ROMA, NEL CENTRO (NARRATIVA) (I PARTE) ~ DI GABRIELLA URBANI - TECLAXXI
NARRATIVA
Roma, nel centro
I PARTE
di Gabriella Urbani
Silvia faceva la
volontaria alla Caritas, per un paio di domeniche dovette accompagnare alla
messa due ragazzini etiopi alla chiesa ortodossa dietro via Arenula, in centro
a Roma. La cerimonia, in aramaico, durava due ore. Lo scoprì al primo
accompagno e al termine le offrirono latte caldo e torta allo zibibbo che le
dette la nausea.
La seconda domenica pensò
bene di lasciare i ragazzini e, nelle due ore libere, di attraversare i luoghi
– e i racconti, i ricordi – di Cecilia, sua madre, che in quel centro c’era
nata e cresciuta.
Cominciò dalla basilica
di Sant’Agostino, dove c’è la Trinità dei pellegrini del Caravaggio, ma non
entrò, si sedette sulla scalinata. Cecilia di quella scalinata aveva raccontato
a proposito di alcuni amici di famiglia, i C****.
“Prima della guerra –
aveva raccontato - stavano molto bene ma poi il padre non tornò dalla campagna
di Russia e lei per mantenere i sei figli vendette il patrimonio e si mise a
lavorare”.
Per aiutare, i più grandi
dei C*** che andavano all’università davano ripetizioni di greco e latino mentre
Fabio, il più piccolo, faceva il fattorino del bordello di Via Laurina,
traversa di Corso Umberto, come allora si chiamava via del Corso. Ma che
facesse il fattorino non lo sapeva nessuno.
Lui diceva che andava a
giocare a palla alla Rotonda con i fratelli di Cecilia e i cugini ma dopo un
po’ con una scusa se ne andava diritto a via Laurina. Le prostitute non
potevano uscire liberamente dalla casa
e per le loro necessità commissionavano ai ragazzini che aspettavano in strada
di comperare un dolce, un paio di calze, una saponetta – e lasciavano sempre
una buona mancia. Fabio in una settimana faceva anche 10 lire, le ragazze gli
volevano bene perché si vedeva che era di buona famiglia e non allungava le
mani.
Per dare quei soldi alla
madre dovette escogitare un modo perché lei li prendesse senza far domande: metterli
di nascosto nel borsellino, dove c’era un foglietto con tutte le spese e quanto
rimaneva, l’avrebbe insospettita. Fabio pensò che la cosa migliore fosse
farglieli trovare per strada.
Quando aveva raccolto un
bel gruzzolo, si acquattava nel tardo pomeriggio dietro l’ultimo pilastro della
balaustra in travertino della scalinata di Sant’Agostino, aspettava che la
madre passasse sotto e gettava le monete avvolte nelle banconote, prima che lei
imboccasse via dei Pianellari, la strada che costeggiava la chiesa e dove loro
abitavano, qualche portone più in là.
La madre sentiva un
piccolo tonfo ai suoi piedi e le monete che si sparpagliavano sui sampietrini,
raccoglieva tutto e metteva in tasca.
La sequenza si ripeté
identica per diverse settimane finché una volta lei, che non si capacitava e
non credeva certo ai miracoli – che ritornasse il marito, altro che! – si
accorse di un’ombra in alto dalla scalinata. Tornò indietro, salì i primi
gradini e disse ad alta voce: “Chi sei?”
Non ci fu risposta, salì
fino a metà della scalinata.
“Chi sei?”, ripeté.
Fabio si appiattì al
pilastro finché poté – allora lei lo riconobbe: “Fa… Fabio? Sei tu!”
“Sì”, il ragazzino si
tirò su, lei salì ancora e lo raggiunse.
Le signore che avevano terminato
di recitare il rosario cominciarono ad uscire dal portone della chiesa.
“Li rubi questi soldi?” fece
lei, ma lui scuoteva deciso il capo: “No!”.
“Dove li prendi? Sono
tanti sai?” continuò lei, e lui: “Sì, lo so, me li danno le signorine di via
Laurina, io faccio le commissioni e loro per mancia mi lasciano il resto”.
A quelle parole lei
chiuse gli occhi e portò le mani alla bocca per smorzare i singhiozzi. Poi quasi
inginocchiandosi e tirandoselo petto riuscì a dire con voce strozzata: “Piccolo
mio”, a lungo lo abbracciò stretto.
Fabio pensò rassegnato
che lei avrebbe pianto chissà quanto – tra tutte quelle pepie che passando
di lì guardavano – ma era già tanto che non lo avesse rimproverato. E invece
lei tirò su con il naso, con il fazzoletto se lo soffiò e guardando il figlio dritto
negli occhi gli disse “Ora vieni con me”. Per mano se lo trascinò alla fine
della scalinata e di lì, a passo svelto, fino dalle Sorelle Adamoli, oltre la
Rotonda e quasi a piazza Venezia, dove gli comperò un pallone di cuoio vero e i
pantaloni di velluto – i suoi primi pantaloni dopo tutti i ripassi dei
fratelli. Solo quando furono sulla soglia di casa lei gli sussurrò
all’orecchio: “Fabio, non fare più le commissioni. Vedi, non è necessario”.
Seduta sui gradini di
Sant’Agostino Silvia passò in rassegna le varianti che Cecilia tirava fuori
ogni volta che raccontava quella storia – le scuse di Fabio per andare in via
Laurina, il posto dove si metteva per gettare i soldi, il vestito ripassato da
cavallerizzo quando fece la prima comunione perché l’abito da cerimonia costava
troppo.
Perché a Cecilia piaceva
raccontare dei C***, che erano un po’ come la sua, di famiglia, anche loro
erano sei figli, con la differenza che, durante la guerra, invece del padre loro
persero la madre per un’infezione ai reni. E dovettero arrangiarsi non per i
soldi ma perché il padre rimase stordito dal dolore e furono i gesuiti ad aiutarlo a ritrovarsi.
Silvia si alzò, salì in
cima alla gradinata di Sant’Agostino, accarezzò i pilastrini in travertino
della balaustra per poi ridiscendere e andarsene “al Gesù”, come veniva
chiamata la piazza dove c’era la chiesa madre dei gesuiti e dove Cecilia con la
sua famiglia ci aveva abitato di fronte.
Cecilia raccontava che,
subito dopo la guerra, i gesuiti organizzavano degli incontri di preghiera dove
proiettavano i documentari sui campi di sterminio nazisti. “Ci sono andata all’inizio
ma poi ho smesso, mi veniva una gran tristezza. Una volta ho visto un ragazzino
magrissimo che si arrampicava da solo sul filo spinato, mani e piedi. Per me la
guerra non erano la fame o le bombe ma la morte di mia madre. Quella era un’altra,
di guerra, non la potevo sopportare”.
Silvia
entrò nella chiesa del Gesù.
(segue)
GABRIELLA URBANI
BIONOTA
Gabriella Urbani, classe 1964, vive e lavora a Roma. Si occupa di comunicazione e divulgazione in un organismo del movimento cooperativo. È sposata, ha un figlio, ha già pubblicato racconti.
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