Uno scherzo sul Don Giovanni di Mozart (II parte) . Intervista semiseria con Don Giovanni all’Inferno (MELODRAMMA) ~ di Riccardino Massa - TeclaXXI
MELODRAMMA
Riccardino
Massa
Uno
scherzo sul Don Giovanni di Mozart
Intervista
semiseria con Don Giovanni all’Inferno
Parte
seconda
Domanda
Questo
però non giustifica l’omicidio.
Risposta
Ma
che omicidio! Lo hanno capito tutti che è stato un incidente. Anche lì, nel
duello che lui ha voluto, il Commendatore, quell’impiccione. Perché io alla
figlia di fatto non avevo fatto nulla. Tutto si comprende quando alla fine di
quei due sistemi musicali che rappresentano il duello, la musica si ferma su
degli accordi con una grande corona, il tutto sembra sospeso nel nulla.
Dall’allegro si passa ad un andante. Si comprende benissimo che anch’io sento
la tragedia dell’incidente. L’andante si svolge in un’altra dimensione
temporale. Gli archi che di solito rappresentano l’energia motrice
dell’orchestra e che fino a quel momento davano concretezza sonora ai colpi di
spada regrediscono a un moto immobile, come potrebbe definirsi il ristagnante
pulsare dello «Staccato» che percorre tutto il brano.
Domanda
Quindi
lei si giustifica dicendo che in fondo a Donna Anna non aveva fatto nulla, come
se l’entrare nella sua stanza non fosse già un peccato grave.
Risposta
Ecco,
voi moderni vedete solo l’esteriorità delle cose. Io sono un simbolo ed anche
gli altri personaggi lo sono. E poi Donna Anna ha i suoi grossi problemi
psichici.
Domanda
Problemi
psichici? Ma che sta dicendo?
Risposta
Certo.
Carl Gustav Jung direbbe che lei ha il complesso di Elettra. D’altra parte, a
soccorrerla vi è il suo amante Don Ottavio e lei quando si risveglia dallo
svenimento invece di trovare pace tra le braccia di chi le vuole veramente bene,
cosa canta? «Fuggi, crudele, fuggi! Lascia che mora anch’io, ora che è morto, o
Dio, Chi a me la vita diè». Se non è un atteggiamento strano questo! E poi, come se non bastasse a chiarire come
stanno le cose, mentre Don Ottavio le dice: «Lascia o cara la rimembranza
amara! Hai sposo e padre in me» lei cosa dice?
Domanda
Cosa
dice?
Risposta
Dice: «Ah il padre mio
dov’è». Se non è questo attaccamento morboso alla figura del padre allora…non
esiste spiegazione.
Domanda
Quindi
la morte del padre, per lei rappresenta l’abbandono della condizione di figlia
per donna Anna?
Risposta
Certo,
Donna Anna non deve essere santificata come fate voi del nuovo millennio.
Altrimenti non si spiegherebbero altre cose che nel racconto avvengono. Per
esempio, la confessione che Donna Anna fa a Don Ottavio. Guardi, deve sempre
pensare che siamo nel Settecento e la cristianità all’epoca vietava gli
incontri prematrimoniali. Ora, Donna Anna ad un certo punto racconta a Don
Ottavio quel che è successo quella notte. Per comprenderci siamo alla scena
XIII numero 10 recitativo ed Aria di Donna Anna. Lei canta: «Era già alquanto
avanzata la notte, quando nelle mie stanze, ove soletta mi trovai per sventura,
entrar io vidi in un mantello avvolto un uomo che al primo istante avea preso
per voi». Insomma, la Signora il fatto di essere soletta la trova una sventura.
Pare che tutto sommato nella sua stanza sarebbe stata felice di ricevere don
Ottavio. Infatti, Da Ponte/ Mozart mettono una virgola dopo stanze e dopo
sventura. Quindi la nostra santarellina aveva voglia di passare qualche ora
lieta con Don Ottavio. Se non fosse stato così, magari per paura poteva
chiudersi a chiave, invece…?
Domanda
Ma
Donna Anna lo sa che Don Ottavio la ama. E l’aria n. 11 cantata dal tenore è la
dimostrazione del carattere romantico del personaggio. Con la sua capacità di
dedicarsi completamente anche con l’anima alla sua amata. «Della sua pace la
mia dipende, quel che a lei piace vita mi rende, quel che le incresce morte mi dà.
S’ella sospira sospiro anch’io, è mia nell’ira, quel pianto è mio, e non ho
bene se ella non l’ha».
Risposta
Intanto
diciamo subito che Mozart inserisce quest’aria dopo che l’opera era già andata
in scena a Praga. Lo fa per la recita di Vienna a mio parere per corregger un
errore drammaturgico. Essa infatti, giustifica il breve recitativo precedente,
che altrimenti rimarrebbe come sospeso, concludendolo in modo convincente e
facendo da contrappeso, anzi quasi da risposta all’aria di Donna Anna «Or sai
chi l’onore».
Domanda
Quest’aria
suggella l’unione per la vita e per la morte dei loro due destini.
Risposta
Lo
crede davvero? Per me è solo la riconferma della completa nullità di Don
Ottavio che è completamente succube di un romanticismo lacrimevole. E poi è
facile diventare un eroe quando lo stesso autore ti dedica tutte le arie di
questa natura. Se proprio voleva essere equilibrato, Mozart inserendo questa
nuova aria avrebbe potuto togliere l’altra di Don Ottavio, quella del secondo
atto «Il mio tesoro intanto». Invece no! L’autore vuole strafare, le lascia
entrambe tanto per caricaturare questo melenso aristocratico. Vi siete mai
chiesti voi di Tecla perché Mozart non mi dedica arie così belle. Mi fa cantare
sempre per agire. Sono in continuo movimento, mai un momento in cui possa
fermarmi per riflettere. Pare quasi che l’autore, in questo modo, faccia del
mio personaggio uno incapace di fermarsi. Se ti fermi a pensare alla tua vita
sei costretto a pensare anche alla morte che è la diretta conseguenza del
vivere. E Mozart non vuole che io rifletta. Vuole che passi la vita a
rincorrere qualcosa perdendo di vista l’importanza della mia esistenza. Il
silenzio fa paura. E Mozart lo sa bene.
Domanda
Anche
a lei però, offre tre arie!
Risposta
Non
sia sciocco, non sono arie nelle quali il mio personaggio rifletta sul senso
dell’esistenza o sull’amore. L’aria n. 12 del primo atto: «Fin ch’han dal vino
calda la testa, una gran festa fa preparar! Se trovi in piazza qualche ragazza,
teco ancor quella cerca menar. Senza alcun ordine la danza sia, chi il
minuetto, chi la follia, chi l’alemanna farai ballar! Ed io frattanto
dall’altro canto con questa e quella vo amoreggiar». Direi più che un’aria è un
canto bacchico che si può accompagnar nelle fiere e poi il tempo è «Presto» non
un moderato, un adagio. Un affare fatto di corsa come sta succedendo in tutta
l’opera. Per non parlare della seconda Aria. Quella chiamata Canzonetta «Deh
vieni alla finestra, o mio tesoro, deh vieni a consolar il pianto mio». Mi
vuole spiegare che gusto dovrei trovare nel cantare guardando una finestra
chiusa? E della terza «Metà di voi qua vanno, e gli altri vadan là…», non ci
sarebbe neppure da parlarne in quanto sono nascosto nelle vesti del mio servo
Leporello ed è semplicemente la scusante per evitare che i popolani mi tirino
il collo e per restare da solo con Masetto per fargli ascoltar le virtù di una
bella bastonata.
Domanda
Parliamo
ancora un attimo di Donna Elvira!
Risposta
Vade
retro, Satana! Donna Elvira è una donna tormentata e fa da pendant
drammatico a Donna Anna. Elvira è una donna tormentata. Vuol passar per
l’angelo ammonitore. Se al posto di vederla come una donna la vedeste
simbolicamente capireste che è la coscienza che si fa realtà tutte le volte che
cerco di conquistare una donna. Un vero tormento! Eppur mi sembrava chiaro che
con lei, come con tutte le altre non avrei potuto costruire altro che un
rapporto superficiale, ma lei insiste: «Mi tradì quell’alma ingrata: /
Infelice, oddio/ Ma tradita e abbandonata provo ancor per lui pietà».
Se non visualizzate, cliccate qui di seguito:
W.A. MOZART, Don Giovanni a cenar teco Atto II Finale
È
ora per me di ritornare nel mondo terreno, perché il Direttore di TeclaXXI mi
sta chiedendo su WhatsApp: Come è andata?
Mi è difficile dare un giudizio completo sul personaggio. Certo, non potrei mai mettermi a confronto con chi ne ha scritto prima di me. Non certo con un E.T.A. Hoffmann che mette in risalto il contrasto tra la natura «finita» del personaggio e «l’infinito» delle sue aspirazioni. Né tanto meno sono all’altezza della singolare lettura del filosofo Kierkegaard, il quale considera «la natura erotica e sensuale» di Don Giovanni al fine di dimostrare che, se la forza, la vita, l’onnipotenza possono esprimersi in musica, allora la potenza della sensualità incarnata da Don Giovanni viene a coincidere con la musica stessa. E infine non potrei mai competere con le geniali divagazioni letterarie del poeta francese Pierre-Jean Jouve, al quale si deve una interpretazione esistenzialista del personaggio dannato e della sua protervia nella provocazione. Preferisco a tutto ciò il pensiero del critico musicale Massimo Mila: «Sembra impossibile negare che nella musica di Mozart per il Don Giovanni risieda una specie d’inconsapevole virtualità metafisica, una segreta facoltà d’accennare a significati profondi, celati sotto il velo di versi non strani, ma al contrario limpidi e giocondi…Resta questa sorprendente capacità di accogliere in sé il mito».
RICCARDINO MASSA
Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.
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