Gilda (narrativa) ~ di Luigi Ananìa - TeclaXXI

 


NARRATIVA

Luigi Ananìa

Gilda




Gilda sembrava una ragazza di carattere, bruna con molto ardire nello sguardo e con la passione della vita selvaggia. Arrivava sempre con la sua fuoriserie verde e scendeva con l’espressione di colei a cui piaceva osare. Quando le chiesi come si chiamava, il nome Gilda mi sembrò altisonante e mi ricordò un’attrice che avevo visto tante volte sui manifesti di un film degli anni Quaranta. La invitai a ballare e le dissi che aveva un nome insolente e lei mi disse: «Ma io sono insolente». 

In quel periodo io ero giovane e ubriaco e frequentavo le feste notturne dell’altipiano su cui ero cresciuto. Erano anni in cui si viveva ancora in un mondo leggendario con molte storie da raccontare. Vicende di banditi, di ladri di bestiame, di uccelli che rapivano i contadini, di serpenti con gli occhi che ipnotizzavano, del fuoco che diventava un diavolo e fuggiva nella notte. Gilda della notte era padrona, arrivava con la sua fuoriserie sulle cime più alte dell’altipiano e partecipava a traffici di armi, stupefacenti e furti di bestiame; non era il denaro che la invogliava ma la trattativa con i banditi, il furto delle mandrie nella notte, le corse nel fango e nello sterco, la combinazione della paura e dell’ebbrezza. Tutto diventava ancora più attraente, se confrontato alle sue frequentazioni di eventi mondani nella capitale, in cui acquisiva un portamento che incantava come un mistero. Poi appena ritornava sull’altipiano correva nella notte con la sua macchina scoperta, chiudendo a tratti gli occhi e inebriandosi di paura, di freddo e di vino. Nell’altipiano andava cercando gli uomini più pericolosi che vivevano alla macchia con le mandrie e i cani: Vusciolo, un sessantenne asciutto e tornito come un cavallo, che attendeva le turiste che si perdevano nel bosco e le violentava; Tremendo, che guidava le sue mandrie con una Mercedes grigia e non faceva differenza fra le sue vacche lungo la strada e le donne straniere dentro la sua automobile; Uberto, che aveva una barba lunga fine all’inguine e uno sguardo infuocato che trascolorava prima di improvvisi attacchi d’ira di cui non si capiva la ragione. 

Li raggiungeva nella notte nelle loro baracche fra le cime sperdute dei boschi e con ognuno si arrischiava in un gioco di lusinga e di sfida. Uberto lo cercava nelle notti di plenilunio, perché altrimenti la roulotte nascosta tra la macchia era introvabile. Alla fine di una strada sterrata scendeva dalla sua fuoriserie e si arrampicava in alto fin quando intravedeva la sua roulotte illuminata dalla luna. Accolta dai cani, che ormai la riconoscevano, bussava e mangiava con lui salami, sottaceti e vino fino a che lo sguardo di Uberto sbiadiva e annunciava una tempesta. Nel giro di un attimo Uberto si trasformava in uno gnomo rigonfio nell’addome e nel bacino, che tentava di ucciderla con un coltello; allora lei usciva dalla roulotte e incominciava una battaglia fomentata dai latrati dei cani. Poi d’improvviso Uberto perdeva i sensi e allora lei lo sollevava e si stendeva insieme a lui nella roulotte illuminata dal riverbero della luna. La mattina lei andava via contenta e ritornava con i capelli al vento sulla sua fuoriserie. 

Vusciolo invece abitava vicino a una mulattiera che saliva sulla parte più alta dell’altipiano. La sua baracca di legno era contornata di fili su cui erano stese le sue mutande che al mattino rilucevano stirate e bianche. Intorno vi era letame e fango ma all’interno della sua baracca c’era una pulizia inimmaginabile per un uomo che viveva nella macchia; quando qualcuno entrava, lui gli faceva lavare le mani e lo invitava a sedersi senza parlare. Ogni giorno al tramonto aveva l’abitudine di raggiungere un incrocio di sentieri in cui spesso si perdevano le turiste per aspettarle e violentarle. Gilda lo prendeva in giro e lui la possedeva senza dire una parola; poi quando aveva finito si lavava le mani e la cacciava a calci con una sfilza di versi animaleschi che sembravano non far parte di nessuna lingua umana. Allora Gilda soffriva così come soffriva dopo gli incontri con Tremendo che viveva sulla cima arrotondata della stessa montagna. 

Tremendo era grasso, sferico, con una coltre rada di peli e di barba sfatta che si estendeva dalle guance alla testa spelacchiata. La pancia gli traboccava dal bordo della maglia, mentre camminava con un secchio di broda tra i suoi animali e la sua Mercedes grigia. La sua baracca circondata da maiali, vacche e cani era composta da una parte in muratura in cui alloggiavano cinque ragazze dell’Est che di notte uscivano in abiti succinti. Tremendo le portava fuori a notte fonda e qualche volta di giorno quando conduceva gli animali a pascolare nelle parti basse dell’altipiano. Gilda si intratteneva da lui nelle sere d’estate e discorreva di vendite di mandrie, di stupefacenti e di latitanti che da una parte all’altra dell’altipiano passavano notizie utili per ogni traffico lecito ed illecito. Insieme progettavano malaffare mentre Gilda gli carezzava la pancia e lo guardava incantata. Tremendo sembrava avere fiducia in lei e le sue carezze gli piacevano, ma poi d’improvviso cambiava umore e gridava che non c’era nessuna differenza fra lei e le sue vacche. 

Quando era ferita nei sentimenti Gilda si tormentava e fuggiva da sola nella notte. Tornava sulla sua fuoriserie, imboccava la strada dei monti sulle cime più alte dell’altipiano e chiudeva gli occhi seguendo il percorso nella sua mente; poi si fermava e andava a piedi su una montagna dove si addormentava all’addiaccio. A volte, quando la disperazione raggiungeva il culmine, sentiva il bisogno di annullare il dolore con il freddo e allora si arrampicava fino alla sorgente di un fiume e si metteva nuda all’inizio del torrente con l’acqua che scorreva gelida sul suo magnifico corpo disteso sul greto. Quando i maltrattamenti si facevano più frequenti scompariva per intere settimane. Si allontanava tra le cime più alte e certe notti il bosco risuonava del suo pianto che si levava alto nel cielo e disorientava gli animali e gli uomini delle valli circostanti. Poi si quietava e tornava con la sua fuoriserie alle feste e alle baracche dei suoi amici delinquenti. 

Quando la rincontrai a una festa in una villa dell’altipiano, si vociferava che le sue scomparse nel bosco erano sempre più frequenti e sempre più lunghe. Il suo sguardo quella sera divagava e si allargava come se a tratti si perdesse in un grande vuoto lontano da qualsiasi altro sguardo. A un certo punto mentre mi ballava accanto il suo corpo non seguì più la musica e si allentò del tutto lasciandosi andare ad un vacillante avanti indietro. A tratti sembrava cadere nel mezzo della folla, ma rimaneva in piedi continuando i suoi strani ondeggiamenti fino a quando si girò e andò via. Due giorni dopo i pastori del luogo mi dissero che Donna Gilda si era data alla macchia e più avanti capii che questa ultima scomparsa andava oltre ogni previsione. 

L’estate successiva nessuno l’aveva ancora vista e si diceva che vivesse in un bosco sul versante che guardava il mare. Un vecchio pastore aveva visto da quelle parti la sua fuoriserie avvinta dagli arbusti fioriti che si erano addentrati nei meandri del motore e nell’abitacolo tra il volante e i sedili in pelle. Poi alla fine dell’estate la videro vestita di stracci che vagava nei boschi di faggio, i quali si estendevano sulla parte orientale dell’altipiano. Quando vedeva qualche pastore con le mandrie, lo seguiva in mezzo ai boschi e, una volta arrivata a uno spiazzo illuminato dalla luce del sole, lo prendeva per il bavero e gli chiedeva di fare l’amore.


[Una precedente versione del racconto si trova in Storie di volti e parole, DeriveApprodi, 2016]


LUIGI ANANÌA


BIONOTA 

Luigi Ananìa si laurea in scienze agrarie presso l'università di Firenze nel 1986. Da allora scrive racconti e fa vino rosso a Montalcino presso l'azienda La Torre. Con la casa editrice Pequod ha pubblicato Il signor Ma (2000) e Cos'è questa nuvola (2011). Presso le edizioni DeriveApprodi ha curato l'antologia di racconti sul vino Confesso che ho bevuto (insieme a Silverio Novelli, 2004) e ha pubblicato Avant'ieri, storie di emigrazione tra la Sila, Torino e Buenos Aires (2009), Pixel, la realtà oltre lo schermo dei media (di nuovo insieme a Silverio Novelli 2012), Storie di volti e parole (2016) e  Bestiario umano (2021), ambedue in collaborazione con Nicola Boccianti. Ha scritto racconti per Il sempliceMaltese narrazioni e Nuovi Argomenti. 






Commenti

  1. Accattivante ,conturbante,come del resto il nome Gilda evoca .Rossa di capelli,la pelle diafana .Un viso perfetto ammaliante e dolcissimo.E quella voglia di entrare nel bosco .Sporcarsi ,tremare sul filo di cose illecite e aspettare l'alba,sfatta e lucidissima come una lupa.Grazie Federica

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