Guerra, «acerba e continua» (LINGUA ITALIANA) ~ di Silverio Novelli - TeclaXXI
Maneggiare con cura –RUBRICA a cura di Silverio Novelli
Brevi cenni sull'origine, la storia e l'uso di alcune parole o locuzioni, soprattutto in italiano, ma non solo. Una carta d'identità delle parole che usiamo parlando e scrivendo, da secoli o da pochi anni, dalle pergamene al web, con esempi tratti da romanzi, poesie, teatro, cinema, lettere, pubblicità, quotidiani o altro.
Guerra, «acerba e continua»
di Silverio Novelli
La battaglia di Crécy miniatura di Jean Froissart Chroniques, BnF, fr2643, fo 165 vo.
La parola guerra
proviene dall’antico germanico werra (da
cui anche, per esempio, l’inglese war) e, con ogni probabilità, era già in uso
nel latino parlato del IV secolo dopo Cristo, in seguito agli scontri armati
con le popolazioni germaniche. Nel significato di ‘guerra’, il latino classico usava
la parola bĕllu(m), di cui in italiano è rimasta traccia nell’aggettivo bellico. Nell’Europa latinizzata bĕllu(m) è scomparso a favore del francese guerre, spagnolo e portoghese guerra
(invece il romeno ha război, dal
verbo slavo razboj ‘uccidere’). Il bĕllu(m) era caratterizzato dal modo di combattere disciplinato e
organizzato dei Romani; un modo, evidentemente, che venne meno con l’irrompere
della werra, il cui significato
originario, significativamente, era ‘mischia, zuffa’.
Dai
Sanniti alle Guerre stellari
È
antica, nella nostra lingua e letteratura, la parola guerra, nel significato basilare di ‘conflitto dichiarato tra due
Stati, che si tenta di risolvere ricorrendo alle armi’, come in Boccaccio, Decamerone: «nacque
tra l’una nazione e l’altra grandissima nimistà [inimicizia, ndr] e acerba e
continua guerra».
Ai nostri tempi, della guerra si parla, per
ripudiarla, nell’articolo 2 (paragrafi 3 e 4), della Carta
(o Statuto)
delle Nazioni Unite (si usano le parole minaccia e la locuzione uso
della forza); per il popolo italiano, è al centro dell’articolo
11 della Costituzione: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla
libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali». Nel corso dei secoli, la parola guerra è stata seguìta da specificazioni storiografiche: per
esempio, guerre sannitiche, tra Roma
repubblicana e i Sanniti (in tre riprese, negli anni tra il 343 e il 290 a.C.);
guerra delle due rose (War of the Roses), guerra dinastica inglese nel Quattrocento; guerra dei trent’anni, tra il 1610 e il 1648, nell’Europa centrale;
in Italia, le tre guerre
d'indipendenza che portarono all'unificazione
dell'Italia o, nel corso della Seconda
guerra mondiale (1939-1945; l’Italia entrò
in guerra il 10 giugno 1940), la guerra
partigiana, condotta da formazioni irregolari armate contro quelle
nazifasciste (a proposito della divisione interna tra italiani, partigiani e
fascisti, si parla anche di guerra civile,
soprattutto dopo gli studi dello storico e archivista Claudio Pavone), e, più
in generale, la guerra di liberazione, intesa
come (guerra di) Resistenza partigiana con l’alleanza decisiva degli Alleati
(Americani, britannici, ecc.).
Più
volte, tra Medioevo ed età moderna, si sono avute guerre di religione. La locuzione guerra santa è stata adoperata in italiano, a partire dalla metà
del Cinquecento, sia con riferimento alle Crociate cristiane dei secoli
precedenti, sia in riferimento alle guerre
in seno alla comunità cristiana (cattolici/protestanti), sia, nella
contemporaneità, per designare, in àmbito musulmano, il jihād offensivo, ovvero la lotta politico-militare contro
l’Occidente.
Importante,
nel Secondo dopoguerra, la Guerra fredda (calco dell’inglese cold
war), cioè il confronto ostile, ma non sfociato in combattimento, fra le
potenze occidentali e i paesi del blocco sovietico.
Vasto
è poi il campionario di tipi di guerra, a seconda dell’estensione (guerra locale, guerra mondiale) o dei modi e dei mezzi: guerra convenzionale, guerra terrestre,
navale, aerea; guerra atomica o nucleare, guerra totale, guerre
stellari – la politica reaganiana che si ispira alle Stars Wars da space opera
di George Lucas (1977) –, guerra chimica
e, in particolare, batteriologica, guerra elettronica. In senso non cruento,
in senso estensivo, si parla anche di guerre
commerciali, doganali; guerra del vino, del latte, ecc.
Eufemismi
Ma vorremmo spendere una
parola (in questa sede, altro non si può fare) anche di certi usi eufemistici
(e propagandistici) in sostituzione di guerra,
al fine di coprire una dura durissima realtà tragica e scomoda. Non stiamo
parlando del latinismo attenuativo conflitto,
diffusissimo, né dei vari iponimi che intendono il tutto camuffandolo da
pezzetto (attacco, magari preventivo, incursione, sconfinamento,
raid, di solito aereo anche quando sferrato con i droni), ma di – non sapremmo
dire: genialmente folli?, folli e basta?, ridicole e agghiaccianti? – locuzioni
come la putiniana operazione militare
speciale, ovverosia l’aggressione militare ai danni di un’altra nazione
(nella fattispecie, l’Ucraina), quella che, pur non proclamata, è una guerra in
tutta la sua terribile concretezza e realtà. Sempre più spesso, negli ultimi
mesi, a Putin è scappata di bocca la parola guerra
ma quell’atto iniziale, nella sua intenzione pre-storicizzante, dovrebbe
passare alla posterità come mero intervento tecnico richiesto da fastidiose
circostanze locali. Tant’è che agli inizi del 2022 chi si fosse macchiato del
reato nel definire pubblicamente guerra l’operazione militare speciale (специальная военная операция), avrebbe
rischiato fino a quindici anni di carcere.
Quella che leggerete
virgolettata tra due righe sembra un eufemismo e invece è una definizione,
autore papa Francesco, acuta e tutt’altro che paludata di ciò che è sotto gli
occhi di tutti, a partire perlomeno dall’inizio di questo primo quarto di
secolo nuovo: «Stiamo
vivendo la terza guerra mondiale a
pezzetti». Da Gaza, al Libano, alla Siria, allo Yemen (per tacere del Sudan e
di tanti altri “pezzetti”), i pezzetti si estendono e gli schieramenti del
dominio multipolare del globo scendono in campo per interposte forze di
combattimento, anche se sempre più spesso e con minori gradi di intermediazione
prudono le mani e fibrillano, in varie lingue, le lingue guerrafondaie (guerrafondaio fu coniato dall’economista
e sociologo Vilfredo Pareto; Mussolini, uno che se ne intendeva, dopo pochi
anni creò anche guerrafondaismo).
Guerre benefiche?
In
senso figurato, si chiama guerra una
serie di azioni o di comportamenti ostili tra due o più persone o gruppi di
persone: guerre tra commercianti, tra letterati (e mettiamoci anche La guerra dei Roses, The War of the Roses: Roses intesa come famiglia alto-borghese
di oggi, questa volta, in quanto titolo di un film del 1989 di e con Danny De
Vito, Michael Douglas e Kathleen Turner).
Un’altra
categoria figurata muove a fare la guerra
all’ingiustizia, all’ignoranza, alla povertà,
alla droga, ai pregiudizi: “guerre” sempre utili e forse per questo tanto
difficili da consolidare in progetti efficaci di lunga gittata. Insomma, le guerre che funzionano di meno sono
quelle dai contenuti più pacifici e oblativi.
Invece,
per tornare alle figure retoriche, parleremo non soltanto di eufemismo ma anche
di ossimoro, contraddizione in termini, nel caso di guerra umanitaria, ibrido da brivido che esiste, ma non nei testi
di diritto internazionale, e ci ricorda il tentativo di bene/dicere e dunque di benedire
interventi militari dall’esterno motivati dall’intenzione di contrastare, all’interno
del territorio di un altro Stato, i diritti umani violati dal governo di quel
Paese.
BIONOTA
Silverio Novelli si occupa da molti anni di lingua italiana. Tra le altre cose, ha scritto una grammatica scolastica (a sei mani), un paio di dizionari di neologismi (a quattro mani) e altri testi di divulgazione linguistica (a due sole mani, finalmente, le sue).
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