Le Fiabe teatrali di Carlo Gozzi e il teatro lirico (Melodramma) ~ di Marina Mayrhofer - TeclaXXI


MELODRAMMA

 

Marina Mayrhofer

 

Le Fiabe teatrali di Carlo Gozzi e il teatro lirico

 


IMMAGINE FRONTESPIZIO LE FIABE DI CARLO GOZZI (BOLOGNA, 1884) 
domaine public


L’influenza che la Fiabe teatrali di Carlo Gozzi hanno avuto sul teatro musicale europeo è argomento trattato in numerosi saggi, ma nel volume edito dalla LIM, Musica ed estetica del fiabesco. Il teatro di Carlo Gozzi e l’opera lirica, a cura di Camillo Faverzani e Paola Ranzini, la discussione, attraverso i contributi di diversi autori, segue un criterio sistematico, che consente al lettore di approdare ad una visione articolata delle tematiche sviluppate nelle opere liriche desunte da tale fonte.

Ad aprire la raccolta è il saggio di W. Zidaric che, nell’analisi applicata al libretto dell’opera di Prokof’ev L’Amour des trois oranges (1921), risale, oltre la fonte gozziana, al Pentamerone di Basile, approfondendo l’evoluzione della fiaba che, quando diventa ‘teatrale’, ormai con Gozzi, deve far necessariamente i conti con la Commedia dell’arte. Il lavoro di K. Morski, ovvero “Il corvo di C. Gozzi nelle versioni tedesche di primo Ottocento”, fa riferimento alle intonazioni di Martelli (1790), Romberg (1794) Volkert (1817), Pixis (1822). Inoltre, l’autore osserva che i musicisti tedeschi che ridussero ad opera lirica la fiaba di Gozzi si attennero principalmente al disegno del Singspiel.

Il saggio successivo di J. Hesselager su Ravnen (1832, 1865) di Hartmann e Andersen è interessante perché sottolinea con l’aggettivo ‘shakespeariana’ la commistione di componenti serie e comiche, presente nella fiaba di Gozzi. F. Arato, in König Hirsch (1956) di Henze, da Il re cervo di Gozzi, evidenzia la scelta del compositore, ovvero «recuperare per il Re cervo la forma chiusa dell’aria di ascendenza belliniana, proprio nel bel mezzo di quegli anni Cinquanta che videro il trionfo delle nuove avanguardie».

La disanima delle riduzioni operistiche, effettuate nel Novecento a fronte della fonte gozziana, prosegue con il saggio di P. Ranzini su Roi Cerf, Féerie bouffe (1984) di Dunoyer de Segonzac. L’autrice esordisce con una premessa: «Le riscritture tardo novecentesche delle Fiabe di Gozzi per il teatro musicale si fondano su: tipologia del meraviglioso, legame tra estetica del fiabesco e spettacolarità, contaminazione con l’estetica del burlesco» e segnalano un «distanziamento dal meraviglioso, svelando le tecniche per denunciarne la magia e spingendosi fino al metateatro». Infatti, D. De Cicco, nell’esaminare l’opera Il Re Cervo  (2016), P. Bosisio e A. Inglese, oltre a rilevare come la vocalità dei personaggi sia espressione del loro status sociale e fino a che punto la sezione dei fiati, nell’orchestrazione, si evidenzi sulle altre sezioni, rimarca lo stacco stilistico prodotto dall’inserzione del tema del Dies irae gregoriano nella ‘Danza dei cervi’. Nel capitolo del volume in cui si affronta l’argomento «Le Fiabe e le origini del Romanticismo tedesco» sono compresi i due saggi, rispettivamente di R. Scoccimarro ed E. Fava. Di questi, il primo, intitolato La ricezione delle fiabe di Gozzi nel teatro musicale di lingua tedesca, tra Illuminismo e Romanticismo, mette assai bene in chiaro le fasi progressive di tale ricezione. Scoccimarro esordisce segnalando il punto di partenza di una tendenza che ha ragion d’essere a cominciare dalla traduzione quasi integrale delle Fiabe effettuata da F. A. C. Werthes tra il 1777 e il 1779. Viene poi messa in luce la posizione di Schiller (traduttore della Turandot gozziana nel 1801), che «ritiene il meraviglioso ‘tollerabile’ per la sua forza espressiva» e quella di Goethe che attribuisce al genere operistico la categoria dello Schein, dell’apparenza. Quanto a Tieck, la sua posizione può considerarsi una via di mezzo tra la sua poetica e il genere del Singspiel. Il saggio, di grande interesse, denuncia notevole competenza e, soprattutto, una chiara visione storica posseduta dall’autore

Più diacronica l’indagine di E. Fava che, dopo aver menzionato l’interesse di F. Schlegel e di Tieck per la produzione gozziana, aggiunge che per E.T.A. Hoffmann essa costituisce un modello ideale per le opere. Cinque sono i saggi che prendono in esame il soggetto della Turandot gozziana rielaborato in diverse versioni operistiche. J. Hesselager propone una lettura della Turandot messa a punto da Nyegaard (1854) in cui emerge la problematica che connota un po’ tutte le elaborazioni operistiche delle fiabe gozziane, ovvero i due piani del meraviglioso e del comico che ne compongono, nella maggior parte, la struttura.  La Turanda (1867) di A. Gazzoletti e A. Bazzini è presa in esame da K. Alevizos ed E. Barbessi. L’opera è definita come ‘azione fantastica in quattro atti’. Il librettista segue la versione schilleriana e tende a ridurre lo spessore del mondo variopinto di Gozzi, a favore di una delineazione dei profili dei personaggi. M. Calliez segue con attenzione la genesi della Turandot di Busoni (1917) e prende in considerazione le versioni di Berlino e Zurigo, che poi sono tre: una suite orchestrale (1905), una musica di scena (1911) e un’opera lirica (1917). Molto efficace l’analisi di Calliez, effettuata sulla partitura, considerata dall’autore come un’illustrazione musicale del testo di Gozzi.  E. D’angelo, con “Gli enigmi sono tre” Turandot enigmista tra Gozzi e Puccini inizia con rammentare che la fonte di Gozzi è l’Histoire du prince Calaf et de la princesse de la Chine, uno dei racconti persiani dei Mille et un jour, raccolta di testi tradotti dal turco e rimaneggiati da F. Pétis de La Croix, edita a Parigi tra il 1710 e il 1712. D’Angelo prosegue evidenziando come nella Turandot di Gozzi gli indovinelli sono tre: sul sole, sull’anno e sul mare. Puccini che conobbe la fiaba nella traduzione di A. Maffei (da Schiller), pervenne a una riscrittura radicale, «una Turandot attraverso il cervello moderno», il suo e quello dei suoi librettisti Adami e Simoni. In un altro saggio, ancora  Calliez prende in esame Turandot, prinzessin von China (1950-1951), opera di H. Brian tratta da Gozzi e Schiller, ma precisa che l’opera non fu mai rappresentata. In merito allo stile che in essa si riscontra, Calliez fa presente che Brian, contemporaneo di Schoenberg, Bartók e Stravinsky, fu essenzialmente influenzato da Strauss.

C. Colombati, nel saggio intitolato Dalla “Donna serpente” di Gozzi a “Die Feen” di Wagner osserva che ciò che colsero i romantici non corrispondeva sempre alle intenzioni di Gozzi, rilevando che i primi esponenti della corrente vi scorsero la liberazione dai modelli classici. La donna serpente di Lodovici e Casella (1932) è oggetto di un bel saggio di A. Beniscelli, che illustra il dibattito scaturito dalla rappresentazione dell’opera e che vede coinvolti musicisti quali Malipiero, che si dichiara a favore delle maschere, contro il larmoyant, e Castelnuovo Tedesco, che approva in pieno le soluzioni escogitate da Casella. Giusto risalto viene dato anche alla polemica con Puccini. J. Chaty scrive sulle opere liriche omonime desunte da La principessa filosofa e dai Pitocchi fortunati, ovvero La principessa filosofa, con musica di Andreozzi e libretto di Sografi (Venezia, 1794) e I pitocchi fortunati, intonata da Pavesi su un libretto di Foppa (Venezia, 1819). Quest’ultimo titolo si distingue anche per la rilevanza attribuita alla componente esotica.

Molto interessante il saggio di F. Gon, su “La figlia dell’aria di F. Paini. Gon esamina le fonti di un soggetto che, nelle elaborazioni successive, darà luogo a una Semiramide buona e una Semiramide cattiva. Il passaggio da Calderon, fonte di Gozzi, alla fiaba del veneziano comporta l’intrusione del soprannaturale (l’ombra di Nino). Gon fa riferimento a un fantomatico primo atto di una Figlia dell’aria, scritto da Rossini mentre era a Londra, ma le cui musiche verranno in parte riciclate nel Viaggio a Reims e nel Comte Ory.

Conclude in bellezza il volume il saggio di C. Faverzani, La Spagna a Salerno o dell’adattamento operistico de La donna contraria al consiglio nell’Amor non ha ritegno (1804) di Mayr e Marconi. Faverzani precisa che La donna contraria al consiglio di Gozzi è una “composizione scenica” in cinque atti, inedita prima dell’edizione del 1803 e osserva che nel preambolo, Gozzi scrive che è “un poetico capriccio”, che ha il pregio di fornire “i colori della verità all’inverisimile”. Inoltre, di grande interesse, è quanto sottolinea Faverzani in merito a La donna contraria al consiglio, titolo annoverato nel teatro spagnolesco di Gozzi, ma che nel testo ha in realtà solo pochi riferimenti alla Spagna, mentre l’azione è ambientata a Salerno.  Le varianti tra la fonte e l’opera di Mayr sono attentamente esaminate anche grazie al supporto di utili tabelle che ne evidenziano l’entità.

MARINA MAYRHOFER 









 BIONOTA

 Marina Mayrhofer è stata docente di Musicologia nell’Università degli Studi di Napoli «Federico II». Ha scritto saggi sulla drammaturgia musicale europea, (Gluck, Mozart, Salieri, Beethoven e Wagner), pubblicati, in parte, nel suo libro Relazioni elettive. Studi sul teatro musicale classico (Napoli, Pagano 1996). Il suo libro, Appunti su Don Carlos, è stato pubblicato da Aracne Editrice, Roma 2009. Nel 2012 ha pubblicato il volume Di specie magica. Drammaturgia musicale tedesca dell’Ottocento, Aracne ed. 2012.







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