Andando per mostre - Parigi e l'eterno conflitto fra utile e bello (II parte) (PARIGI, O CARA) ~ di Rosalia Orsini - TeclaXXI
PARIGI,
O CARA
Rosalia Orsini
Andando per mostre - Parigi e l’eterno
conflitto fra utile e bello
Parte Seconda
Il
Musée de l’Homme ha riaperto l’anno scorso i battenti delle sue pesanti porte
dopo un lungo restauro che gli ha tolto polvere e pesantezza. È stato un vero
piacere scoprire questa mostra, di taglio decisamente più etnografico,
allestita nelle sale che danno sulla Esplanade
del Trocadero, intitolata “Wax, une
incarnation textile de l’Afrique?” (non più visibile). Il Wax è spesso
visto come il tessuto dell’Africa per eccellenza, alimentandone così una
visione stereotipata. In realtà, questo tessuto è stato importato dalle potenze
europee, durante la colonizzazione, e non è originario del continente africano,
bensì si ispira a tessuti indonesiani, appunto durante la colonizzazione
dell’Indonesia da parte dell’Olanda. Ancora oggi sulla cimasa di questi tessuti
si può leggere: Wax- Hollande. Come completamento storico, aggiungo che questo nasce
nel XIX secolo in un contesto coloniale, grazie ad alcuni imprenditori olandesi
che iniziarono la produzione e il commercio dei tessuti indonesiani (batik) per
un mercato indonesiano, quindi locale: la produzione era in Olanda e la vendita
in Indonesia! Più lungimiranti furono, invece, alcuni soldati ghanesi, che
erano stati arruolati dagli Olandesi fra il 1831 e il 1872 per rafforzare la
loro presenza militare a Java. Questi ritornarono in patria con alcune pezze di
questo tessuto. Una iniziativa vincente, ma ben presto “rubata” dai potenti
commercianti europei che di fatto si imposero con questo prodotto sul mercato
del continente africano. A partire dalla seconda metà del XX secolo, la
produzione del Wax si è sviluppata in modo autonomo in Africa, nei Paesi della
diaspora africana, poi in Asia, diventando così un tessuto intercontinentale. E
simbolo, soprattutto di “africanità”. Un simbolo di appartenenza valorizzato
anche da artisti e stilisti che lo hanno usato al posto dei tessuti
tradizionali come il bogolan o il ndop.
Questa
sarta, fotografata seduta dietro alla macchina da cucire (1956), incarna il
ruolo delle donne nell’economia del wax nell’Africa Occidentale. Queste
artigiane trasformano i pagne di wax
(taglio di tessuto) in vestiti su misura, che diventano i simboli dello stato
sociale e della cultura dei/delle clienti. Prima di diventare un vestito, un
accessorio di moda, un tessuto di rivestimento, il wax è prima di tutto un
tessuto stampato recto/verso secondo una tecnica che utilizza la cera (wax in inglese) per delimitare gli spazi
dei motivi da stampare. Il risultato è un tessuto dai colori vivaci,
contrastanti e con motivi che si ispirano alla fauna, alla flora, e anche alla
attualità politica e sociale: nella
il wax si ispira alla giornata internazionale della donna, mentre nella
foto 11
La
Fondation Cartier pour l’art contemporain non delude mai nella scelta di
artisti contemporanei, non soltanto in campo pittorico. Olga de Amaral, artista
colombiana (Bogotà ,1932), contribuisce ad abbellire la scena culturale
parigina con i tessuti delle sue 80 opere (mostra non più visibile). È una
delle artiste tessili che dimostra come la tessitura non abbia limiti; essa
sperimenta con materie, tecniche e dimensioni, creando opere tridimensionali
dalle strutture complesse. “Nel mio desiderio profondo di sperimentare nuovi
colori, testure, trame, materie, ho scoperto i telai dei contadini e ho capito
che tutta la Colombia è un tessuto”: in questa dichiarazione l’artista rende
omaggio alla cultura tradizionale colombiana e attraverso questa mostra ne
esalta la creatività e non ultimo rivalorizza la maestria di un’arte che è
esclusivamente al femminile. Sorprendente è la fantasia di colori, di intrecci,
di nodi con i quali gioca l’artista: si veda il particolare di questo intreccio
nella foto 12
nella foto
13.
foto 14
Sono
pannelli dorati, rigidi, composti da una struttura tessuta in cotone e
ricoperti di uno spesso strato di “gesso”, poi da una pittura acrilica e da
foglie d’oro. Il tessuto scompare perché trasformato in un oggetto che ricorda
i totem, menhir, le stele funerarie e votive, le pietre stellari dei siti
archeologici precolombiani. I nodi della tessitura ricordano i quipus, cioè un sistema complesso di
conservazione delle informazioni utilizzato dagli Incas: cordicine annodate e
colorate che servivano da libri contabili, testi di leggi e racconti storici. Dietro questa fantasmagoria di intrecci,
nodi, tessiture, trame, colori c’è il richiamo all’immagine della donna-artigiana-artista,
del “silenzio” di cui è circondato il lavoro delle donne. L’opera di Olga de
Amaral valorizza la tecnica artigianale e la libera al contempo dal concetto di
utilità: non tappeti, ma creazioni d’arte!
E
poi, nelle sale del Grand Palais, anche lui uscito dal restauro olimpico, sono
arrivati loro: i Dolce e Gabbana, con una mostra visibile fino al 2 aprile
prossimo: “Du coeur à la main”. Una
mostra che Parigi ha vissuto come un vero e proprio avvenimento, che ha
attirato migliaia di visitatori, i quali vi entrano solo su prenotazione oraria
rigorosissima. È una grande sfilata, quasi una parata, che si snoda su tre piani,
una sorte di grand tour che permette di
viaggiare, far viaggiare, attraverso la penisola svelando le eccellenze del “fatto a mano” nell’alta moda. Il “fatto
a mano” richiama le tecniche tradizionali tramandate nelle varie regioni
italiane e non solo nel cucito. I colori delle maioliche di Capri sono
richiamati nella brillantezza dei ricami; l’arte del giunco e i trulli pugliesi
sono trasportati nell’intreccio dei tessuti;
foto 15
guarnizioni
ricamate, passamanerie, pizzi, macramè, ricami a punto croce riproducono ora un
monumento di Firenze ora un quadro di Piero della Francesca, Botticelli,
Raffaello

I
curatori della mostra non hanno tralasciato nessuna delle immagini che l’Italia
tramanda di sé, e che tanto piace oltralpe: il cinema con le scene del ballo
del Gattopardo di Visconti; l’opera con un omaggio a Verdi
foto 18
e
a Rossini;
foto 19
il
designer.
foto 20
Dolce
e Gabbana offrono il meglio della loro creazione sbizzarrendosi a mettere
merletti e ori a profusione. La parte più interessante è quella in cui lo
stilista Domenico Dolce, siciliano, ci introduce nel mondo del “nero” della
Sicilia. Pizzi e macramè rigorosamente neri sono i segni di una società che si
tramanda uguale e uniforme nel tempo in quelle che sono le sue manifestazioni
più intime: la religione e la morte.
foto 21.
La
ricchezza dei pizzi fatti a tombolo rimanda al manto della Addolorata nelle
processioni della Settimana Santa e la semplicità degli abiti del lutto alle
prefiche e alla disperazione delle madri nelle fotografie di Letizia Battaglia.
Ma la Sicilia “nera”, rappresentata dalla coppola è solo in questa foto
foto 22
che
ritrae l’atelier degli stilisti. C’è, invece, l’allegria siciliana dei carretti
popolari e dei pupi, soprattutto nella giocosa rivisitazione dei putti del
Serpotta (1656-1732), riprodotti nelle applicazioni tridimensionali degli
ornamenti degli abiti in bianco.
foto
23.
Stefano
Gabbana ha voluto rendere omaggio, lui milanese, alla Madonnina del duomo di
Milano con un abito regale in tulle e pizzo, ricoperto da un grande velo che
scende da una raffinata corona, che è anche, stranamente, l’unica della
collezione,
nella
quale i due stilisti hanno presentato anche la loro creazione orafa con
orecchini, anelli, collane di una ricchezza straordinaria.
Una
mostra ricca, straricca, barocca, ridondante di tutto: colori, tessuti, pizzi,
ori, ricami, gemme, tutto rigorosamente fatto
a mano. Il trionfo della maestria della mano! Perché, di fronte a tanta
ridondanza prima di esclamare “che bello”, viene da dire “come hanno fatto”’?!
Un trionfo anche della non praticità, ma non per questo meno belli. Sono
creazioni, più che vestiti, fatti per rappresentare sé stessi, dei narcisi che
guardano la loro bellezza che riproduce un’altra bellezza,
riflessa negli occhi e nelle esclamazioni dei visitatori, a loro volta riflessi negli e dagli specchi del soffitto! E in questo trionfo della mise en abîme vi leggo anche il trionfo dell’effimero, dell’inutile che tanto sarebbe piaciuto a Gautier. Ma a me, meno.
credits: tutte le foto degli abiti sono state scattate dall'autrice ©rosaliaorsini
___________________________
ROSALIA ORSINI
BIONOTA
Rosalia Orsini è una appassionata della lingua e della cultura francese, che ha insegnato per molti anni nelle scuole superiori ad indirizzo linguistico–sperimentale. È stata anche formatrice di insegnanti; convinta sostenitrice di una Federazione Europea, ha lavorato in gruppi internazionali negli anni d’oro del processo di integrazione europea, fine anni ’80 e anni ’90, contribuendo alla elaborazione di progetti di formazione degli insegnanti europei e alla attuazione dei programmi di scambi fra le classi degli Istituti dove ha lavorato con la Francia e con i Paesi francofoni anche extra-europei. Inoltre, è stata lettrice di italiano con incarichi extra–accademici nelle Università di Cracovia, Dcshang (Camerun), Zagabria. È stata traduttrice ufficiale nella redazione del Maggio musicale Fiorentino dall’inizio degli anni ’90 fino al 2024
Congratulazioni, Rosalia. Jacqueline
RispondiElimina