Eco interpreta Manzoni (critica letteraria) ~ di Giovanna Romanelli - TeclaXXI
CRITICA LETTERARIA
Eco interpreta Manzoni
di Giovanna Romanelli
È noto l’interesse di Umberto Eco per I
promessi sposi di Alessandro Manzoni: infatti, come non ricordare il grande
successo del suo La storia de I promessi sposi raccontata da Umberto Eco
del 2010 per i caratteri del gruppo editoriale Gedi, esperimento felicissimo di
divulgazione di un’opera capitale della nostra storia letteraria. Tuttavia, già
alcuni anni prima del 2010, nelle «Norton Lectures» preparate per la Harvard
University, nel 1993, Eco ci ha donato un’interpretazione interessante e acuta
della descrizione manzoniana del lago di Como, in particolare del ramo di Lecco
(una delle tre sezioni in cui si divide il lago), ove si svolgono le vicende
narrate.
Ricordiamo tutti l’inizio del primo capitolo del romanzo: «Quel ramo del
lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene di monti, tutto a seni e
a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un
tratto, a restringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio
a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte…». Siamo qui di fronte ad una
descrizione geografica che procede dall’alto verso il basso e suggerisce
un’ampia e incisiva visione dei luoghi, grazie all’utilizzo della figura
retorica dell’ipotiposi (dal greco hypotýposis). Secondo Umberto Eco,
Manzoni usa questa figura retorica per offrire al lettore una rappresentazione
vigorosa, immediata, essenziale del luogo, quasi esso fosse proprio sotto gli
occhi del lettore. Infatti, attraverso
l’ipotiposi, lo scrittore ci dona una descrizione attenta e accurata del lago,
perché «uno dei modi di rendere l’impressione dello spazio è di dilatare,
rispetto al tempo della fabula, sia il tempo del discorso sia il tempo
della lettura».[1]
La narrazione procede poi con una descrizione più particolareggiata
adatta ed evidenziare gli aspetti topografici del luogo: «…e il ponte,
che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio
questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda
ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di
nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi
seni».
Secondo Eco, Manzoni procede qui utilizzando due tecniche
cinematografiche, quella dello zoom e del rallentatore, che certo lo scrittore non
poteva conoscere ma che i registi oggi non ignorano.
Dunque, lo sguardo del narratore segue dapprima un movimento dall’alto (descrizione
geografica) verso il basso (descrizione topografica). Inoltre,
sia la visione geografica che quella topografica procedono da Nord a Sud, seguendo il corso del fiume. E ancora troviamo
altri movimenti, dall’ampio (dal lago) verso lo stretto (al
fiume), dalla profondità alla lateralità: «La costiera, formata
dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui,
l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti
suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non
è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura
di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal
contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più
oscuro e di forma più comune». Il lettore è così posto di fronte a precisi
elementi geografici: ora può vedere distintamente torrenti, pendii, valloncelli:
«Per un buon pezzo, la costa sale con un pendio lento e continuo; poi si rompe
in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due
monti, e il lavoro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’
torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di
terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per
la montagna».
A questo punto Manzoni procede dalla narrazione geografica alla storia
del luogo per poi arrivare alla cronaca. Infine, ci presenta la
figura di don Abbondio che passeggia lungo quei viottoli.
Riflettendo sul percorso narrativo
manzoniano, possiamo perciò affermare che l’inizio de I promessi sposi non è descrittivo ovvero non è la descrizione
paesaggistica di quei luoghi, ma è un mezzo per preparare il lettore allo
svolgimento progressivo degli eventi e catturarne l’attenzione utilizzando aspetti
del mondo reale. Il narratore onnisciente assume «il punto di vista di Dio, il
grande Geografo». Costruendo la sua carta geografica Manzoni realizza uno
spazio in cui mette in scena una storia «che non è solo storia di uomini, ma la
storia della Provvidenza Divina, che dirige, corregge, salva, e risolve».
A nostro avviso Umberto Eco sembra qui voler ribadire l’importanza della finzione narrativa che cattura la nostra attenzione e sollecita la nostra curiosità, essa svolge la stessa funzione che il gioco assume per il bambino: «giocando, il bambino apprende a vivere, perché simula situazioni in cui potrebbe trovarsi da adulto. E noi adulti attraverso la finzione narrativa addestriamo la nostra capacità di dare ordine sia all’esperienza del presente sia a quella del passato».[2]
[1] Umberto
Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani, 1994, pp. 87-90.
[2] Umberto
Eco, op. cit., p. 163.
GIOVANNA ROMANELLI
BIONOTA
Giovanna Romanelli laureata in Lettere classiche presso l’Università Cattolica di Milano, ha conseguito la specializzazione in critica letteraria e artistica e ha collaborato col progetto IRIDE presso la medesima università. Ha insegnato presso la Sorbonne (Paris III), è stata membro del comitato scientifico della Fondazione Cesare Pavese e presidente della giuria del Premio Letterario che dello scrittore porta il nome.
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