Tre poesie (POESIA) ~ di Assunta Sànzari Panza - TeclaXXI


POESIA


Assunta Sànzari Panza


Tre Poesie





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L’ultima volta


Ribollono le onde come i tini

e tiepidi gli effluvi evaporano.

Si scioglie il sale a ogni declinare

dei moti che serbano una gemma

si leva poi si abbassa il gran passo

cadenzato come incrociarsi di gambe.

Era la prima volta che vedeva il mare

mentre il poeta continuava a cantare

braccia su per poter volare.

Resta solo qualche giorno

di questa estate rovente.

Il tempo non cessava ancora per lui

verrà agosto col suo mistero.

Seduto sulla soffice coltre

affondava nella sabbia una mano

l’altra sul morbo

come chi spinga un macigno

pugni dita mani ad artiglio

poi tese come piano terriccio

ruvida distesa brunita.

Lei, la prima volta che vedeva il mare

stupore su quella landa

che non invecchia non muore

ma attende dell’uomo l’ultimo respiro.

Grigia si fa la spuma impastata di cenere

azzurro lo specchio che sovrasta

ma passa l’umanità

traghettata da forze imperanti

magri monosillabi.

Occorre attraversare il ponte

non c’è scampo.

Lui, l’ultima volta che vedeva il mare,

lo scintillio del moto sempiterno

la profondità di essere inquieto

il vociare scherzoso di bimbi curiosi.

L’ultima volta che incontrava

quei verdi riflessi di bimba ingorda

famelica d’infinito spazio.

Lei, piedi titillati da piccoli sprazzi d’acqua

cristalli di sole e sale

riparata da brezza leggera

i sensi altri sopiti.

L’inganno è reale

rivolto è il capo al padre immobile

che porterà via quel dipinto

di là dal reale.

Continua a fissare le mani

che trinciano l’aria

poi affondano in corpi invisibili.

Ardenti ora le onde

s’infervora il raggio potente

squarcia l’attesa del nulla

lieve è il pensiero

quell’ultima imago trafitta.

Sete di quiete

recita ancora il poeta

il mare suona travolge

coro voci bimbi

lui canta Volare.

È l’ultima volta che canta il volo

era l’ultima volta che vedeva il mare.


* * *


Un verso almeno


Un verso almeno

nel deserto di menti opache.

Fugge Cassandra

benda nera labbra diafane

ancora vibrano ma l’occhio è muto.

Turbinio di cenere sul manto

nell’aria brumosa si scorge

nebbia di guerra

arida pelle essiccata dal sole

solchi scavati dal mugolio

del refolo ribelle.

Lei immobile dinnanzi al tempio:

— Fermatevi, il coro ha smesso il canto. —

Un cane sugge il latte

dalla tumida mammella di donna morta

nessun cielo

truce il passaggio dei venti

lento lo strappo dei ciclamini

la lingua si muove ancora

livido il sapore degli ultimi cenni

fremito di incombente rovina.

Cuce la bocca la folle

ecco la profezia dono di Apollo.

— Dov’è Cassandra?

Fuggi, recidi la lingua fatale

immondo il capo riverso

taci, intreccia fili di rame

intorno al morbido collo

soffoca l’alito

Apollo scatena l’ira di fuoco.

Ahimè, Cassandra!

Nessuno s’appresta a udire il tuo dire. —

Brucia la città

La veggente si rifugia nel bosco

nei più fondi penetrali

e nell’ira getta al suolo

le bende sacerdotali.

Vive Cassandra in vitrei spettri

oggi la voce s’innalza

da tenebre remote.

— Fermatevi, genti!

Siam fatti di carne che imputridisce

bruciano tuttora le macerie.

Ascoltate il monito di viva profezia. —

Chiusa la bocca ma la lingua solleva i massi

vive Cassandra nella parola

che genera parola

nei fonemi promiscui

nelle grida monito di rovina.

— Coprite le orecchie! —

Tace marmorea bellezza

celato il volto la voce inonda

la valle distesa arresa.


* * *


L’anarchico


L’uccello curioso si muove appena

guarda lontano, l’anarchico,

l’immagine si fa libero gioco

nessuna censura ai suoi pensieri scatenati.


ASSUNTA SÀNZARI PANZA

BIONOTA 

 Nota per le sue numerose performance in terra irpina, ha pubblicato testi poetici in riviste cartacee e in diversi siti letterari, poi raccolti nel volume Lux. Nova et vetera (con prefazione di Gualberto Alvino, Torino, Robin Editore, 2022) premiato dalla giuria del concorso internazionale «Città di Montevarchi».


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