Scacco al re (NARRATIVA) ~ di Eduardo Rebulla - TECLAXXI

 

NARRATIVA

 

Eduardo Rebulla

 

Scacco al re

Julian Wasser Eva Babitz gioca a scacchi con Marcel Duchamp (foto fornita dall'autore del racconto)


La foto di Julian Wasser ritrae nel 1963 la ventenne Eve Babitz che gioca nuda a scacchi con Marcel Duchamp, in occasione della sua storica retrospettiva all’Art Museum di Pasadena, oggi Norton Simon Museum. Duchamp, che aveva allora 66 anni, non si lasciò impressionare dal seno generoso della sua avversaria (“Ho sempre avuto la quinta di poppe” scriveva la Babitz, “ma con la pillola anticoncezionale erano esplose”) e, da appassionato scacchista qual era, le diede scacco matto in poche mosse. Anche lei però fece il suo scacco matto, imbastendo una vendetta all’indirizzo del suo amante dell’epoca, Walter Hopps, anticonformista direttore del museo, colpevole di avere invitato all’inaugurazione della mostra la propria moglie ma non Eve (che organizzò tutto a sua insaputa). 

     Questa foto mi ha accompagnato per alcune notti nei minuti che precedono l’addormentamento. Lo faccio spesso, a volte rigirandomi in testa una parola, altre volte un’immagine, un film, un titolo, un nome, mentre rotolo lentamente fra i due mondi paralleli e la distanza fra essi si va facendo sempre più sottile fino a confondersi col respiro. Pensavo alla foto e cercavo di capire se c’era qualcosa che mi sfuggiva: non mi rassegnavo ad accettare che la scena rappresentata fosse soltanto una concessione al gioco della provocazione. Se un uomo geniale come Duchamp aveva accettato di entrare a far parte di questa “pantomima”, qualcosa in più doveva esserci. Così mi sono concentrato sull’abile contrapposizione del bianco e nero: gli scacchi bianchi e l’abito nero per Duchamp, gli scacchi neri e il bianco del corpo per Eve, la postura simmetrica di entrambi con lo sguardo rivolto alla scacchiera, lei con la sigaretta nella mano sinistra e lui con il sigaro nella destra.

 

Solo questo? Più ci pensavo più mi pareva che in quell’immagine ci potesse essere qualcosa di mortifero, finché mi è venuto in mente un possibile rimando a Il settimo sigillo di Bergman, un film che era stato girato qualche anno prima, nel 1957. Nel film la simmetria è meno articolata che nella foto e si svolge senza incroci cromatici: la Morte è in nero e ha i pezzi neri, mentre Antonius Block, il cavaliere che torna dalle crociate e trova la peste che dilaga nella sua terra, ha capelli biondi, vestiti più chiari e i pezzi bianchi. Affidarsi agli scacchi, con tutto il loro potere simbolico di contrapposizione binaria (bianco/nero, bene/male, luce/tenebra), è l’unica possibilità concessa a Block per allontanare la morte, per tenerla a bada e guadagnare tempo.

 

Ma nella foto di Wasser chi è chi?


Se vogliamo restare nel perimetro del film, Eve Babitz con i suoi scacchi di colore nero dovrebbe essere la personificazione della Morte. A sostegno, può soccorrerci la mitologia religiosa: la donna (nuda), il serpente, la cacciata dall’Eden, la caduta nel ciclo della vita – e della morte. La donna (nuda) opulenta e generosa sta lì, davanti all’uomo anziano e smagrito, come un annuncio: l’inversione del tempo, le cose che si perdono (res amissa), il tema della nostalgia e dei conti in sospeso.




Hans Baldung detto Grien

Oppure no, ed è invece Duchamp con il suo abito nero, il volto scarno e rugoso a recitare il ruolo della Morte. Come se ci trovassimo di fronte a una foto che allude al tema della vanità e finge lo stesso significato morale di quegli antichi dipinti in cui la donna nuda si specchia e, dietro o accanto a lei, si intravede la Morte in agguato che brandisce la clessidra. La macchina fotografica che ritrae la Babitz ha la stessa funzione dello specchio. Mentre Duchamp, che ha alla sua destra il segnatempo con la lancetta che avanza e cancella, è il maestro del tempo, il signore dei transiti.                                                                                                   

Solo che… Solo che non si possono guardare i due protagonisti della foto senza considerare l’atto mancante: il desiderio, la fiammella che si sposta di continuo e scorre sotto le parole e sotto i gesti. Perché nonostante tutto, a dispetto dell’età, il desiderio non demorde e resiste, invincibile – e paradossale. Tutto, d’altra parte, è paradossale in questa foto. Ci aiuta a capirlo un’altra foto, un ritratto di Ugo Mulas del 1965 in cui Duchamp è seduto su una strana sedia dalla spalliera altissima, stretta e con curvature baroccheggianti, quasi un piccolo trono brunito 

     Ugo Mulas: Marcel Duchamp (foto fornita dall'autore del racconto) 

 (perfetto per accogliere un re). Ha lo sguardo intenso, l’espressione seria, nel cui fondo occhieggia però un ghigno ironico. Indossa una camicia di tela grezza, chiara, con un taschino dentro cui sono riposti gli occhiali. È appoggiato a un tavolino nero, lucido, il braccio sinistro piegato e il destro che regge il sigaro in bocca. Davanti a lui, sul tavolo, c’è una delle foto scattate da Julien Wasser, con Eve Babitz nuda, gli scacchi e Marcel Duchamp.

 La domanda è: perché proprio questa foto? Non sappiamo se a sceglierla sia stato Mulas o lo stesso Duchamp, l’importante però è che sia proprio questa foto a fare da sponda al personaggio, a rendercelo più chiaro, a raccontarci la sua pensosa leggerezza. E a precisarci il ruolo di Eva Babitz che con questa sua performance è riuscita a invertire i ruoli. È lei, la giocatrice di scacchi nuda, a svelare Duchamp, a denudarlo a sua volta, mostrandoci apertamente, senza sotterfugi, come sia riuscita a conquistarlo, scommettendo sulla sua naturale disponibilità al gioco, al ribaltamento di senso, al paradosso.

Mulas ha intuito subito il significato della foto di Wasser e l’ha piazzata davanti a Duchamp, come se fosse il suo doppio, l’immagine (l’immaginario) allo specchio: il “vero” Duchamp a confronto con la foto di Duchamp e Eve Babitz. La foto e la foto della foto. Il dritto e il rovescio. Le cose che si offrono alla luce e quelle che germogliano sotto, nell’ombra. Per Mulas quest’immagine era anche un modo per raccontarci l’artista attraverso l’uomo. E per raccontare l’immagine (l’inquadratura) nella sua duplice veste di conoscenza e di illusione. E infine per suggerirci che uno degli artisti più geniali del ventesimo secolo è stato (a sua insaputa?) usato per una performance che lo rendeva subalterno al ruolo della Babitz. Perché è stata lei che in realtà ha dato scacco matto proprio a lui, al re. E che si è servito di lui, di Duchamp, per dare scacco anche al suo sventurato amante.

EDUARDO REBULLA

BIONOTA 

Nato a Palermo nel 1950, Eduardo Rebulla ha sempre vissuto nella sua città. Di professione medico, ha coltivato la scrittura nel tempo rubato. Ha pubblicato sette romanzi, sei con l’editore Sellerio (Carte Celesti, Linea di terra, Segni di fuoco, Sogni d’acqua, Stati di sospensione, La misura delle cose) e uno con Baldini&Castoldi (Le conseguenze estreme).



Commenti

  1. Affascinate, mi viene in testa il quadro di Tiziano con l'allegoria dell'amor sacro e dell'amor profano con due donne: una nuda e l'altra completamente vestita. Se si chiede ai visitatori del museo in cui è esposta l'opera quale delle due sia l'amor sacro, la quasi totalità indicherà quella vestia mentre invece è esattamente il contrario. Nel Cinquecento il senso dell'allegoria era perfettamente chiaro, ora non più.

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