li stava guardando. L’incontro con quel suo studente di quinta, le rammentò un altro incontro, che si era svolto pochi giorni dopo l’esame di maturità di Rossi e della sua classe. “Prof. Beatrice Viarenghi, lei ci abbandona! Non riesco a farmene una ragione. Non ha ancora diritto alla pensione, ha un grande carisma con i ragazzi, tutti i colleghi la stimano; perché se ne vuole andare?” Così le aveva parlato il dirigente scolastico, l’ultimo giorno di servizio. Gli aveva raccontato ciò che raccontava a tutti. Non perché si trovasse male con i colleghi, non perché stanca di insegnare, non perché avesse la necessità di seguire qualche genitore anziano, no. Nulla di tutto questo. Semplicemente sentiva che un ciclo della sua vita stava finendo, che preferiva finire con una quinta, e che - ma questo non lo diceva a tutti - voleva tornare a studiare. Le sue amiche la prendevano in giro sostenendo che tornare a fare la studentessa era una scusa per frequentare dei giovani. “Scommetto che ti cercherai un toy boy.” le aveva detto una sera Marta, quella delle battute più spinte. Erano al ristorante, si erano scolate due bottiglie di Barolo in tre, avevano riso tutta la sera. Ovviamente lo scopo non era cercarsi un toy boy, e poi era stata tra i giovani tutta la vita. Una volta che aveva iniziato a frequentare i corsi a Palazzo Nuovo, provava perfino un po’ di disagio: quasi tutti i docenti erano più giovani di lei. Per non parlare degli assistenti! Rise fra sé e sé, ricordando quando la ‘Prof’ era lei. Quando decise di tornare alla lettura dei suoi appunti, il treno era arrivato a Modane.

 

Il treno viaggiava in Francia da un po’. Smise di leggere e provò a farsi cullare dal dondolio del treno. Ma era un movimento molto diverso da quello degli Intercity della sua gioventù. Poi iniziò a farsi cullare dai ricordi della sua vita da insegnante, poi dal ricordo dei preparativi per il viaggio, e infine dalla partenza di quella mattina. Aveva già indossato le scarpe, quando si fermò davanti al ritratto del marito, una foto incorniciata sul comò del corridoio. Tutte le volte che stava lontano da casa, fosse qualche giorno, fosse qualche settimana, si immedesimava in Pereira, il Pereira interpretato da Marcello Mastroianni, il Pereira che sul punto di abbandonare Lisbona e il Portogallo, caduto in mano a una dittatura sanguinaria, metteva nello zaino il ritratto della moglie, parlando con affetto a quell’immagine, come se fosse una persona viva. Questa volta, invece, fu il ritratto del marito a parlare, e le augurò buon viaggio. Non saprà mai se a svegliarla fu la sorpresa del marito che le parlava attraverso la fotografia, o il cellulare che suonava. Decise di occuparsi delle questioni più terrene, e cercò l’apparecchio nella borsa. Era sua figlia Silvana, la più giovane delle sue due figlie, quella che più l’aveva fatta preoccupare da giovane, quella che più si divertiva a punzecchiarla e della quale accettava malvolentieri critiche e punzecchiature. “Ciao mamma, allora sei già in viaggio?” “Si, Vani, ho poi preso il treno del mattino” “Scommetto che non vedi l’ora di prendere la TAV… se e quando ci sarà!” “Ehi, mi hai appena chiamato e già mi stai provocando!” “Dai, lo sai che scherzavo…” “Ok, deponiamo le armi. Dimmi, come sta Gianni?” “Sta bene, da lui hanno ripreso a lavorare normalmente la scorsa settimana” “Salutamelo tanto, lo sai Gianni mi piace” “Lo so, confesso che sono ancora stupita adesso: non pensavo saresti andata d’accordo con lui.” “Abbiamo in comune l’amore per la libertà di pensiero, dici poco? Piuttosto, da te hanno ripreso a lavorare?” “Quasi, ci sono solo più 10 colleghi in cassa, ma sembra riprenderanno già tutti a settembre” “Bene, stiamo uscendo da questa maledetta pandemia…” “Sai, sto seguendo un corso di aggiornamento su nuovi software di trattamento dell’immagine, sono una figata! Ci hanno mandato solo in due… poi dovremo insegnare agli altri, ma non mi dispiace.” Buon sangue non mente, pensò. Percepì la contentezza della figlia, in fondo, se la mandano a quei corsi, è perché hanno fiducia in lei. Rumore di bambini in sottofondo. A volte Vani teneva i figli della vicina di casa. “BASTA BAMBINI!!! Dicevo… non mi hai ancora spiegato bene cosa vai a fare a Parigi” La comunicazione era resa più difficile anche dall’altoparlante che annunciava l’arrivo a Lione. “Sto facendo una ricerca su un periodo storico molto interessante, pensa che…” Rumore più forte di bambini, che si accavalla all’altoparlante del treno. Passa Francesco, il suo ex allievo, che mezz’ora prima era tornato nel vagone di Beatrice, ma vedendola assopita, aveva rinunciato alla chiacchierata in programma. Così, vedendola ora col cellulare all’orecchio, la saluta con un cenno della mano. Passano anche i suoi amici. “Scusa mamma, questi si stanno ammazzando. Ti devo lasciare” “Non importa, ci sentiamo più avanti; ciao Vani” “Ciao mamma” Il rumore del treno in frenata copriva le voci, ma ne sentì distintamente una in lontananza che diceva: “Fra’, la tua Prof. è ancora una bella donna! ...” “Piantala, magari ti sente!” I ragazzi attendono sulla piattaforma che il treno si fermi, non hanno visto che Beatrice Viarenghi ha chiuso la comunicazione. L’altoparlante annuncia “Lyon… gare du Saint Exupery”. I ragazzi scendono dal treno. “Ancòra … bella donna…” pensò. “Una contraddizione in termini? No, forse una figura retorica?” si chiese. Come un ossimoro, o una correctio. Comunque, finché lo pensano dei ragazzi, si disse, non devo sottilizzare, esserne contenta e basta. E sorridendo fra sé e sé, tornò ai suoi appunti.

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[1] PCF=Parti Communiste Français e sindacato ad esso collegato: CGTU

[1] SFIO=Section Française de l’Internationale Ouvrière (Partito Socialista Francese) e sindacato ad esso collegato: CGT  

 

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2 – DUE ANNI PRIMA, IN PIZZERIA (LUGLIO 2018) Non erano tutti giovani studenti le persone vicino all’ingresso della pizzeria: due di loro, oltre che per l’età, si distinguevano dal resto del gruppo per l’abbigliamento. Un uomo dal fisico asciutto sui 60 anni, in giacca e cravatta, dal sorriso gioviale e dal gesticolare lento e garbato; a interloquire con lui una elegante signora dal trucco leggero che ne accentuava il fascino, apparentemente sui 50 anni, ma in realtà con qualche anno in più. Intorno a loro, otto fra gli studenti che avevano brillantemente superato l’esame di storia medievale e che avevano seguito il seminario su Carlo Magno. Erano tutti ragazzi e ragazze sui 20/21 anni, tutti compiaciuti della buona riuscita del corso tenuto dal prof. Bassanelli, l’uomo elegante del gruppo, e del risultato dell’esame finale. Nessuno avrebbe immaginato che due anni dopo, se avessero deciso di ritrovarsi, si sarebbero dovuti tenere a distanza, con una mascherina chirurgica sul viso e in 6 al massimo per ogni tavolo. “Entriamo?” propose il Professore. “Mi sembra che ci siamo tutti” “Entriamo, non vedo l’ora di vedermi davanti un bel boccale di birra” disse uno studente che aveva il meritato soprannome ‘Peroni’. “…e una pizza fumante” aggiunse una ragazza non molto alta, con gli occhiali e la coda di cavallo, che tutti chiamavano ‘Susy’. Una volta accomodati, calmata la prima sete e calmato l’appetito con qualche crostino, i discorsi e le chiacchiere riprendono con allegria. Due ragazzi si raccontano dove andranno in vacanza, altri parlano del loro piano di studi, due ragazze si confidano sulle difficoltà nei rapporti con le rispettive famiglie. “Non credevo di trovare la storia medievale così interessante” esordì Beatrice. “…e io non pensavo avrei trovato un così importante aiuto da parte di una studentessa…” replicò Bassanelli. “Studentessa… diciamo un’altra Prof. Era come giocare in casa!” esclamò un ragazzo con i capelli lunghi, soprannominato ‘John’ per la somiglianza con John Lennon. Lui non ne era contento, diceva che portava sfiga, ma ormai glielo avevano appioppato. “Comunque, senza Beatrice, avremmo faticato parecchio a capire quei testi in francese arcaico”, precisò Susy. “Viarenghi, perché dopo le superiori hai fatto lingue e non storia, visto che ti piace così tanto da voler prendere una seconda laurea?” chiese John. “Mah, forse volevo viaggiare, e mi illudevo che con una laurea in lingue straniere avrei avuto più opportunità…” All’inizio faceva effetto sentirsi chiamare per cognome, un po’ come capitava in sala professori, quando insegnava. Ma questi ragazzi avevano pochi anni più di quelli dei suoi allievi di allora. “Invece col prof. Bassanelli abbiamo viaggiato nel tempo, l’avresti mai detto, Viarenghi?” La battuta veniva da un’altra studentessa, Valentina, una ragazza alta con i capelli neri, di una bellezza appariscente, proprio come la Valentina di Crepax. “A me piace così tanto viaggiare nel tempo, che vorrei iterare il corso” affermò Peroni, che nel frattempo aveva già ordinato un secondo boccale. “Prof.” disse poi rivolto al docente “le preparo il programma, così mi dice se può andar bene” “Ne riparliamo a settembre, ma sono sicuro che sarà un buon progetto”. Bassanelli incoraggiava sempre i suoi studenti. Beatrice era ammirata dalla vastità della sua cultura umanistica: le ricordava Umberto Eco, perfino nei lineamenti del viso. Una volta l’aveva sentito dire “Vorrei avere un decimo della cultura umanistica di Eco, ma prima di andare in pensione, ci riuscirò!” Arrivarono le pizze, e per qualche minuto il chiacchiericcio si fece più leggero. “E lei, Beatrice? Cosa ha deciso di affrontare a settembre?” chiese il docente giunto a metà della sua pizza. “Oh, un corso di filosofia e uno di letteratura americana. In pratica, voglio iterare un corso che ho seguito 40 anni fa!” Bassanelli rise di gusto. “Solamente questo? Ero certo si sarebbe lanciata sulla storia contemporanea, col Prof. Castiglioni o con la Prof. Palumbo.” “Pensavo di farlo il prossimo anno accademico, nel 2020/2021: so che il suo collega Castiglioni intende approfondire il periodo del Fronte popolare in Francia, farà anche un seminario…” “È bravo, Castiglioni. Mio fratello ha dato la tesi con lui lo scorso anno” intervenne Susy. “Oh, lui è intrippato con gli anni ’30 del secolo scorso!” esordì uno studente che in aula non stava mai fermo, che si chiamava Giuseppe. “Quest’anno lo ha fatto sulla guerra civile spagnola, due anni fa sulla nascita del nazismo in Germania…” “Oggettivamente, è un periodo interessante” intervenne Bassanelli. “Ho anche notato un rinnovato interesse sui risultati elettorali nella Germania di Weimar, molte persone non avevano ben chiaro che la fase iniziale dell’ascesa di Hitler avvenne perché vinse le elezioni” “E’ vero, dopo le elezioni di marzo!” commentò uno studente alto, con i capelli ricci. “Non correre, Ricky” disse uno studente che fino a quel momento aveva parlato poco. “Voglio sentire perché il Prof dice questo” “Perché si è riacceso il dibattito su un punto delicato, e cioè se gli elettori hanno sempre ragione. Per ora è un argomento da talk show, ma non mi stupirei se si allargasse anche nel mondo accademico” “E lei cosa ne pensa, Prof?” “Dovresti chiederlo al mio collega di filosofia della politica…” rispose Bassanelli con tono serafico. “Così non vale. Prof!” esclamarono quasi in coro i tre studenti seduti vicino a loro. “Beh, dico che gli elettori hanno sempre ragione, anche quando sbagliano. Come nel ’32 in Germania” “O come quattro mesi fa, da noi!” esclamò Ricky “Il solito fazioso piddino… ti brucia essere arrivato terzo!” lo canzonò Beppe, ma nessuno diede loro retta, né all’uno, né all’altro. “…e fatemi sentire cosa dice il prof!” “Mi volete proprio tirare dentro, voialtri, eh?” “Lo sappiamo che dietro la sua corazza da medievalista, si cela un cuore contemporaneo!” Questa era Valentina, che sembrava la più interessata a spingere Bassanelli a esprimersi, ma forse anche a mettersi in mostra ai suoi occhi. “Mi avete convinto, ma la risposta è banale. Gli italiani a marzo hanno votato male, come a dicembre di due anni fa al referendum costituzionale. Hanno votato male, ma avevano ragione” “Ma cosa vuol dire?” chiesero un paio di studenti. “Io ho votato NO al referendum perché volevo mandar via Renzi” disse John. “Io ho votato ‘SI’ perché la riforma era un miglioramento, anche se effettivamente non era il top” affermò invece Susy. Ricky assentì vistosamente. “Io non sono mai andato a votare, i politici parlano come se fossimo tutti deficienti, mi hanno stufato!” disse un altro, che si chiamava Fabrizio. “Piantatela, fate parlare il prof” li interruppe Valentina. Era ritornata la calma, ma Bassanelli era un po’ imbarazzato. “Sentite, non sono un fine analista politico, sui giornali e in TV c’è gente veramente in gamba…” “C’è anche un mucchio di stronzi!” lo interruppe John. “Il Prof dava per scontato che almeno noi fossimo in grado di distinguere, scemo!” intervenne di nuovo Valentina. Bassanelli, a quel punto era molto divertito. “Sentite, ci sono voluti parecchi anni prima che l’Europa precipitasse nel disastro, non fu solo a causa del voto dei tedeschi del ’32. Così come non fu solo grazie all’incendio del Reichstag che Hitler prese il potere. Fu un processo, e neanche troppo breve. Per lo stesso motivo, oggi non si può dire se gli italiani hanno fatto bene o hanno fatto male a far vincere i 5 Stelle. Vediamo che governo uscirà da questo Parlamento… anche questo dovrebbe essere un metro di valutazione, no? Viarenghi, lei non dice nulla?” Beatrice la pensava diversamente. “Io trovo che il peso del voto dei cittadini sulla scelta dei governi è talmente ridotto, che non si può ragionare sul voto partendo dai governi che nascono, almeno non nel breve periodo. In Italia i governi cambiano con una grande frequenza, non è una novità. Il problema sta principalmente nel sistema elettorale. La volontà espressa col referendum del 1993, nel tempo è stata tradita. Se si chiama i cittadini a esprimersi ogni 5 anni, illudendoli che il loro voto conti, poi si fanno e si disfano i governi ogni anno e mezzo-due, è inevitabile che una parte degli elettori usi la scheda elettorale come una clava” “In pratica lei spiega il successo della Lega e dei 5 Stelle in questo modo?” chiese Bassanelli. “Fondamentalmente, sì”, rispose Beatrice. “Certo, le loro parole d’ordine, l’immagine che i leader riescono a dare, le proposte cosiddette ‘identitarie’, sono tutte cose che hanno il loro peso. La radicalizzazione di questi aspetti, però, serve solo a rafforzare un’immagine, tutti sanno che una parte dell’elettorato sceglie in base a suggestioni basate sull’immagine. Poi, su questo, c’è chi spinge molto l’acceleratore, chi meno… “. Quasi tutti annuirono. “Viarenghi, non ti sapevo una così fine analista!” esclamò Beppe. “La sua teoria comunque è interessante” commentò Bassanelli. “In effetti non credo si possa dire che gli italiani hanno votato il Movimento 5 Stelle perché ritenessero all’altezza dei tempi la politica dei ‘vaffa’, o ritenessero Grillo il premier ideale… Comunque, complimenti per la sintesi” aggiunse poi. “Chi di ‘vaffa’ ferisce, di ‘vaffa’ perisce” sentenziò Ricky. “Oh, anche qui abbiamo un sottile analista, grande sintesi anche la tua, amico!” commentò Beppe. Una risata generale risolse la tensione che nel frattempo si era creata 15 (lo stesso Ricky ci rise sopra), e la serata proseguì allegramente ancora a lungo, nessuno aveva fretta di tornare a casa. Bassanelli ricevette una telefonata, chiedendo scusa, si allontanò dal tavolo, sul volto di molti passò la domanda “Chi era?”. Pur essendo molto cordiale con gli studenti, la sua vita privata era un mistero. Beatrice una volta l’aveva visto in centro, con una ragazza molto più giovane, bellissima, dai tratti caraibici, con la quale discuteva animatamente. Una figlia? La moglie? Un’amante? Poco dopo fu Beatrice a dover rispondere a una telefonata. Era Lucilla, la sua nipotina più piccola. Anche lei si allontanò dal tavolo. “Nonna, domani non vojjo andare dagli zii di Cuneo, non ci sono bambini, lì, io mi ‘nnoio! Posso venire da te?” “Tesoro, certo che puoi venire da me, però anche papà e mamma devono essere d’accordo” Rumore di cordless che passa da una mano ad un’altra. “Ciao mamma” “Ciao Sandra, hai sentito la bambina?” “Oh, mi fa disperare, ne ha sempre una! Però per domani, ha ragione, i fratelli più grandi stanno a Torino a studiare – almeno così dicono – non possono tenerla…” “La tengo io domani, non ti preoccupare” “Fantastico, mi togli un problema. Ma… cos’è questo rumore, sei in un ristorante?” “In pizzeria. Siamo una decina fra studenti e il docente.” “Ah, con Bassanelli…” “Certo… Sandra, ti devo lasciare, rimproveravo tua sorella che era sempre attaccata al cellulare anche quando c’erano altre persone…” “Hai ragione mamma, ci sentiamo domani mattina presto, ci mettiamo d’accordo per la bambina” “Ok, a domani” Chissà cosa voleva dire con quel ‘Ah, Bassanelli…’ La figlia lo conosceva indirettamente, una delle sue migliori amiche si era laureata con lui, alcuni anni prima. “Nipotina da sistemare…” disse tornando al tavolo. Si sedette nuovamente, scoprendo che la discussione sul referendum del 2016 era ricominciata. Si inserì fra i contendenti, che in quel momento erano Beppe e Ricky. Fabrizio ascoltava, ma taceva. Beppe sosteneva che gli italiani avevano fatto bene a respingere la riforma Renzi-Boschi, perché grazie a quella sconfitta, Renzi uscì di scena. Susy e Ricky, al contrario, sostenevano che gli aspetti essenziali erano da accogliere, perché quella riforma avrebbe rafforzato e reso più efficiente il sistema legislativo. Sulla stessa linea era Beatrice: “Ora Invece siamo in un sistema senza bussola, dove il risultato del voto conta meno di prima perchè la formazione dei governi è lasciata alle alchimie parlamentari, esattamente come nella prima repubblica. Siamo tornati indietro di vent’anni, su questo aveva ragione Renzi – anche se non sono una sua fan” tenne a precisare. “Però se vinceva il ‘SI’, Renzi, chi lo mandava più a casa?” obiettò Beppe. “Secondo me” intervenne Ricky, “Renzi aveva talmente deluso tutti quanti, che il PD si sarebbe comunque preso una legnata storica, come in effetti è avvenuto, e lui si sarebbe dimesso ugualmente, solo un anno dopo.” Per Beatrice, era un dejà vu: una discussione simile l’aveva avuta con Vani subito dopo i risultati del 4 marzo: “Io condivido la sua opinione” disse lei rivolta a Beppe ma riferendosi a Ricky. “In quasi tre anni di governo, ha scontentato tutti, gli insegnanti con la buona scuola, i dipendenti perché non parlava con i sindacati, i pensionati perché non ha dato gli 80 Euro che ha dato ai dipendenti, la riforma della giustizia non fatta, doveva rottamare mezzo mondo e invece ha resuscitato Berlusconi… solo per citare le più grosse… ha creato una sinergia al contrario, ha fatto convergere una parte della sinistra e buona parte dei sovranisti e dei populisti su un obiettivo comune”  “Grande stratega, il tuo Renzi!”. Beppe continuava col suo atteggiamento canzonatorio. “Non è il ‘mio’ Renzi” replicò Ricky, piccato. “Il mio segretario ora è Maurizio Martina…” “... segretario Reggente…” precisò Beppe, con pignoleria. “Piantatela tutti e due!” Era sempre Valentina che cercava di sedare le polemiche. “Le vostre polemiche non le capisco”, intervenne Fabrizio. “Ma davvero credete che i politici siano lì a fare il bene del popolo, e che la differenza fra destra e sinistra, fra centro e sopra e sotto, sia solo nel ‘modo’ per farlo? Ma quando mai! Vi devo citare Max Weber e i suoi scritti sul professionismo politico, per farvi aprire gli occhi? Ma scendete dalle nuvole, per piacere…” A quel punto, Valerio, che fino a quel momento aveva parlato poco, intervenne a gamba tesa. “Certo che voi di sinistra, chi la pensa diversamente non lo considerate manco di striscio!” Non aveva mai nascosto il suo orientamento conservatore, ma aveva sempre tenuto le distanze da posizioni estreme. Parlava poco, ma quando parlava, era un fiume in piena. Lo conoscevano, e gli lasciarono spazio. “Dai, sputa il rospo”, lo invitò John. “Fabrizio ha ragione, ma soprattutto trovo sgradevole questa specie di ‘pensiero unico’ del mondo della sinistra. Siete divisi su tutto, dalle politiche sull’immigrazione al contrasto alla povertà, però ciò che conta è combattere la destra, che fra l’altro è divisa pure lei, ma almeno quelli di destra non pretendono di essere ciò che non sono” “Cosa vuoi dire con questo?” chiese Ricky. Valerio si aggiustò sulla sedia. “Dovete scendere dal piedistallo e riconoscere che le persone si muovono in base ai loro interessi, non potete fare una politica che spreme chi produce la ricchezza, per poi ridistribuirla in modo 18 assistenziale, invece che fare investimenti produttivi. È un boomerang per tutta la società, anche per quelli che vorreste tutelare. Poi vi lamentate dell’evasione fiscale, dei capitali che fuggono all’estero… Vivete in una bolla fatta di buonismo e di belle parole. Poi, anche chi è di sinistra, si fa ugualmente i suoi interessi personali, però non lo volete ammettere. Questa bolla vi scoppierà in faccia!” Alcuni dissentivano da Valerio, chi muovendo il capo, chi alzando gli occhi al cielo; solo Fabrizio assentiva. Valentina avrebbe voluto troncare la discussione, ma non sapeva come. “Valerio, però ammetti che se non fosse stato per il movimento sindacale e per le teorie socialiste dell’800, le condizioni di vita della popolazione sarebbero ancora quelle del proletariato descritto nei romanzi di Dickens”, intervenne Susy. “Sarà, però io parlo dell’oggi, e oggi siamo al paradosso che i sindacati sovente hanno posizioni conservatrici, e la destra cerca di innovare” concluse Valerio. Fu Peroni, approfittando della pausa e giunto alla quarta birra, a cambiare registro. Pur rimanendo in tema. “Sentite invece queste due sui politici”, e raccontò un paio di barzellette che tutti trovarono divertenti. Questo diede il ‘via’ ad una sequenza di storielle che riguardavano un po’ tutti, da Berlusconi a Di Maio, e così la serata finì in allegria. Verso mezzanotte qualcuno disse che preferiva rientrare, anche dai tavoli vicini qualcuno si stava alzando, e a poco a poco il locale si svuotò.

 

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 3 - IN BIBLIOTECA. L’uomo alla reception le ricordava il Prof. Bassanelli: stesso fisico asciutto, stesso colorito abbronzato (carnagione o lampada?), stessa voce gradevole. “Buongiorno, sono Michel Fournier. Posso esserle d’aiuto?” “Buongiorno, sono Beatrice Viarenghi di Torino, ho scritto alcune mail i primi di luglio…” “Ah, bene, l’aspettavamo. Aveva accennato a una ricerca sul periodo del Fronte popolare… Anche se si chiama Istituto storico della Resistenza, abbiamo materiale interessante anche per il periodo che interessa a lei” “Più precisamente sugli anni immediatamente precedenti, in particolare mi interessa il 1934…” “Immagino avrà già letto i principali testi sull’argomento, forse è alla ricerca di fonti primarie?” Apprezzò subito l’intuito di quell’uomo. Diede qualche dettaglio sull’oggetto della sua ricerca, cioè i fatti di febbraio. “Vede, vorrei trovare qualche testimonianza di prima mano, cosa pensassero gli attivisti di base, la gente comune… Il contesto è ben noto, però quando cerco riferimenti più diretti, sembra di essere in un labirinto di specchi, dove ogni autore rinvia ad altri autori…” L’uomo sorrise, con l’aria di aver ben compreso. Le illustrò brevemente il contenuto e le origini degli archivi e dei ‘fondi’ depositati presso l’Istituto. Oltre a fonti fotografiche e raccolte di giornali, c’erano parecchi documenti non ancora informatizzati, ma classificati secondo criteri cronologici e di organizzazione di provenienza. Verbali di riunioni di comitati e associazioni, qualcosa di organizzazioni di base di partiti e sindacati (i documenti dei vertici regionali e nazionali dei partiti, ovviamente erano altrove), documenti privati che chiamavano ‘fondi’, in parte classificati, in parte no, dei quali però era nota la provenienza. Beatrice scelse di iniziare con i documenti dei Comitati e delle organizzazioni di base dei partiti, e con qualche fondo privato, che però fosse almeno vicino al periodo che le interessava. Michel l’accompagnò in una sala non molto grande, ma ben illuminata, e tornò con quattro scatoloni sopra un carrello. Il contenuto era genericamente descritto su un lato. Su uno di essi c’era scritto ‘1935/1936 - Fondo Fournier – Giroud’. Altri riportavano 1933 o 1934 con altri nomi. Beatrice si ripromise di chiedere se quello intestato “Fournier – Giroud” era di proprietà della famiglia di Michel, poi si tuffò nella lettura di quelli meno recenti. Verso le 11 decise di concedersi una pausa, e si avviò verso la reception, dove aveva visto due distributori automatici di snacks e bevande. Oltre Michel, al bancone c’era una giovane ragazza dall’aria timida. Entrambi erano impegnati con un visitatore. Sentì Michel dare istruzioni alla ragazza: “Pauline, accompagna il signore in sala lettura e portagli la raccolta del ‘Populaire” del 1944, credo sia quello che fa per lui” Pauline lo condusse nella stessa sala di lettura dove prima c’era Beatrice. Michel uscì dal bancone e le si avvicinò, chiedendole se gradisse un caffè. “Non è buono come il vostro – aggiunse- ma in genere piace anche agli italiani!” “Mi fido del suo giudizio, vada per il caffè” “Non le ho fatto i complimenti per il suo francese, Signora Viarenghi, si direbbe che è la sua madre lingua” “In parte è vero: mio nonno materno, era francese di origine, però in casa parlava italiano. Alle medie mi aiutava nella lingua francese, certamente ha influito” “Ah, interessante…”, commentò mentre programmava i due caffè. In quel momento suonò il cellulare di Beatrice. Stavolta era Sandra, che voleva solo sapere com’era andato il viaggio. “Bene, molto tranquillo, ho letto quasi tutto il tempo…” “Figuriamoci!”. Le figlie la consideravano una specie di topo da biblioteca. “Ah, ma mi sono anche dedicata ai rapporti sociali, cosa credi? Ho perfino incontrato un mio ex studente…” “Una botta di vita, allora!” “Spiritosa! Che fai, mi prendi in giro anche tu? Pensavo fosse una prerogativa di tua sorella!” “A proposito di Vani, mamma, sai che si sta impegnando per la lista civica nel suo Comune?” “Beh, non me l’aspettavo così presto… ma è una buona notizia. Ieri l’ho sentita, non mi ha detto nulla.

 

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4 – TRE FOTOGRAFIE. Quell’italiana gli piaceva, ma una parte di lui, non vedeva l’ora di uscire dall’Istituto e tornare in quella casa. Non era più casa sua, nel senso che non ci abitava più da tempo. Era la casa dove aveva vissuto sua nonna (e fino al 2001, lui con lei) fino a quando era mancata. Aveva 41 anni compiuti, quando era rimasto senza alcun parente, e sua nonna 95. Ora la casa era sua, ed era affittata, ma aveva un grande seminterrato con ingresso indipendente, che aveva tenuto per sé, di fatto una enorme cantina, quasi un magazzino. Gli era stata utile per conservare parecchie sue cose, ma era ancora piena di oggetti dei suoi genitori e di tutti i suoi nonni. Entrò in una specie di androne e aprì la porta chiusa a chiave che portava alla cantina. La scala che scendeva in cantina, non iniziava subito, c’era un piccolo pianerottolo. Aveva fatto intonacare l’ambiente e la scala di accesso, e aveva migliorato l’illuminazione. C’era anche un tavolino, utile per appoggiare gli oggetti, ma anche per guardare vecchi giornali, riviste e documenti. Lungo la scala erano appese alcune fotografie ben incorniciate. La prima era sul pianerottolo, e ritraeva i suoi nonni Charles e Sandrine, con suo padre ancora adolescente, in piedi fra loro. Suo padre teneva molto a quella fotografia. Era stata scattata poco dopo la fine della guerra, e quando Michel viveva con i suoi genitori, era appesa in salotto. Durante un temporale, la foto venne danneggiata da una infiltrazione di pioggia dal tetto, e il padre dedicò un intero pomeriggio a cercare il negativo fra molti altri, in uno scatolone pieno di ricordi e cianfrusaglie, per far riprodurre l’immagine da un laboratorio. Concentrò l’attenzione sul volto di sua nonna Sandrine. In quella foto era lei, nel pieno delle sue energie: un’espressione intensa e combattiva, dalla quale traspariva il suo passato da sindacalista, la pelle lievemente rugosa, la mano destra posata sulla spalla del figlio. Una forza, sua nonna Sandrine. E per molti aspetti, una vita sfortunata. Alla fine, era sopravvissuta a tutti quelli della generazione successiva alla sua. Scese alcuni gradini, dove era appesa la fotografia degli altri nonni, Victor e Marie, i genitori di sua madre Adèle, con due bambine: una molto piccola, in braccio a nonna Marie, l’altra in piedi, a fianco di Victor. La più piccola poteva avere due anni al massimo, la sorella minore di sua madre, una zia che non conobbe mai, perché morì di tifo a 4 anni. Quando era piccolo, sapeva bene che la bambina più grande era sua mamma, ma era convinto che quella più piccola fosse sua sorella, una sorellina che era andata in vacanza con i nonni, e lui aspettava il suo ritorno. Nessuno aveva osato dirgli che quella bambina non c’era più da molti anni. Quando acquisì meglio la nozione del tempo, capì che quella bambina non poteva essere sua sorella, e provò una grande delusione. In un angolo della sua mente, quella bambina continuò ad essere la sorella che non ebbe mai. Spostò lo sguardo su sua madre da bambina. Indossava un vestitino chiaro, poteva avere 7 o 8 anni, sembrava dovesse saltar fuori dalla cornice. Si rese conto di quanti aspetti avessero in comune sua madre e sua nonna Sandrine. Forse era vero quello che si dice, che nel coniuge, molte persone cercano qualcosa del genitore dell’altro sesso. Per suo padre, era certamente stato così. La terza fotografia, alla fine della scala, ritraeva i suoi genitori. Doveva essere stata scattata pochi mesi prima della sua nascita, nell’estate del ’59. Suo padre, molto elegante, teneva sua madre per la vita, quasi dovessero ballare. Lo sguardo di sua madre era ancora vivace e il sorriso un po’ ironico, ma non aveva più quell’aria da ragazzina furbetta che aveva nella foto precedente. Anche se da bambino aveva sentito molto la mancanza di sua madre, era consapevole che nelle decisioni familiari, sua madre era stata tutt’altro che assente. Una volta, Michel ne parlò col padre (loro due passavano molto tempo insieme, sia da ragazzo che da adulto), e si sentì dire che era stato così anche per lui, a sua volta. Sapeva che capitava più frequentemente l’opposto, ma nella sua famiglia era andata così. Tanto nonna Sandrine era impegnata in riunioni, comitati, raccolte di firme, manifestazioni, tanto suo padre si era tenuto lontano dalla politica attiva. Paradossalmente, aveva sposato una donna sempre impegnata, anche se in cose diverse da quelle di Sandrine: sua madre Adele aveva iniziato innumerevoli attività economiche, qualcuna anche con successo, quasi tutte nel settore artistico (l’ultima sua attività fu una casa d’aste specializzata in quadri e sculture, molto nota in quegli anni) ma era parecchio assente da casa. A prenderlo a scuola, ricordava che il più delle volte era suo padre, sovente sua nonna materna Marie, raramente sua madre. Anche nonno Victor era molto impegnato col lavoro. Aveva una piccola fabbrica fuori Parigi, e – come raccontava la fotografia - nessun figlio maschio. Forse aveva sperato che sua figlia Adele prendesse le redini dell’azienda, ma lei aveva altre cose per la testa. Victor aveva quasi perso le speranze, quando conobbe il nuovo fidanzato della figlia. L’impressione fu certamente di un giovanotto squattrinato, e il fatto che fosse figlio di una attivista politica e sindacale, non deponeva a suo favore, lui e Marie erano apertamente conservatori. Michel seppe poi che avevano appoggiato e finanziato un gruppo della resistenza francese vicino a De Gaulle. Ma era pacato e riflessivo, e ai loro occhi aveva altre due carte vincenti: era ingegnere e non si interessava di politica. Il prosecutore ideale per l’azienda! Col tempo, scoprirono che in realtà era sempre bene informato sulla politica nazionale, e che la sua collocazione non era cambiata rispetto alla tradizione di famiglia, diversa dalla loro, ma ormai non era più un problema. Aveva ragione quel suo amico, che sosteneva che l’interesse per la politica, sovente salta una generazione. E nella sua famiglia, era capitato così, almeno da parte di suo padre. Michel in gioventù aveva iniziato a seguire le orme della nonna: era stato attivo nelle contestazioni di fine anni ‘70, poi però aveva tenuto una posizione più defilata. Si era molto impegnato in numerose battaglie sui diritti civili, e sull’ambiente, ma non si era mai iscritto ad un partito politico. Provò ad abbracciare con lo sguardo le tre fotografie. Il documento trovato da quell’italiana, gli aveva fatto ricordare i racconti di sua nonna Sandrine, quando lavorava a Lille in una industria conserviera, all’epoca delle leggi promosse dal Fronte popolare in favore del lavoro, era stata delegata sindacale. Michel: Ma è lì che hai conosciuto il nonno? Sandrine: No, lo conobbi due anni prima, a Parigi, quando i fascisti cercarono di occupare il Parlamento. Che momento difficile. Non credere, quelli che volevano combattere Hitler, mica erano tutti d’accordo, bisticciavano fra di loro, eccome! Ma la risposta dei francesi fu incredibile. Due anni dopo vincemmo le elezioni. Michel: Perché, cosa fecero i francesi? Sandrine: Si unirono in una grande manifestazione contro Hitler, e contro i francesi che volevano trasformare la Francia in una prigione. I capi non riuscivano a mettersi d’accordo, fu la gente semplice, come me e il nonno a indicare loro la strada. Michel: Allora c’era anche il nonno, quella volta? Sandrine: E come poteva mancare? Poi andò tutto in malora, Hitler invase il Belgio, quel traditore di Pétain accettò la divisione della Francia, e fu la guerra. Michel: Il nonno è andato in guerra? Sandrine: No, metà della Francia era occupata dai tedeschi, l’altra metà dai loro amici. Con la scusa di non distruggere Parigi, vendettero l’anima. Fu grazie a De Gaulle, che ci salvammo dalla vergogna. E non era nemmeno uno dei nostri! Gli venne da sorridere a questi ricordi. Impiegò qualche anno a capire che ‘uno dei nostri’, per nonna Sandrine era un concetto a geometria variabile. Qualche volta intendeva “noi della sinistra”, altre volte “noi antifascisti”, altre volte ancora “noi del sindacato”. Alla fine, imparò a fare la tara, e a capirne il significato dal contesto. Se la ricordava così, sua nonna. Quando parlava degli eventi del passato, si infervorava come se stesse combattendo da sola contro le SS e la Wehrmacht messe assieme. E poi, le chiedevi una cosa, rispondeva come se gliene avessi chiesta un’altra. Ancora oggi, non sapeva se nonno Charles fosse andato in guerra, anche se pensava di no. Nessun foglio di congedo, nessuna foto in divisa, nessun ricordo militare, che so, una mostrina, un berretto… Il suo pensiero tornò al motivo per cui stava tornando in quella cantina. Un tarlo continuava a scavare nella sua mente. Era il 1990, Michel aveva 30 anni, e sua nonna, per la prima volta in vita sua, doveva essere ricoverata in ospedale. Una brutta polmonite, avevano detto. Sandrine: Se non torno dall’ospedale, ricordati cosa ti ho detto di fare. Michel non era più un bambino, ma il tono della nonna a volte era 30 ancora quello. “Certo che mi ricordo: porto all’Istituto storico della Resistenza tutti i documenti della cassapanca grigia, ma solo quelli, Se trovo altro, non li tocco e ti avviso”. Sandrine: Hai capito bene. Michel: Ma tu torni tra pochi giorni, e noi ti leghiamo alla poltrona, così non vai più in cantina a prendere freddo e a respirare polvere… i tuoi documenti li bruciamo e tu starai tranquilla. Sandrine: Se fai questo, ti disconosco come nipote! Non furono pochi giorni, ma tornò in salute, anche se l’umore e le energie non erano più quelle di prima. Sembrava che la vita familiare fosse tornata alla normalità, quando una serie di sciagure si abbatterono sulla loro famiglia. Nel giro di un anno e mezzo, morirono i suoi nonni materni, suo padre in un di incidente d’auto, e pochi mesi dopo anche sua madre, che non si era più ripresa dopo la morte del marito. La nonna non arrivò a 100 anni, si fermò a 95. Alla fine del 2010 venne nuovamente ricoverata in ospedale, ma stavolta era una cosa più seria. Michel ricordava l’ultima volta che la vide, era gennaio 2011, sembrava lucida, ma non sempre le venivano le parole. Sandrine: Ti ricordi … cosa devi fare? Michel: Porto i documenti della cassapanca grigia all’Istituto, e gli altri li conservo da un’altra parte. Sandrine: No, gli altri … li devi bruciare. Non fu stupito dalla radicalità di quelle parole, pronunciate quasi con stizza, fu stupito del fatto che aveva cambiato idea sulla fine degli “altri” documenti. Proprio lei, che era sempre stata ‘fedele alla linea’, pensò con un filo di ironia, ora la cambiava!  Sandrine: Tanto non c’è altro, quello che non serviva, l’ho buttato. Obbedì solo alla prima parte delle ultime volontà di sua nonna, ma non si decise mai a vedere se era rimasto qualcosa, o se la nonna aveva davvero buttato via tutto. Non avrebbe immaginato che la consegna dei documenti contenuti nella cassapanca grigia, avrebbe dato una svolta alla sua vita. All’Istituto gli chiesero se volesse aiutare gli altri volontari nella catalogazione dei ‘suoi’ documenti. Poi continuò con gli altri archivi che giacevano negli scantinati, e con quelli che ogni tanto arrivavano dai figli e dai nipoti di chi aveva vissuto gli anni del Fronte popolare, di chi era andato volontario in Spagna all’epoca della guerra civile, di chi aveva fatto la resistenza. Problemi economici non ne aveva, grazie soprattutto al periodo durante il quale lui e il padre proseguirono l’attività di nonno Victor, e poi dopo la morte del padre, grazie alla sua attività professionale e agli affitti. Si distolse dai ricordi, e con passo risoluto scese gli ultimi gradini. Era giunto il momento di cercare risposta alle numerose domande che si erano accumulate sul passato di sua nonna. Perché non consegnare tutti i documenti all’Istituto? Perché quelli ‘esclusi’ prima li voleva tenere, poi li voleva bruciare? Perché quei vuoti sulla vita di nonno Charles? Era andato in guerra? Ora che queste ed altre domande erano tutte in fila, era ora di cercare delle risposte. Sperò non fosse vero che la nonna avesse buttato via tutto. (continua)



[1] PCF=Parti Communiste Français e sindacato ad esso collegato: CGTU

[2] SFIO=Section Française de l’Internationale Ouvrière (Partito Socialista Francese) e sindacato ad esso collegato: CGT 

 

Marco Cignetti

BIONOTA 

Marco Cignetti è un commercialista che si è sempre interessato di letteratura, politica, storia, cinema e

varia umanità. Classe 1956, per il 50% si sente cittadino del mondo, per il 50% italiano e per il restante 50% torinese, anche se abita in provincia. Nonno di tre nipoti e zio o prozio di altri, cerca di emularli, smanettando sui social: qualche volta ci riesce, a volte fa pasticci, ma non rinuncia.

Vorrebbe scrivere e girare il mondo, prima che sia il mondo a dare il giro.

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