Uno scherzo sul Don Giovanni di Mozart (I parte) . Intervista semiseria con Don Giovanni all’Inferno (MELODRAMMA) ~ di Riccardino Massa - TeclaXXI

 

MELODRAMMA



Riccardino Massa

 

Uno scherzo sul Don Giovanni di Mozart

Intervista semiseria con Don Giovanni all’Inferno

Parte prima

 

Quando il direttore del nostro magazine on line mi chiese di intervistare Don Giovanni, confesso di aver avuto un moto di ribellione. Non avrei voluto tornare in quel luogo di dannazione a intervistare colui che, come avevano sentenziato nel sestetto finale mozartiano le donne Anna ed Elvira insieme alla popolana Zerlina, più il nobile Don Ottavio con il popolano Masetto ed il suo servo buffo Leporello, era degno della sua fine: «Questo è il fin di chi fa mal; e de’ perfidi la morte alla vita è sempre ugual». Avrei voluto insomma lasciarlo girovagare con «Proserpina e Pluton», come era stato annunciato da Zerlina, Masetto e Leporello poco prima. Poi, dopo il primo attimo di solenne ma inespresso rifiuto, pensai che per me sarebbe stata l’occasione di mettere in chiaro alcune cose che non riuscivo a capire. Ad esempio, la sua perseveranza al male, quando era assolutamente chiaro a tutti che lui stesso era consapevole delle nefandezze compiute. Potevo intervistarlo cercando di metterlo in crisi. Una smentita dall’accusa di buonismo, che mi veniva spesso appioppata in redazione, diventava una sfida nei confronti dei miei colleghi. Quindi accettai. Una sensazione di freddo glaciale mi colse quando fui faccia a faccia con lui. Lo pensavo dimesso, vista la punizione ricevuta al termine del secondo atto del dramma giocoso ideato da Lorenzo Da Ponte e musicato da Mozart nel 1787. Invece il suo volto mostrava un misto di rabbia e di supponenza. Insomma, le didascaliche «Furie» che appaiono in partitura e che sono le responsabili della sua scomparsa verso gli inferi, non lo avevano per nulla spaventato. Lo pensavo penitente, se non altro per le sue origini. Il suo creatore, d’altra parte, quel Tirso de Molina che diede a lui i natali nel 1630, non era altro che lo pseudonimo di un religioso: Frate Gabriel Tellez, il quale anche se non aveva rispettato l’ordine impartitogli dal tribunale ecclesiastico di non scrivere più per il teatro, era riuscito a raggiungere i vertici dell’Ordine di Santa Maria della Mercede, nominato unico cronista, benché avesse continuato la sua attività letteraria. Indicatore, tutto sommato, di una sua presunta santità spirituale.

Domanda

Caro Don Giovanni, lei è stato uno dei primi migranti della Storia, almeno della Storia contemporanea; quindi, come è stato l’incontro tra culture diverse?

 

Risposta

Un vero trauma, d’altra parte, il mio carattere imponeva che non mi limitassi a viver in terra spagnola e quindi lasciai i panni del Burlador de Sivilla, superai i Pirenei e scesi in nuovi costumi in terra di Francia nel 1665. Perdetti quei caratteri burleschi che per voi italiani mi avrebbero fatto assomigliare ad un antenato del monicelliano film Il Marchese del Grillo per trasformarmi in seduttore. La cittadinanza francese me la fa acquisire un certo Jean- Baptiste Poquelin che usa un altro nome. Commediografo che si nasconde dietro ad uno pseudonimo probabilmente per codardia. Si fa chiamare Molière.

 

 Domanda

 E qui inizia il problema che ha scatenato il cattolicesimo contro la vostra figura?

Risposta

In realtà non ero io, ma lui che era inviso alla Chiesa ed al potere. Sempre pronto a contestare la morale dell’epoca. La sua commedia Il Tartufo per molto tempo fu vietata. Nel mio caso, per esempio, l’autore cercò di rappresentare una idea di Dio ben diversa da quella del cattolicesimo, forse molto più vicina alla visione del teatro greco antico. Ed è così che ne pagai io le conseguenze, fui accusato di libertinaggio dagli ecclesiastici.

 

Domanda

Ma dagli ecclesiastici fu definito addirittura blasfemo.

Risposta

Anche lì è colpa dei religiosi.  Hanno preso troppo sul serio un gioco goliardico che avevo messo in piedi. Il mio semmai era un esperimento scientifico. Era l’epoca nella quale sperimentavo ancora quanto potesse abbassarsi a tanto l’essere umano per fame e povertà. Vi era un senzatetto, affamato, non in grado di mantenersi. Capii subito che il soggetto poteva essere la mia cavia, gli offrii del denaro se lui fosse stato in grado di bestemmiare Dio. Da li, da quel momento, divenni l’eretico, il blasfemo. Non solo. Da quel momento il mio antagonista storico non sarebbe più stato genericamente il potere, ma l’essere divino.

 E così anche dalla Francia dovetti sloggiare. La cittadinanza francese a quel punto sarebbe stata pericolosa, era necessario che mi conquistassi uno spazio più ampio. Voi ora lo chiamereste europeo. Ma allora per essere tale era necessario espatriare in un altro Paese. Quindi superai le Alpi, entrai in terra italiana, anche se d’Italia ancora non si parlava visto l’immenso territorio frazionato. Ancora una volta, come un clandestino che vuol far perdere le sue tracce, cambiai il nome. Non solo l’ho italianizzato, ma aggiunto qualcosa. Diventai Don Giovanni Tenorio. Il dissoluto goldoniano. Certo la patria dei dissoluti nel 1735-1736 non era una città di provincia, ma la città che più di altre in quel secolo concentra la composizione drammaturgica, se non altro per il suo sfarzoso e irriverente carnevale. Venezia. Dove dietro ad una maschera anche gl’impenitenti possono nascondersi e passare inosservati tra la folla. Qui riesco a farla franca ed a non cadere nel finale negli inferi. Purtroppo, il pubblico che è di una crudeltà inaudita, questo finale non lo gradì assolutamente.

 

Domanda

Bene ora siam giunti al termine del suo girovagare. Lei incontra Mozart.

Risposta

Più che Mozart, ho incontrato Lorenzo Da Ponte da Ceneda (Oggi Vittorio Veneto N.d.R.). Strana famiglia la sua. Nasce con il nome di Emanuele Corneliano ed è di religione ebraica. L’autore del libretto si cristianizza come tutta la sua famiglia cambiando nome (Il padre Geremia diverrà Gasparo ed i fratelli Baruch e Anania diverranno rispettivamente Girolamo e Luigi). Emanuele assumerà addirittura lo stesso nome del Vescovo di Ceneda che battezzò l’intera famiglia per permettere al padre di poter sposare in seconde nozze la cattolicissima Orsola Pasqua Paietta.

 

Domanda

E come giunge a Mozart?

Risposta

Anche in questo caso è una fuga. Lorenzo, ordinato sacerdote nel marzo del 1773, sembra impersonare lui stesso certe virtù dongiovannesche, tanto che è costretto a fuggire svariate volte ed a pellegrinare spesso esiliato (bandito per quindici anni dalla Repubblica di Venezia). Fortuna vuole che giunto a Vienna nel 1781, per interessamento di Antonio Salieri entra in contatto con la Corte Asburgica e li incontra il nostro compositore e che con i suoi libretti comporrà le tre opere italiane (Nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte). Fortuna volle che il testo del Bertani Don Giovanni Tenorio ossia il convitato di pietra fosse già stato musicato da Gazzaniga.

 

Domanda

Certo gli ecclesiastici qualche ragione l’avevano, anche Mozart lo condanna nel finale all’inferno. Mozart è ben determinato a cacciarvi qui senza nessuna speranza, invece in qualche modo di essere assolto. D’altra parte, già all’inizio della Storia abbiamo un omicidio. Come scrisse il musicista Charles Gounod nel 1890 nella sua pubblicazione su Don Giovanni «Davanti ad una simile verità d’espressione altro non si può fare che chiudere gli occhi. La musica rende visibile la scena. Svegliato dal grido della figlia il commendatore appare, la spada sguainata. Chiede ragione dell’oltraggio».

 

Risposta

Certo che se la vedete da questo punto di vista avete ragione, ma in realtà tutti quanti mi hanno sempre preso a modello già dall’inizio. Anche il mio servitore.

 

Domanda

Chi? Leporello?

 

Risposta

E chi altrimenti? Dopo l’ouverture non c’è subito il fattaccio della morte del Commendatore. Vi è invece subito il prologo. Vi ricordate quel che dice? «Notte giorno a faticar per chi nulla sa gradir, piova e vento sopportar, mangiar mali e mal dormir». Dopo questa profusione di sensazioni negative ci si aspetterebbe da lui il pensiero, «ora me ne vado, lascio il mio padrone». Invece, dopo una breve pausa musicale che fa pensare al fatto che ha avuto un pensiero nella sua mente sempliciotta, come continua? Su mi dica, come continua? Dice «Voglio fare il gentiluomo e non voglio più servir».Visto? Mi prende come modello. >> continua il 07/01/2025


RICCARDINO MASSA


BIONOTA

Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.


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