Il Paradiso geometrico di Dante. Più che lo doppiar de li scacchi s'immilla (MATEMATICA) ~ di Giulio Cirulli - TECLAXXI
MATEMATICA
Giulio Cirulli
il Paradiso
geometrico di Dante.
Più che lo doppiar
de li scacchi s’immilla
Domenico di Michelino, 1465 ca. su disegno di A. Baldovinetti. La Divina Commedia illumina Firenze. Santa Maria del Fiore, Firenze. Licenza Creative Commons
Nella Divina commedia
Dante dissemina alcuni riferimenti matematici molto interessanti.
Tralasciando l’aspetto numerologico, che per me riveste un interesse più antropologico
che scientifico, ne troviamo molti altri.
Ḕ il caso del XIII
canto del Paradiso, nel quale San Tommaso spiega a Dante come fu
possibile che Salomone fosse l’uomo più saggio della terra, nonostante la
presenza di Gesù nella storia e rispetto alle leggende esoteriche riguardanti
Adamo, l’unico oltre al Cristo dotato della Sapienza divina.
Perciò San Tommaso
che Salomone fu benedetto della sapienza per governare e non per la conoscenza
“[…] non si est
dare primum motum esse,
o se del mezzo
cerchio far si puote
triangol sì ch’un retto non avesse. […]”
Se prendiamo infatti un semicerchio e poi
un qualsiasi punto nella semicirconferenza, unendo quel punto con due segmenti
agli estremi del diametro, otterremo sempre un triangolo rettangolo,
indifferentemente dal punto sulla semicirconferenza scelto. Questo teorema è
direttamente conseguente al teorema dell’angolo al centro, per cui ogni angolo nella
semicirconferenza è sempre la metà dell’angolo al centro. Dunque, avendo il
diametro un angolo di 180 gradi (cioè, la misura di un angolo piatto),
necessariamente l’angolo nella circonferenza sarà 90° (cioè, un angolo retto).
Rimanendo sul tema dei triangoli, notiamo
che nel XVII canto del Paradiso Dante ci ricorda un teorema base della
geometria di Euclide:
“[…]
O cara piota mia che sì t'insusi
che,
come veggion le terrene menti,
Ogni Triangolo ha come somma degli angoli
interni sempre 180°. Pertanto, è
impossibile che vi siano due angoli superiori ai 90°, ossia ottusi (a onor del
vero, anche l’opzione di 2 angoli retti renderebbe impossibile la formazione di
un triangolo, giacché il terzo angolo avrebbe comunque 0°
di ampiezza).
Questo
ci pone anche un’ulteriore riflessione sulla geometria piana. Infatti,
qualsiasi poligono convesso (ossia con soli angoli convessi) avrà sempre come
somma degli angoli interni a°=(n-2) *180°.
Sempre nel Paradiso, il Sommo Poeta
ci dona altri esempi di geometria, allorché prova a rappresentare Dio in
termini linguistici.
Nel XXVIII il poeta sceglie di descriverci
Dio come un punto, in modo da renderlo immateriale, adimensionale e per questo
totalmente indivisibile e inconoscibile:
Il senso di questi versi è: Dio, nonostante
la sua adimensionalità, resta quanto di più luminoso la vista umana potrebbe
vedere.
In qualche modo Dante descrive una
Singolarità, ossia un punto nello spazio e nel tempo che nella modellizzazione
matematica genera un risultato dotato di una forma indefinita (esempio 0/0 00
infinito/infinito, infinito-infinito, infinito0, 1+o-inifinito e
così via.). In tal caso, la nostra modellizzazione salta e la descrizione
scientifica diventa impossibile. Allo stesso modo, un oggetto adimensionale che
emana infinita luce.
Nel canto XXXIII, per dimostrare la
difficoltà di descrivere Dio a una mente umana, Dante fa ricorso a un’ulteriore
analogia geometrica:
Qui Dante impiega addirittura il concetto
di quadratura del cerchio, cioè il problema geometrico che si basa sulla
costruzione con squadra e compasso di un cerchio dall’area equivalente
a un quadrato.[1]
Ora, tenendo conto del fatto che la
quadratura del cerchio simbolicamente rappresenta il raggiungimento della
perfezione spirituale. non mi sorprende affatto che Dante l’abbia usata per
rendere idea di quanto alla mente umana possa sfuggire la comprensione di Dio.
L’ultimo riferimento geometrico di cui
voglio parlare in questo articolo è la descrizione che Dante fa della
Santissima Trinità sempre nel XXXIII del Paradiso:
La perfezione è simbolicamente
rappresentata dalla circonferenza, ma ciò che sorprende è come, sia pure probabilmente
senza predeterminazione, Dante intuisca la rappresentazione a due dimensioni di
una ipersfera, ossia una sfera nello spazio a quattro dimensioni.
Per comprendere meglio la questione, sarà
meglio partire dalla parafrasi dei versi citati e poi soffermarsi sulla nozione
di ipersfera. Dice Dante:
“Nella profonda e
luminosa essenza della luce di Dio mi apparvero tre cerchi, di tre colori
diversi e uguali dimensioni; e il secondo sembrava un riflesso del primo, come
un iride riflessa da un’altra, e il terzo sembrava una fiamma che spira
egualmente dagli altri due.”
Ricapitolando: Dante descrive le tre
persone della Trinità come tre cerchi perfetti di uguali dimensioni ognuno
contenuto negli altro e ognuno riflesso negli altri. Ḕ una conclusione
apparentemente paradossale. Ma questo accade
nella nostra visione del mondo a 3 dimensioni.
Ai
matematici piace invece complicarsi la vita, immaginando qualcosa di sempre più
grande e numeroso. Ed ecco che dalla mera addizione si passa alla
moltiplicazione (addizione ripetuta), dalla moltiplicazione all’elevamento a
potenza (moltiplicazione ripetuta), dall’elevamento a potenza alla tetrazione
(elevamento a potenza ripetuta) ecc.
Così, se esistono i
punti adimensionali, esiste anche l’insieme dei punti che formano la retta,
monodimensione. L’insieme delle rette crea il piano, bidimensionale, e
dall’insieme dei piani si genera lo spazio, tridimensionale. Di conseguenza,
dall’insieme di spazi si ha lo spazio quadridimensionale.
Che cosa significa tutto ciò all’atto
pratico?
Se prendiamo un tesseratto (una categoria resa
nota dal film Interstellar di Christopher Nolan) questo cubo
quadridimensionale ha come facce dei cubi, allo stesso modo ogni punto di una
ipersfera (ossia ogni sua faccia) è costituita da una sfera, questo fa sì che
ciò che noi definiremmo interno ed esterno in tre dimensioni coincida con quattro.
Dante, descrivendo la Santissima Trinità, fa esattamente questo: descrive tre
sfere ognuna inserita nell’altra, ma contemporaneamente contenente le altre tre.
Ma anche nella descrizione cosmogonica dei
cieli Dante usa l’ipersfera come figura. Infatti, nel canto XXX il Primo Mobile
racchiude l’Empireo esattamente come l’Empireo racchiude il Primo Mobile:
Forse
Dante è riuscito a intuire un concetto matematico, quello degli ipervolumi con
4-5 secoli d’anticipo.
In
ogni caso, l’ultimo riferimento matematico di cui voglio trattare è il più
famoso, ovvero
quello
del canto XXVIII, quando descrivendo le schiere angeliche afferma:
In questo caso Dante per darci un’idea
di qualcosa così enormemente smisurato ci parla di potenze, riportando la
famosa storia dell’inventore del gioco degli scacchi che chiese allo Sha di
Persia come ricompensa la bellezza di 1 chicco di riso nella prima casella, 2
nella seconda, 4 nella terza e via via raddoppiando fino alla
sessantaquattresima casella, portando un numero di chicchi di Riso talmente
grande che se anche tutto l’universo fosse una risaia non basterebbe per averne
a sufficienza, Dante immagina che invece di raddoppiare ogni precedente
s’inmilla ossia si moltiplichi per mille, se già con i chicchi di riso vi è
girata la testa pensate agli angeli.
Per concludere, l’opera dantesca risulta sempre
più complicata di quanto si creda e, più la si studia, più c’è da scoprire,
quasi a volerci dire che lo scibile più che lo doppiar de li scacchi
s’inmilla.
[1] Sul perché tale problema sia irrisolvibile, ne ho trattato
più approfonditamente nell’articolo sul Pi Greco
GIULIO CIRULLI
BIONOTA
Romano di Roma, appassionato di scienze, matematica, storia romana, medievale e storia delle religioni. Non prende nulla seriamente se non le cose serie: Carbonara, Scienze e Numeri.
Diplomato all’istituto agrario e laureato in fisioterapia, insomma, braccia riabilitate per l’agricoltura.
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