TRADUZIONE
IL MONACO DI VIMINI
di Inga Ābele
prologo del romanzo tradotto dal lettone da
PAOLO PANTALEO
IL MONACO DI VIMINI
L’ho riconosciuto subito.
Avevo già visto il suo ritratto su un foglio
ingiallito di giornale, fra le pagine del libro dei canti che la mia madrina
teneva nella sua casa in Latgale. Lo sguardo orgoglioso, appena ironico.
Indossava un vestito semplice, ma con un che di signorile. Niente che
suggerisse che Francis Trasuns era stato sacerdote e insegnante a Pietroburgo,
teologo e attivista del risveglio nazionale del Latgale, uomo di stato che
aveva unito il Latgale alla Lettonia, ed infine scomunicato con bolla papale.
Me l’ero immaginato esattamente così. Il
colletto bianco della camicia, abbagliante, che sporgeva sul lungo collo, ed il
nodo della cravatta fin troppo perfetto, – statura imponente e buon gusto.
Irrompe in chiesa, come smarrito, sembra trascinato dal vento. È un’onda
trasparente contro l’altare, un’impronta in rilievo sui mattoni rossi delle
mura. S’inginocchia e si fa il segno della croce di fronte al tabernacolo,
attraversa la fila dei fedeli, inciampa, il suo riflesso brilla negli occhi
delle ragazze, occhi blu come il Rāzna, scompiglia i capelli dei bambini, si
accosta a guance cadenti e grinzose. Gli anziani strizzano gli occhi, come se
una nuvola di neve, un angelo invisibile sia caduto in ginocchio lungo la
navata e con le ali serrate abbia preso a soffiare la luce sui loro volti.
Ma lui sta cercando qualcosa.
È novembre inoltrato, già da una settimana cade
una pioggia monotona, fredda. Il mio viaggio mi porta da Rāzna a Lubāna. Giorni
senza mangiare sul serio, notti insonni. Devo raggiungere la mia madrina a
Rugāji, lì troverò pane vero. Quando sento la mia madrina parlare
latgaliano, ho sempre la sensazione che intorno si alzi un profumo di pane
appena sfornato. Da bambina tenevo in mano una fetta spessa e calda, profumata
di cumino, il burro mi colava giù per il gomito, e intorno si parlava
latgaliano.
Avevo sperato nell’autostop, ma senza successo.
Non ero solo io a gocciolare, ma anche il mio cappello, le maniche, lo zaino
coi libri sulle spalle. Chi avrebbe voluto inzuppare la macchina con una specie
di pozzanghera, qual ero? Non insistevo, non alzavo la mano, non facevo cenni.
Quando sulla strada per Dagda sentivo dietro le spalle del rumore, mi
voltavo e attraverso la grigia tenda della pioggia guardavo chi passava. Non si
fermava nessuno. Non potevo biasimarli.
L’umidità sulla nuca era già stata assorbita
dalla pelle, ma il pesante sacco sulle spalle mi segava come una corda. Sulla
collina sopra il fiume Rēzekne vidi la chiesa dai mattoni rossi, con due alti
campanili, la cui cima era nascosta da una fitta, grigia nebbia che correva
veloce. Da ogni parte accorreva gente in chiesa. Li seguii, affannandomi sul
fango che la pioggia aveva portato giù dalla collina. Così mi apparve davanti
la cattedrale del Cuore di Gesù, sede della diocesi di Rēzekne-Aglona. Era
mezzogiorno di un normale giorno feriale, ma il flusso di gente non cessava.
Donne e uomini, anziani e giovani, alunni dalle scuole vicine.
Quando arrivò Francis, lo chiamai, ero felice. Ma
niente dimostrava che qualcun’altro lo vedesse. Erano tutti occupati nella
preghiera che precedeva la Santa Messa.
[………]
Cerco di vedere dov’è Francis – ma Francis è già davanti al vescovo di fronte
all’altare del Cuore di Gesù ed è convinto di essere lui, a dire messa oggi di
fronte ai fedeli. Francis, come me, ha confuso il tempo – è stato il decano di
Rēzekne più di un secolo fa. Oggi è solo un fantasma, uno spirito
inquieto, una matrice di plasma biancastro, un mio ricordo. Il vescovo non lo
vede e lo trapassa, lo calpesta come un pavimento di pietra, lo sfoglia come un
libro di preghiere, e alla fine si mette al suo posto.
Francis, colmo di amarezza, si ritira sotto il
pulpito. La pioggia batte contro i vetri. Resterò qui a lungo. La chiesa è il
mio riparo, nel vero senso del termine. Riscalda la carne, asciuga i vestiti,
offre sollievo. Di tutti i riti che conosco, quello della Santa Messa cattolica
è il più bello.
Cerco un posto vuoto e lo trovo nella navata
destra, una stretta panchina dove mi siedo da sola. Decine di mani prendono da
sotto il poggiamano il libro delle preghiere, ed io faccio lo stesso. Decine di
mani sfogliano le pagine, io faccio lo stesso. I libri dei canti e delle
preghiere sono logori e graffiati, intrisi di polvere e lacrime, capelli fra le
pagine, impronte delle dita e del tempo. I giovani hanno inciso i graffi delle
loro unghie sulle copertine, le donne li hanno accarezzati, gli uomini sbronzi
hanno afferrato quei libri come per aggrapparsi alla salvezza, i bambini ne
hanno morsicchiato gli angoli coi loro denti da latte.
C’è qualcuno qui con me, quando sfoglio le
pagine. Mi volto e una vampa di calore mi investe sul viso, – questa è la sua
spalla. Francis è qui accanto a me.
L’organo comincia a suonare e Sua Eminenza
inizia la Messa.
Il vescovo: Dīva Tāva un Dāla un Svātuo Gora
vuordā. (Nel nome del padre, del figlio e dello Spirito Santo, in latgaliano, NdT).
I fedeli mormorano
con calore, come uno sciame d’api in un alveare coperto di neve: Amen.
Il vescovo: “Dīvs Kungs lai ir ar jums.” (Il
Signore sia con voi)
I fedeli di nuovo in coro: “Kungs ir ar
tevi.” (Il Signore è con te).
Il vescovo: “Lai mēs varātu cīneigi
pīsadaleit svātajā Mises upurī, nūžāluosim sovus grākus, lyudzūt nu Dīva
pīdūšonu.” (Per celebrare degnamente questa Santa Messa, riconosciamo i nostri
peccati e chiediamo perdono a Dio).
Un breve attimo di silenzio. La gente china il
capo e si guarda nel cuore. Francis respira con affanno, come un cavallo a cui
si è appena risarcita una ferita, è completamente diverso da quello di prima,
durante l’adorazione. Si guarda in giro. Il sudore gli scende dalle tempie, le
punte dei suoi capelli gocciolano.
Dopo la Messa lo calmerò. Chiacchiereremo un
po’, per distrarlo, per tirarlo su, potremmo parlare per esempio di quel mago
di Viganovsksis, l’ingegnere edile del Politecnico di Riga, che in poco tempo
nel grembo della terra di Māra ha seminato tre chiese cattoliche simili – la
cattedrale del Cuore di Gesù di Rēzekne, la chiesa di San Francesco a Riga e la
chiesa del Cuore di Gesù a Viļaka. Chiunque può riconoscere da lontano la mano
di Viganovskis nelle chiese pseudoromaniche, nei corpi rigidi e nei doppi
campanili gotici. Sì, Florians Viganovskis ha lasciato buona fama di sé nel
tempo.
Francis interrompe il confuso corso dei miei
pensieri, riesce a voltarsi verso di me e mi chiede:
– Sai dirmi dov’è finito il mio abito talare? –
mi chiede, pallido, le labbra sanguinanti dai morsi per l’angoscia.
– Ve l’hanno tolto.
– Perché? Forse Dio mi ha abbandonato?
– Dio non vi ha mai abbandonato, Francis. Voi
volevate solo essere libero.
Il suo tocco è leggero come ala di farfalla, ma
fermo. Per la prima volta lo guardo negli occhi. Nelle pupille nere c’è un buco
del tempo, un pozzo profondo, dove forse cadiamo entrambi. Lui mi tiene stretta
la mano, e questo io vedo, tutto, coi miei occhi.
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Klūgu mūks (Il monaco di
vimini) di Inga Ābele, Rīga, Dienas Grāmata, 2014
[Diritti Riservati] Traduzione dal lettone di Paolo Pantaleo
Estratto dallo scambio epistolare del traduttore con la responsabile di TeclaXXI
[...] Si tratta del prologo / introduzione ad un romanzo. Un prologo che in un certo senso è già di suo un piccolissimo romanzo. La scrittrice è Inga Ābele, il romanzo (storico) si intitola Il monaco di vimini, pubblicato nel 2014. Si tratta di un romanzo lungo, pieno di storie e di passioni. L'autrice ha dato molto volentieri il suo consenso a che il traduttore italiano pubblicasse il prologo (non intero, perché non entrava nei margini di spazio previsti, ma una buona parte, tagliata in mezzo senza che ne soffra particolarmente il testo e il significato) per la rivista di Alessandro Iovinelli, TeclaXXI.
La storia che narra il romanzo, e che preannuncia il prologo, è quella di un prete cattolico, Francis Trasuns, originario del Latgale, la regione a maggioranza cattolica della Lettonia, che confina con la Russia e la Bielorussia. Trasuns, oltre ad essere stato un uomo di chiesa, è stato un vero politico, ha guidato il movimento di liberazione del Latgale dall'impero zarista, ed è stato l'artefice dell'ingresso nel 1920 del Latgale, storica regione lettone, nella nuova Repubblica di Lettonia nata nel 1918.
Nel prologo del romanzo, particolarmente poetico, la scrittrice racconta del suo viaggio in Latgale (la sua famiglia è originaria di questa regione), alla ricerca di notizie su Trasuns per scrivere un romanzo su di lui. In una giornata di pioggia raggiunge la cattedrale di Rēzekne, dove gli appare come in un sogno la figura di Trasuns, una specie di fantasma che solo lei, in mezzo ai fedeli, riesce a vedere [...]
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PAOLO PANTALEO
BIONOTA
Paolo Pantaleo (Montevarchi, 1967) è un traduttore dal lettone. Si occupa di Lettonia da molti anni, cura il blog Baltica dove pubblica notizie di politica, società, cultura e storia lettone, e il blog Biblioteca Baltica, dedicato alla traduzione di testi di narrativa e poesia lettone. Ha tradotto e pubblicato per Damocle editrice diversi autori lettoni, fra cui Imants Ziedonis, Rūdolfs Blaumanis, Jānis Ziemeļnieks, Ingmāra Balode. Per Mimesis edizioni ha tradotto il romanzo All’ombra della collina dei galli (2019) e una raccolta di racconti di Osvalds Zebris (2020). Nel 2018 ha ricevuto il premio ''Gada lielā balva'' della Società Dante Alighieri di Lettonia, per le sue traduzioni e per il suo contributo alla divulgazione della cultura e della letteratura lettone in Italia.
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