ROMA, NEL CENTRO (NARRATIVA) (II PARTE) ~ DI GABRIELLA URBANI - TECLAXXI

 NARRATIVA

Roma, nel centro

II PARTE

di Gabriella Urbani


* la I parte è stata pubblicata da TeclaXXI il 13 maggio 2025




Silvia entrò nella chiesa del Gesù stracolma di gente. Si fece il segno della croce e non poté fare a meno di alzare lo sguardo alla vòlta del soffitto a botte affrescata dal Baciccia - tanto era magnificente: la gloria del nome di Gesù tra gli angeli e i beati da una parte e i diavoli e i dannati dall’altra sullo sfondo di un dorato tramonto romano.

Provò a farsi largo tra i fedeli e non trovando posto seduta rimase in piedi.

Stava per cominciare l’omelia della ricorrenza del Cristo Re, sul pulpito salì un prete che aveva indosso paramenti tanto splendenti da sembrare la trasposizione della vòlta dorata,

“Commentiamo oggi” – cominciò il prete, con un forte accento veneto – “quella parte della preghiera del Credo ‘patì per noi sotto Ponzio Pilato’. Provate a pensare che sia una scena dove c’è da una parte il potere, qualunque potere: quello grande e transnazionale ma anche quello più piccolo, quello dei tanti piccoli ducetti di provincia, di famiglia, di ufficio, di convento”.

Quando il prete disse “di convento” dai banchi delle suore e dei frati domenicani – quelli vestiti di bianco con la mantella nera – si sollevò un brusio di risatine e frasi di approvazione.

“E poi c’è chi è senza potere. Possiamo domandarci chi è la persona libera e possiamo domandarci chi è lo schiavo. Per far questo oggi, una tantum, ho pensato di non usare parole mie, ma di leggervi qualche stralcio dei Fratelli Karamazov ‘La leggenda del grande inquisitore’”.

“Chi è l'inquisitore?” chiese il prete con un forte accento veneto. “È senza volto, come il demonio. E chi è Cristo? È il volto di tutti i poveri cristi, forse anche il nostro. Vi propongo una contemplazione della pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato”.

E attaccò i Karamazov. I Karamazov in perfetto italiano, marcando l’accento regionale i commenti.

“L’inquisitore si ferma sulla soglia e considera a lungo, per uno o due minuti, il volto di Lui. Infine, si accosta in silenzio, posa la fiaccola sulla tavola e dice: ‘Sei tu? Sei tu?’ Ma non ricevendo risposta aggiunge rapidamente ‘Non rispondere, taci! e che potresti dire? So troppo bene quel che puoi dire. Del resto, non hai diritto di aggiungere nulla a quello che tu già dicesti una volta. Perché sei venuto a disturbarci? Sei infatti venuto a disturbarci, lo sai anche tu!’”

Le parole rimbombarono per tutta la chiesa, Silvia provò ad andare più avanti e si fermò proprio sotto il nome trionfante di Gesù. Tra i banchi, dopo quelli occupati dai domenicani, riconobbe parecchie persone famose. Le giornaliste della redazione televisiva di La 7, diversi deputati e senatrici, magistrati, gran commis di Stato.

“Io non so chi tu sia, e non voglio sapere se tu sia Lui oppure una sua apparenza, ma domani stesso io ti condannerò e ti farò ardere sul rogo come il peggiore degli eretici. Non dicevi tu stesso voglio rendervi liberi? Ebbene, tu adesso li hai veduti questi uomini liberi”.

“Questi uomini liberi saremmo noi”.

“Sì, questa faccenda ci è costata cara, ma noi l’abbiamo condotta a termine in nome tuo!”

“O di quelle secolarizzazioni di Dio: la storia, il partito, la razza, la scienza…”.

“Per quindici secoli ci siamo tormentati con questa libertà ma adesso l’opera è compiuta, e saldamente compiuta. Non credi che sia saldamente compiuta? Tu mi guardi con dolcezza e non mi degni neppure della tua indignazione? Ma sappi che adesso, proprio oggi, questi uomini sono convinti di essere perfettamente liberi e tuttavia essi stessi ci hanno recato la loro libertà e l’hanno messa umilmente ai nostri piedi”.

“Quegli uomini siamo noi”.

“Lo spirito intelligente e terribile, lo spirito dell’autodistruzione e del non essere, continua il vecchio, il grande spirito ti parlò nel deserto”.

Il prete elencò le tre tentazioni del Demonio nel deserto che Gesù rifiutò.

“Da lungo tempo non siamo più con Te ma con lui, sono ormai tanti secoli che noi accettammo da lui ciò che tu avevi rifiutato con sdegno, quell’ultimo dono che egli ti offriva, mostrandoti tutti i regni della terra. Noi accettammo da lui Roma e la spada di Cesare, e ci proclamammo re della terra, gli unici re. Ma di chi è la colpa? Accettando il mondo e la porpora di Cesare tu avresti fondato il mondo universale e dato loro…”

“A quegli uomini, che siamo noi”

“…avresti dato loro la pace universale. Chi mai deve dominare gli uomini se non quelli che dominano la loro coscienza, e nelle cui mani è il loro pane? Passeranno ancora secoli…”

“Sta parlando di noi, di noi, delle nostre orge di libero pensiero, dell’umana scienza e dell’antropofagia!”

“… perché avendo cominciato a costruire la torre di Babele senza di noi è con l’antropofagia che termineranno. E noi ci siederemo sulla bestia e leveremo in alto una coppa su cui sarà scritto ‘mistero’. Ma allora soltanto spunterà per gli uomini il regno della libertà e della pace. Allora noi daremo la tranquilla umile felicità degli esseri deboli, quali essi furono creati”.

A quel punto arrivò, racconto nel racconto, la domanda di Alioscia, uno dei tre fratelli Karamazov.

“Ma è così che va intesa la libertà? È questo il concetto che ha l’ortodossia? Quella è Roma, neppure tutta Roma, sono i peggiori tra i cattolici, i gesuiti!”.

Alla parola gesuiti i fedeli si misero a ridere - il prete di più. Anche Silvia rise.

“Povero Alioscia. Tutti noi siamo Alioscia” e avviò la conclusione.

“D’un tratto Lui si avvicina al vecchio in silenzio…

“Gesù a Pilato, ai tanti Pilati”

… e lo bacia, piano. Ecco tutta la sua risposta”. “Il vecchio sussulta, gli angoli delle labbra hanno avuto un fremito. Egli va verso la porta, la spalanca e gli dice: “Vattene, e non venire mai più. Mai più!”.

Al secondo mai più a Silvia parve che tutti gli stucchi e marmi della chiesa si dilatassero, che le vesti delle statue prendessero ad ondeggiare, le candele accese delle cappelle laterali a innalzarsi; così le parve. E che la vòlta del Baciccia in quell’istante gli crollasse sulla testa- e su quella di tutti.

Invece, con tempi teatrali perfetti, il prete attaccò il Credo.

Silvia, guardandosi attorno, si rese conto come fosse l’unica ad essere stupita.

Quando uscì le passò accanto un Mario Draghi dal volto tristissimo e dolente.


GABRIELLA URBANI

BIONOTA

Gabriella Urbani, classe 1964, vive e lavora a Roma. Si occupa di comunicazione e divulgazione in un organismo del movimento cooperativo. È sposata, ha un figlio, ha già pubblicato racconti.

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