Parigi 12 febbraio 1934 di Marco Cignetti - parte I ( storia&narrativa)
STORIA & NARRATIVA
Marco
Cignetti
Parigi, 12 febbraio 1934
Un
episodio del passato – Un insegnamento sempre attuale
Prima
parte
PERSONAGGI ITALIANI Beatrice Viarenghi – insegnante di
francese in pensione (*1960) Sandra, figlia maggiore di Beatrice (*1983)
Silvana, detta “Vani”, figlia minore di Beatrice (*1993) Gianni, compagno di
Vani Sandra Durando, madre di Beatrice (*1936 ╬2012) Giacomo Durando, nonno
materno di Beatrice (*1917 ╬ 1991) Beatrice Costa, nonna materna di Beatrice e
moglie di Giacomo (*1919 ╬ 1996) Prof. Castiglioni, docente di storia moderna e
tutor di Beatrice (A.A. 2020/2021) Prof. Bassanelli, docente di storia
medievale di Beatrice (A.A. 2017/2018) Ricky, Fabrizio, Valerio, Susy,
Valentina, Beppe, “John”, “Peroni”, studenti di Bassanelli (seminario su Carlo
Magno – A.A. 2017/2018) Francesco Rossi, ex allievo di Beatrice incontrato sul
treno con due amici.
PERSONAGGI FRANCESI
Michel Fournier, dell’Istituto storico della Resistenza di Parigi (*1960)
Jacques Fournier, padre di Michel (*1935 ╬ 1989) Sandrine Giroud, nonna paterna
di Michel (*1916 ╬ 2001) Charles Fournier, suo marito (*1915 ╬ 1970) Victor e
Marie, nonni materni di Michel Justine, amica di Michel.
***
1 - IN TRENO (ESTATE 2021) La donna arrivò
dalla stazione Porta Susa di buon’ora. Una rapida occhiata al tabellone per
capire da quale binario sarebbe partito il treno, poi uno sguardo attorno a sé
per meglio assaporare il piacere della partenza; scese la scala che portava
alla sua piattaforma e attese l’arrivo del treno. Attorno a lei una ovattata
concitazione, di persone che sanno cosa devono fare, quasi nessuno aveva
fretta, nessuno indugiava inutilmente, nessuno arrivò all’ultimo istante. Non
fosse stato per le mascherine che davano un tocco di irrealtà alla scena,
poteva sembrare un giorno come tanti degli ultimi anni. Quando il treno arrivò,
salì sul suo vagone, un vagone “open air” senza scompartimenti; sistemò la
valigia trolley nell’apposito vano e si accomodò sulla sua poltroncina
prenotata. “Il dado è tratto” pensò. Poi si accorse che era una sciocchezza. Il
dado era stato tratto alcuni mesi prima, quando aveva deciso di aggregarsi al
gruppo di studio sul decennio precedente la Seconda guerra mondiale in Francia,
e proporre al tutor di approfondire alcuni eventi del febbraio del 1934. O
forse il vero momento della scelta fu qualche settimana prima, quando aveva
scoperto che il materiale reperibile su internet e nelle varie biblioteche
cittadine non era sufficiente. O forse solo dieci giorni fa, quando, con la
scusa della ricerca, aveva deciso di tornare a Parigi e godersi una vacanza. Il
treno prese rapidamente velocità. In pochi minuti uscì dalla città. Non avrebbe
voluto staccare gli occhi dal finestrino, la campagna piemontese le aveva
sempre dato un senso di serenità, ma a un certo punto, nella sua mente scattò
una misteriosa molla, quella che mette in moto i pensieri di chi è affascinato
da qualche argomento. Smise di godersi il panorama, aprì la cartella piena di
documenti, fascicoli, fotocopie e appunti, ed estrasse quello che in qualche
modo era stato l’inizio di tutto. Il documento iniziava parlando delle
manifestazioni della destra francese del 6 febbraio 1934. L’ “Action Française”,
le organizzazioni patriottiche giovanili - alle quali si unirono le Croci di
Fuoco e l’Unione Nazionale Combattenti - indirono una manifestazione per il 6
febbraio del ’34, giorno in cui Eduard Daladier, membro del Partito Radicale,
si presentava alla Camera dei deputati per ottenere la fiducia. L’ex capo del
governo Camille Chautemps si era dimesso precedentemente a causa degli scandali
che avevano implicato figure di secondo piano del Partito Radicale. Tra questi
il più noto era il caso Stavisky. (…) Così il 6 febbraio la folla riunitasi per
la manifestazione sulla riva destra del fiume, cercò di riversarsi in Place de
la Concorde (posta di fronte alla Camera dei deputati) scontrandosi
pesantemente con la polizia nel tentativo di espugnare il Parlamento.
L’episodio le ricordò quanto era avvenuto solo pochi mesi prima a Washington,
prima dell’elezione di Biden alla presidenza degli Stati Uniti. Appuntò sul
foglio “approf.similit.Capitol Hill”. Gli scontri furono tali che 17 persone
perirono mentre ben 2300 rimasero ferite. Questi episodi erano i più gravi di
una lunga serie di scontri e violenze che avevano visto le leghe di destra
protagoniste della politica francese dall’inizio del ’34. Inoltre, Daladier, a
cui subentrò l’ex presidente della repubblica Doumergue a capo di un così detto governo di
“Unità Nazionale”, si dimise. Altre fonti parlavano di 12 morti, altre di 18 ma
ciò non diminuiva la gravità dell’episodio, pensò. Passò a un secondo foglio,
questo tradotto da lei, tratto da Wikipedia francese. (…) Tuttavia, il 6
febbraio innescò una dinamica che gradualmente prevarrà sulle controversie
degli “apparati”. [rif. necessario]. Il giorno dopo, furono formati diversi
comitati antifascisti, composti da socialisti, radicali e rappresentanti di
vari gruppi di sinistra, ma mai comunisti. Persistono le divisioni ideologiche.
Il 9 febbraio, il PCF e la CGTU[1] organizzano un grande
raduno a Place de la République, contro il fascismo e le ambiguità del governo.
Da parte sua, la SFIO[2] preferisce aderire alla
chiamata della CGT, la quale aveva proclamato uno sciopero generale per il 12
febbraio. “Già questo la dice lunga sui rapporti interni alla sinistra
francese
dell’epoca”
pensò. E anche questo le ricordò qualcosa dell’attualità e della storia del suo
paese. Il PCF decide di unirsi alla manifestazione, sperando ancora di attrarre
alla sua linea politica i militanti socialisti, posizionando altoparlanti lungo
tutto il corteo. Tuttavia, avvenne il contrario: “I militanti comunisti si
uniscono al corteo socialista, abbandonando i binari e gli oratori comunisti,
ed è al grido di “Unità! Unità!” che i militanti dei due partiti sfilano
insieme”. Si tratta quindi dei militanti ordinari, che contro la volontà degli
stati maggiori hanno fatto del 12 febbraio 1934 una manifestazione unitaria,
preparando così gli animi all’idea del Fronte Popolare. Episodio sintomatico
del desiderio di una unione antifascista molto più presente alla base che ai
vertici dei due partiti, i cui dirigenti ancora si odiavano a vicenda [rif.
necessario] “Certo che il “rif.” è necessario cara wiki! – pensò. “Sto andando
a Parigi proprio per questo!” Ecco in poche frasi il motivo (o il pretesto) per
un viaggio a Parigi. “Professoressa Viarenghi è proprio lei!” Nonostante la
mascherina (o forse proprio a causa di quella) impiegò un paio di secondi per
riconoscere Rossi, uno dei suoi più bravi allievi della quinta, maturati tre
anni prima. La sua ultima quinta, il suo ultimo anno di insegnamento.
“Francesco Rossi, qual buon vento ti porta in Francia? Non certo il ricordo dei
miei insegnamenti, immagino”. “Scherza? Se mi sono appassionato alla cultura
francese, è grazie a lei!” “Beh, ne sono felice. Cosa fai di bello, vai
all’università, immagino” “Sì: biologia. Ma il suo francese mi è servito, lo
scorso anno ho conosciuto una ragazza di Lione, ora vado a trovarla. “Ah, cherchez la
femme…!” “Beh, per ora…” disse Francesco arrossendo un po’ “Fra’, ti sbrighi?
Facciamo colazione senza di te!” “Vai, non far aspettare i tuoi amici” “No… più
tardi passo a trovarla, se le fa piacere…” “Volentieri, così mi racconti…” I
ragazzi proseguirono verso il vagone bar. Beatrice tornò a guardare i suoi
appunti. In realtà li vedeva, ma in quel momento non li stava guardando.
L’incontro con quel suo studente di quinta, le rammentò un altro incontro, che
si era svolto pochi giorni dopo l’esame di maturità di Rossi e della sua
classe. “Prof. Beatrice Viarenghi, lei ci abbandona! Non riesco a farmene una
ragione. Non ha ancora diritto alla pensione, ha un grande carisma con i
ragazzi, tutti i colleghi la stimano; perché se ne vuole andare?” Così le aveva
parlato il dirigente scolastico, l’ultimo giorno di servizio. Gli aveva raccontato
ciò che raccontava a tutti. Non perché si trovasse male con i colleghi, non
perché stanca di insegnare, non perché avesse la necessità di seguire qualche
genitore anziano, no. Nulla di tutto questo. Semplicemente sentiva che un ciclo
della sua vita stava finendo, che preferiva finire con una quinta, e che - ma
questo non lo diceva a tutti - voleva tornare a studiare. Le sue amiche la
prendevano in giro sostenendo che tornare a fare la studentessa era una scusa
per frequentare dei giovani. “Scommetto che ti cercherai un toy boy.” le aveva
detto una sera Marta, quella delle battute più spinte. Erano al ristorante, si
erano scolate due bottiglie di Barolo in tre, avevano riso tutta la sera.
Ovviamente lo scopo non era cercarsi un toy boy, e poi era stata tra i giovani
tutta la vita. Una volta che aveva iniziato a frequentare i corsi a Palazzo
Nuovo, provava perfino un po’ di disagio: quasi tutti i docenti erano più
giovani di lei. Per non parlare degli assistenti! Rise fra sé e sé, ricordando
quando la ‘Prof’ era lei. Quando decise di tornare alla lettura dei suoi
appunti, il treno era arrivato a Modane.
Il
treno viaggiava in Francia da un po’. Smise di leggere e provò a farsi cullare
dal dondolio del treno. Ma era un movimento molto diverso da quello degli
Intercity della sua gioventù. Poi iniziò a farsi cullare dai ricordi della sua
vita da insegnante, poi dal ricordo dei preparativi per il viaggio, e infine
dalla partenza di quella mattina. Aveva già indossato le scarpe, quando si
fermò davanti al ritratto del marito, una foto incorniciata sul comò del
corridoio. Tutte le volte che stava lontano da casa, fosse qualche giorno,
fosse qualche settimana, si immedesimava in Pereira, il Pereira interpretato da
Marcello Mastroianni, il Pereira che sul punto di abbandonare Lisbona e il
Portogallo, caduto in mano a una dittatura sanguinaria, metteva nello zaino il
ritratto della moglie, parlando con affetto a quell’immagine, come se fosse una
persona viva. Questa volta, invece, fu il ritratto del marito a parlare, e le
augurò buon viaggio. Non saprà mai se a svegliarla fu la sorpresa del marito
che le parlava attraverso la fotografia, o il cellulare che suonava. Decise di
occuparsi delle questioni più terrene, e cercò l’apparecchio nella borsa. Era
sua figlia Silvana, la più giovane delle sue due figlie, quella che più l’aveva
fatta preoccupare da giovane, quella che più si divertiva a punzecchiarla e
della quale accettava malvolentieri critiche e punzecchiature. “Ciao mamma,
allora sei già in viaggio?” “Si, Vani, ho poi preso il treno del mattino”
“Scommetto che non vedi l’ora di prendere la TAV… se e quando ci sarà!” “Ehi,
mi hai appena chiamato e già mi stai provocando!” “Dai, lo sai che scherzavo…”
“Ok, deponiamo le armi. Dimmi, come sta Gianni?” “Sta bene, da lui hanno
ripreso a lavorare normalmente la scorsa settimana” “Salutamelo tanto, lo sai
Gianni mi piace” “Lo so, confesso che sono ancora stupita adesso: non pensavo
saresti andata d’accordo con lui.” “Abbiamo in comune l’amore per la libertà di
pensiero, dici poco? Piuttosto, da te hanno ripreso a lavorare?” “Quasi, ci
sono solo più 10 colleghi in cassa, ma sembra riprenderanno già tutti a
settembre” “Bene, stiamo uscendo da questa maledetta pandemia…” “Sai, sto
seguendo un corso di aggiornamento su nuovi software di trattamento
dell’immagine, sono una figata! Ci hanno mandato solo in due… poi dovremo insegnare
agli altri, ma non mi dispiace.” Buon sangue non mente, pensò. Percepì la
contentezza della figlia, in fondo, se la mandano a quei corsi, è perché hanno
fiducia in lei. Rumore di bambini in sottofondo. A volte Vani teneva i figli
della vicina di casa. “BASTA BAMBINI!!! Dicevo… non mi hai ancora spiegato bene
cosa vai a fare a Parigi” La comunicazione era resa più difficile anche
dall’altoparlante che annunciava l’arrivo a Lione. “Sto facendo una ricerca su
un periodo storico molto interessante, pensa che…” Rumore più forte di bambini,
che si accavalla all’altoparlante del treno. Passa Francesco, il suo ex
allievo, che mezz’ora prima era tornato nel vagone di Beatrice, ma vedendola
assopita, aveva rinunciato alla chiacchierata in programma. Così, vedendola ora
col cellulare all’orecchio, la saluta con un cenno della mano. Passano anche i
suoi amici. “Scusa mamma, questi si stanno ammazzando. Ti devo lasciare” “Non
importa, ci sentiamo più avanti; ciao Vani” “Ciao mamma” Il rumore del treno in
frenata copriva le voci, ma ne sentì distintamente una in lontananza che
diceva: “Fra’, la tua Prof. è ancora una bella donna! ...” “Piantala, magari ti
sente!” I ragazzi attendono sulla piattaforma che il treno si fermi, non hanno
visto che Beatrice Viarenghi ha chiuso la comunicazione. L’altoparlante
annuncia “Lyon… gare du Saint Exupery”. I ragazzi scendono dal treno. “Ancòra …
bella donna…” pensò. “Una contraddizione in termini? No, forse una figura
retorica?” si chiese. Come un ossimoro, o una correctio. Comunque,
finché lo pensano dei ragazzi, si disse, non devo sottilizzare, esserne
contenta e basta. E sorridendo fra sé e sé, tornò ai suoi appunti.
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[1] PCF=Parti Communiste Français e sindacato ad esso collegato: CGTU
[1] SFIO=Section Française de l’Internationale Ouvrière (Partito Socialista Francese) e sindacato ad esso collegato: CGT
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3 - IN BIBLIOTECA. L’uomo alla reception le ricordava il Prof. Bassanelli: stesso fisico asciutto, stesso colorito abbronzato (carnagione o lampada?), stessa voce gradevole. “Buongiorno, sono Michel Fournier. Posso esserle d’aiuto?” “Buongiorno, sono Beatrice Viarenghi di Torino, ho scritto alcune mail i primi di luglio…” “Ah, bene, l’aspettavamo. Aveva accennato a una ricerca sul periodo del Fronte popolare… Anche se si chiama Istituto storico della Resistenza, abbiamo materiale interessante anche per il periodo che interessa a lei” “Più precisamente sugli anni immediatamente precedenti, in particolare mi interessa il 1934…” “Immagino avrà già letto i principali testi sull’argomento, forse è alla ricerca di fonti primarie?” Apprezzò subito l’intuito di quell’uomo. Diede qualche dettaglio sull’oggetto della sua ricerca, cioè i fatti di febbraio. “Vede, vorrei trovare qualche testimonianza di prima mano, cosa pensassero gli attivisti di base, la gente comune… Il contesto è ben noto, però quando cerco riferimenti più diretti, sembra di essere in un labirinto di specchi, dove ogni autore rinvia ad altri autori…” L’uomo sorrise, con l’aria di aver ben compreso. Le illustrò brevemente il contenuto e le origini degli archivi e dei ‘fondi’ depositati presso l’Istituto. Oltre a fonti fotografiche e raccolte di giornali, c’erano parecchi documenti non ancora informatizzati, ma classificati secondo criteri cronologici e di organizzazione di provenienza. Verbali di riunioni di comitati e associazioni, qualcosa di organizzazioni di base di partiti e sindacati (i documenti dei vertici regionali e nazionali dei partiti, ovviamente erano altrove), documenti privati che chiamavano ‘fondi’, in parte classificati, in parte no, dei quali però era nota la provenienza. Beatrice scelse di iniziare con i documenti dei Comitati e delle organizzazioni di base dei partiti, e con qualche fondo privato, che però fosse almeno vicino al periodo che le interessava. Michel l’accompagnò in una sala non molto grande, ma ben illuminata, e tornò con quattro scatoloni sopra un carrello. Il contenuto era genericamente descritto su un lato. Su uno di essi c’era scritto ‘1935/1936 - Fondo Fournier – Giroud’. Altri riportavano 1933 o 1934 con altri nomi. Beatrice si ripromise di chiedere se quello intestato “Fournier – Giroud” era di proprietà della famiglia di Michel, poi si tuffò nella lettura di quelli meno recenti. Verso le 11 decise di concedersi una pausa, e si avviò verso la reception, dove aveva visto due distributori automatici di snacks e bevande. Oltre Michel, al bancone c’era una giovane ragazza dall’aria timida. Entrambi erano impegnati con un visitatore. Sentì Michel dare istruzioni alla ragazza: “Pauline, accompagna il signore in sala lettura e portagli la raccolta del ‘Populaire” del 1944, credo sia quello che fa per lui” Pauline lo condusse nella stessa sala di lettura dove prima c’era Beatrice. Michel uscì dal bancone e le si avvicinò, chiedendole se gradisse un caffè. “Non è buono come il vostro – aggiunse- ma in genere piace anche agli italiani!” “Mi fido del suo giudizio, vada per il caffè” “Non le ho fatto i complimenti per il suo francese, Signora Viarenghi, si direbbe che è la sua madre lingua” “In parte è vero: mio nonno materno, era francese di origine, però in casa parlava italiano. Alle medie mi aiutava nella lingua francese, certamente ha influito” “Ah, interessante…”, commentò mentre programmava i due caffè. In quel momento suonò il cellulare di Beatrice. Stavolta era Sandra, che voleva solo sapere com’era andato il viaggio. “Bene, molto tranquillo, ho letto quasi tutto il tempo…” “Figuriamoci!”. Le figlie la consideravano una specie di topo da biblioteca. “Ah, ma mi sono anche dedicata ai rapporti sociali, cosa credi? Ho perfino incontrato un mio ex studente…” “Una botta di vita, allora!” “Spiritosa! Che fai, mi prendi in giro anche tu? Pensavo fosse una prerogativa di tua sorella!” “A proposito di Vani, mamma, sai che si sta impegnando per la lista civica nel suo Comune?” “Beh, non me l’aspettavo così presto… ma è una buona notizia. Ieri l’ho sentita, non mi ha detto nulla.
***
4
– TRE FOTOGRAFIE. Quell’italiana gli piaceva, ma una parte di lui, non vedeva
l’ora di uscire dall’Istituto e tornare in quella casa. Non era più casa sua,
nel senso che non ci abitava più da tempo. Era la casa dove aveva vissuto sua
nonna (e fino al 2001, lui con lei) fino a quando era mancata. Aveva 41 anni
compiuti, quando era rimasto senza alcun parente, e sua nonna 95. Ora la casa
era sua, ed era affittata, ma aveva un grande seminterrato con ingresso
indipendente, che aveva tenuto per sé, di fatto una enorme cantina, quasi un
magazzino. Gli era stata utile per conservare parecchie sue cose, ma era ancora
piena di oggetti dei suoi genitori e di tutti i suoi nonni. Entrò in una specie
di androne e aprì la porta chiusa a chiave che portava alla cantina. La scala
che scendeva in cantina, non iniziava subito, c’era un piccolo pianerottolo.
Aveva fatto intonacare l’ambiente e la scala di accesso, e aveva migliorato
l’illuminazione. C’era anche un tavolino, utile per appoggiare gli oggetti, ma
anche per guardare vecchi giornali, riviste e documenti. Lungo la scala erano
appese alcune fotografie ben incorniciate. La prima era sul pianerottolo, e
ritraeva i suoi nonni Charles e Sandrine, con suo padre ancora adolescente, in
piedi fra loro. Suo padre teneva molto a quella fotografia. Era stata scattata
poco dopo la fine della guerra, e quando Michel viveva con i suoi genitori, era
appesa in salotto. Durante un temporale, la foto venne danneggiata da una
infiltrazione di pioggia dal tetto, e il padre dedicò un intero pomeriggio a cercare
il negativo fra molti altri, in uno scatolone pieno di ricordi e cianfrusaglie,
per far riprodurre l’immagine da un laboratorio. Concentrò l’attenzione sul
volto di sua nonna Sandrine. In quella foto era lei, nel pieno delle sue
energie: un’espressione intensa e combattiva, dalla quale traspariva il suo
passato da sindacalista, la pelle lievemente rugosa, la mano destra posata
sulla spalla del figlio. Una forza, sua nonna Sandrine. E per molti aspetti,
una vita sfortunata. Alla fine, era sopravvissuta a tutti quelli della
generazione successiva alla sua. Scese alcuni gradini, dove era appesa la
fotografia degli altri nonni, Victor e Marie, i genitori di sua madre Adèle,
con due bambine: una molto piccola, in braccio a nonna Marie, l’altra in piedi,
a fianco di Victor. La più piccola poteva avere due anni al massimo, la sorella
minore di sua madre, una zia che non conobbe mai, perché morì di tifo a 4 anni.
Quando era piccolo, sapeva bene che la bambina più grande era sua mamma, ma era
convinto che quella più piccola fosse sua sorella, una sorellina che era andata
in vacanza con i nonni, e lui aspettava il suo ritorno. Nessuno aveva osato
dirgli che quella bambina non c’era più da molti anni. Quando acquisì meglio la
nozione del tempo, capì che quella bambina non poteva essere sua sorella, e
provò una grande delusione. In un angolo della sua mente, quella bambina
continuò ad essere la sorella che non ebbe mai. Spostò lo sguardo su sua madre
da bambina. Indossava un vestitino chiaro, poteva avere 7 o 8 anni, sembrava
dovesse saltar fuori dalla cornice. Si rese conto di quanti aspetti avessero in
comune sua madre e sua nonna Sandrine. Forse era vero quello che si dice, che
nel coniuge, molte persone cercano qualcosa del genitore dell’altro sesso. Per
suo padre, era certamente stato così. La terza fotografia, alla fine della
scala, ritraeva i suoi genitori. Doveva essere stata scattata pochi mesi prima
della sua nascita, nell’estate del ’59. Suo padre, molto elegante, teneva sua
madre per la vita, quasi dovessero ballare. Lo sguardo di sua madre era ancora
vivace e il sorriso un po’ ironico, ma non aveva più quell’aria da ragazzina
furbetta che aveva nella foto precedente. Anche se da bambino aveva sentito
molto la mancanza di sua madre, era consapevole che nelle decisioni familiari,
sua madre era stata tutt’altro che assente. Una volta, Michel ne parlò col
padre (loro due passavano molto tempo insieme, sia da ragazzo che da adulto), e
si sentì dire che era stato così anche per lui, a sua volta. Sapeva che
capitava più frequentemente l’opposto, ma nella sua famiglia era andata così.
Tanto nonna Sandrine era impegnata in riunioni, comitati, raccolte di firme,
manifestazioni, tanto suo padre si era tenuto lontano dalla politica attiva.
Paradossalmente, aveva sposato una donna sempre impegnata, anche se in cose
diverse da quelle di Sandrine: sua madre Adele aveva iniziato innumerevoli
attività economiche, qualcuna anche con successo, quasi tutte nel settore
artistico (l’ultima sua attività fu una casa d’aste specializzata in quadri e
sculture, molto nota in quegli anni) ma era parecchio assente da casa. A
prenderlo a scuola, ricordava che il più delle volte era suo padre, sovente sua
nonna materna Marie, raramente sua madre. Anche nonno Victor era molto
impegnato col lavoro. Aveva una piccola fabbrica fuori Parigi, e – come
raccontava la fotografia - nessun figlio maschio. Forse aveva sperato che sua
figlia Adele prendesse le redini dell’azienda, ma lei aveva altre cose per la
testa. Victor aveva quasi perso le speranze, quando conobbe il nuovo fidanzato
della figlia. L’impressione fu certamente di un giovanotto squattrinato, e il
fatto che fosse figlio di una attivista politica e sindacale, non deponeva a
suo favore, lui e Marie erano apertamente conservatori. Michel seppe poi che
avevano appoggiato e finanziato un gruppo della resistenza francese vicino a De
Gaulle. Ma era pacato e riflessivo, e ai loro occhi aveva altre due carte vincenti:
era ingegnere e non si interessava di politica. Il prosecutore ideale per
l’azienda! Col tempo, scoprirono che in realtà era sempre bene informato sulla
politica nazionale, e che la sua collocazione non era cambiata rispetto alla
tradizione di famiglia, diversa dalla loro, ma ormai non era più un problema.
Aveva ragione quel suo amico, che sosteneva che l’interesse per la politica,
sovente salta una generazione. E nella sua famiglia, era capitato così, almeno
da parte di suo padre. Michel in gioventù aveva iniziato a seguire le orme
della nonna: era stato attivo nelle contestazioni di fine anni ‘70, poi però
aveva tenuto una posizione più defilata. Si era molto impegnato in numerose
battaglie sui diritti civili, e sull’ambiente, ma non si era mai iscritto ad un
partito politico. Provò ad abbracciare con lo sguardo le tre fotografie. Il
documento trovato da quell’italiana, gli aveva fatto ricordare i racconti di
sua nonna Sandrine, quando lavorava a Lille in una industria conserviera,
all’epoca delle leggi promosse dal Fronte popolare in favore del lavoro, era
stata delegata sindacale. Michel: Ma è lì che hai conosciuto il nonno?
Sandrine: No, lo conobbi due anni prima, a Parigi, quando i fascisti cercarono
di occupare il Parlamento. Che momento difficile. Non credere, quelli che
volevano combattere Hitler, mica erano tutti d’accordo, bisticciavano fra di
loro, eccome! Ma la risposta dei francesi fu incredibile. Due anni dopo
vincemmo le elezioni. Michel: Perché, cosa fecero i francesi? Sandrine: Si
unirono in una grande manifestazione contro Hitler, e contro i francesi che
volevano trasformare la Francia in una prigione. I capi non riuscivano a
mettersi d’accordo, fu la gente semplice, come me e il nonno a indicare loro la
strada. Michel: Allora c’era anche il nonno, quella volta? Sandrine: E come
poteva mancare? Poi andò tutto in malora, Hitler invase il Belgio, quel
traditore di Pétain
accettò la divisione della Francia, e fu la guerra. Michel: Il nonno è andato
in guerra? Sandrine: No, metà della Francia era occupata dai tedeschi, l’altra
metà dai loro amici. Con la scusa di non distruggere Parigi, vendettero
l’anima. Fu grazie a De Gaulle, che ci salvammo dalla vergogna. E non era
nemmeno uno dei nostri! Gli venne da sorridere a questi ricordi. Impiegò qualche
anno a capire che ‘uno dei nostri’, per nonna Sandrine era un concetto a
geometria variabile. Qualche volta intendeva “noi della sinistra”, altre volte
“noi antifascisti”, altre volte ancora “noi del sindacato”. Alla fine, imparò a
fare la tara, e a capirne il significato dal contesto. Se la ricordava così,
sua nonna. Quando parlava degli eventi del passato, si infervorava come se
stesse combattendo da sola contro le SS e la Wehrmacht messe assieme. E poi, le
chiedevi una cosa, rispondeva come se gliene avessi chiesta un’altra. Ancora
oggi, non sapeva se nonno Charles fosse andato in guerra, anche se pensava di
no. Nessun foglio di congedo, nessuna foto in divisa, nessun ricordo militare,
che so, una mostrina, un berretto… Il suo pensiero tornò al motivo per cui
stava tornando in quella cantina. Un tarlo continuava a scavare nella sua
mente. Era il 1990, Michel aveva 30 anni, e sua nonna, per la prima volta in
vita sua, doveva essere ricoverata in ospedale. Una brutta polmonite, avevano
detto. Sandrine: Se non torno dall’ospedale, ricordati cosa ti ho detto di
fare. Michel non era più un bambino, ma il tono della nonna a volte era 30
ancora quello. “Certo che mi ricordo: porto all’Istituto storico della
Resistenza tutti i documenti della cassapanca grigia, ma solo quelli, Se trovo
altro, non li tocco e ti avviso”. Sandrine: Hai capito bene. Michel: Ma tu
torni tra pochi giorni, e noi ti leghiamo alla poltrona, così non vai più in
cantina a prendere freddo e a respirare polvere… i tuoi documenti li bruciamo e
tu starai tranquilla. Sandrine: Se fai questo, ti disconosco come nipote! Non
furono pochi giorni, ma tornò in salute, anche se l’umore e le energie non
erano più quelle di prima. Sembrava che la vita familiare fosse tornata alla
normalità, quando una serie di sciagure si abbatterono sulla loro famiglia. Nel
giro di un anno e mezzo, morirono i suoi nonni materni, suo padre in un di
incidente d’auto, e pochi mesi dopo anche sua madre, che non si era più ripresa
dopo la morte del marito. La nonna non arrivò a 100 anni, si fermò a 95. Alla
fine del 2010 venne nuovamente ricoverata in ospedale, ma stavolta era una cosa
più seria. Michel ricordava l’ultima volta che la vide, era gennaio 2011,
sembrava lucida, ma non sempre le venivano le parole. Sandrine: Ti ricordi …
cosa devi fare? Michel: Porto i documenti della cassapanca grigia all’Istituto,
e gli altri li conservo da un’altra parte. Sandrine: No, gli altri … li devi
bruciare. Non fu stupito dalla radicalità di quelle parole, pronunciate quasi
con stizza, fu stupito del fatto che aveva cambiato idea sulla fine degli
“altri” documenti. Proprio lei, che era sempre stata ‘fedele alla linea’, pensò
con un filo di ironia, ora la cambiava!
Sandrine: Tanto non c’è altro, quello che non serviva, l’ho buttato.
Obbedì solo alla prima parte delle ultime volontà di sua nonna, ma non si
decise mai a vedere se era rimasto qualcosa, o se la nonna aveva davvero
buttato via tutto. Non avrebbe immaginato che la consegna dei documenti
contenuti nella cassapanca grigia, avrebbe dato una svolta alla sua vita.
All’Istituto gli chiesero se volesse aiutare gli altri volontari nella
catalogazione dei ‘suoi’ documenti. Poi continuò con gli altri archivi che
giacevano negli scantinati, e con quelli che ogni tanto arrivavano dai figli e
dai nipoti di chi aveva vissuto gli anni del Fronte popolare, di chi era andato
volontario in Spagna all’epoca della guerra civile, di chi aveva fatto la
resistenza. Problemi economici non ne aveva, grazie soprattutto al periodo
durante il quale lui e il padre proseguirono l’attività di nonno Victor, e poi
dopo la morte del padre, grazie alla sua attività professionale e agli affitti.
Si distolse dai ricordi, e con passo risoluto scese gli ultimi gradini. Era
giunto il momento di cercare risposta alle numerose domande che si erano
accumulate sul passato di sua nonna. Perché non consegnare tutti i documenti
all’Istituto? Perché quelli ‘esclusi’ prima li voleva tenere, poi li voleva
bruciare? Perché quei vuoti sulla vita di nonno Charles? Era andato in guerra?
Ora che queste ed altre domande erano tutte in fila, era ora di cercare delle
risposte. Sperò non fosse vero che la nonna avesse buttato via tutto. (continua)
[1] PCF=Parti Communiste Français e sindacato ad esso collegato:
CGTU
[2]
SFIO=Section Française de l’Internationale Ouvrière
(Partito Socialista Francese) e sindacato ad esso collegato: CGT
Marco Cignetti
BIONOTA
Marco Cignetti è un commercialista che si è sempre interessato di letteratura, politica, storia, cinema e
varia umanità. Classe 1956, per il 50% si sente cittadino del mondo, per il 50% italiano e per il restante 50% torinese, anche se abita in provincia. Nonno di tre nipoti e zio o prozio di altri, cerca di emularli, smanettando sui social: qualche volta ci riesce, a volte fa pasticci, ma non rinuncia.
Vorrebbe scrivere e girare il mondo, prima che sia il mondo a dare il giro.
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