Adriano Olivetti – Un altro capitalismo era possibile? VI parte – Il lavoro e la politica (STORIA) ~ di Riccardino Massa -TeclaXXI

STORIA


 Adriano Olivetti – Un altro capitalismo era possibile?

 Parte sesta – Il lavoro e la politica


di Riccardino Massa




Per comprendere quali erano le idee di Adriano Olivetti riguardanti il mondo del lavoro, non abbiamo molti documenti. Forse, i più importanti sono quelli che riguardano i tre discorsi ufficiali che l’imprenditore fece ai lavoratori in altrettante occasioni. Il primo riguarda il discorso fatto a Ivrea il 19 dicembre 1954, in occasione della consegna di una spilla d’oro ai dipendenti Olivetti che avevano raggiunto i 25 anni di attività. Il secondo discorso, pronunciato davanti ai lavoratori Olivetti dello stabilimento di Pozzuoli il 23 aprile del 1955, ed è dello stesso anno, il 24 dicembre, il discorso pronunciato ad Ivrea .

Questi discorsi, letti oggi, colpiscono particolarmente per il suo modo di comunicare. Lui parlava di comune partecipazione alla vita della fabbrica, di finalità materiali e morali del lavoro, di impresa che cresce nell’uomo e nelle sue possibilità di elevazione sociale e di riscatto.

Queste affermazioni potrebbero essere confuse con un paternalismo industriale molto in voga nei primi anni del dopoguerra se non fosse stato invece accompagnato da azioni reali dall’impresa.

I ricavi della società di Ivrea, e conseguentemente gli utili, erano rilevanti. Questi non si trasformarono tutti in lauti dividendi agli azionisti, oppure con compensi ai dirigenti spesso superiori di 400 – 500 volte il salario medio di un operaio. Vennero usati invece per aumentare i salari che risultarono superiori in confronto alla media delle altre industrie, ma anche in magnifiche architetture di fabbrica con condizioni di lavoro d’avanguardia. E si trasformavano in crescente occupazione, ma soprattutto in servizi sociali (per esempio, asili per i figli dei dipendenti o colonie estive, oppure servizi medici d’azienda).

La parte più rivoluzionaria del suo pensiero sul rapporto capitale-lavoro però, fu quella che elaborò nel suo esilio forzato in Svizzera, dove tra l’altro nel marzo del 1945 si iscrive al Movimento Federalista Europeo e chiede l’iscrizione al Partito Socialista di Unità Proletaria. Questo suo pensiero sarà pubblicato nei primi mesi del 1945 con il titolo “L’Ordine Politico delle Comunità”. L’idea era semplice. Prevedeva che il capitale azionario delle grandi e medie fabbriche doveva appartenere in parte alla comunità locale e solo una parte doveva essere lasciata all’imprenditore.

Un disegno di questa natura, non solo caratterizzò Olivetti come un capitalista anomalo. Eravamo in un momento storico che vedeva la divisione del mondo tra l’area ideologica legata all’economia statalizzata e l’area legata al liberismo più radicale. Insomma, Adriano si faceva dei nemici sia tra i capitalisti del mondo occidentale che tra i comunisti ancora seguaci dell’Unione Sovietica. La sua era una idea che andava ben oltre alle elaborazioni politico economiche del tempo. Era troppo avanti sui tempi che stava vivendo. Anche se per noi contemporanei una visione di tal genere ci porta a considerare questo anomalo imprenditore come un illuminato, dobbiamo invece pensare che la considerazione della stragrande maggioranza del potere politico e del potere economico del dopoguerra leggeva queste idee come una utopia irrealizzabile, isolandone il personaggio. E fu guerra nei suoi confronti. Sia da quegli imprenditori che non erano d’accordo nel cedere parte dei loro utili, sia da parte delle organizzazioni sindacali e delle forze politiche che avrebbero dovuto difendere il mondo del lavoro e che vedevano nell’idea olivettiana una sorta di anestetico alla lotta di classe.

D’altra parte, Olivetti fu molto esplicito nel vedere l’organizzazione politica dei partiti come l’insidia maggiore del nuovo ordine politico da lui immaginato attirando su di sé critiche feroci.

“All’alba di un mondo che speravamo nuovo, in un tempo difficile e duro, molte illusioni sono cadute, molte occasioni sfuggite perché i nostri legislatori hanno guardato al passato e hanno mancato di coerenza o di coraggio. L’Italia procede ancora nel compromesso, nei vecchi sistemi del trasformismo politico, del potere burocratico, delle grandi promesse, dei grandi piani e delle modeste realizzazioni”.

Questa idea salvifica di uscire dalla morsa della rappresentazione esclusiva dei partiti politici, aveva portato Olivetti a fondare il Movimento Comunità nel 1948 per promuovere azioni di una comunità concreta che all’inizio per lui si identificò solo con la città di Ivrea e del territorio circostante (Canavese). Conseguentemente il movimento, al fine di incidere sulle scelte amministrative locali, nel 1953 si presenterà alle elezioni amministrative. Successivamente, pensando di diventare la spina nel fianco della Democrazia partitica, il movimento si presenterà alle elezioni nazionali dal 1958, tra l’altro con un discreto successo ma solo a livello locale .

Ma quest’ultima scelta fu un errore politico. Invece di cercare alleanze trasversali nei partiti per giungere ad una riforma dello Stato, cedette sul piano dell’organizzazione politica, trasformando il movimento in un partito politico e rimanendo anch’egli imbrigliato nella stessa logica che voleva combattere. Oltre tutto in una posizione isolata nei confronti degli altri partiti di massa.

La sua critica al parlamentarismo partitico, fu premonitore di un sentimento che nei decenni è diventato maggioranza nelle democrazie occidentali, vista la scarsa affluenza alle urne. Ignorando il pensiero olivettiano, si potrebbe pensare ad una sua visione antiparlamentare, ma non è così.

La sua idea di democrazia socialista venne in luce proprio da un intervento che scrisse il 19 marzo del 1957 e che risulta una apertura alla politica del Partito Socialista e che compare sul primo numero della rivista Zodiac (rivista internazionale di architettura contemporanea) pubblicata dalla Olivetti. Siamo nel periodo nel quale molti intellettuali italiani si allontanano dal Partito Comunista dopo i fatti di Ungheria. L’idea di avvicinare la gestione del potere all’uomo attraverso comunità locali autogestite, che però avessero uno spirito unitario nazionale, corrisponde alla concezione che Olivetti aveva dello Stato.

Il processo di globalizzazione portato avanti dall’Olivetti fu intenso in anni nei quali di globalizzazione nessuno ancora parlava..

Vennero aperti uffici a Toronto e a Montreal per portare i prodotti sul mercato mondiale e si sviluppò una rete di società alleate (tre nel Commonwealth britannico, cinque in Europa e quattro nell’America Latina), inoltre si aprirono cinque stabilimenti in altri Paesi con l’assunzione di circa 3.000 operai (Barcellona, Glasgow, Buenos Aires, Johannesburg, Rio de Janeiro). Ciò nonostante, gli sforzi furono anche quelli di investire nel meridione italiano con la costruzione dello stabilimento di Pozzuoli. E alla base di questo sviluppo di unità produttive permaneva sempre in Adriano l’opinione che la sua missione non era solo un investimento economico, ma un investimento per una nuova società. La sua Olivetti, anche se ormai era diventata una entità internazionale, lui continuava a chiamarla la fabbrica di Ivrea.

“Il tentativo sociale della fabbrica di Ivrea, tentativo che non esito a dire ancor del tutto incompiuto, risponde a una semplice idea: creare un’impresa di tipo nuovo al di là del socialismo e del capitalismo giacché i tempi avvertono con urgenza che nelle forme estreme in cui i due termini della questione sociale sono posti, l’uno contro l’altro, non riescono a risolvere i problemi dell’uomo e della società moderna” .

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 ₁ Quest’ultimo discorso pubblicato con il titolo “Discorso di Natale in un mondo che nasce” pp.73-87, prodotto dalla casa editrice Edizioni di comunità, Roma/Ivrea 2013. (Ricordiamo che le edizioni di Comunità furono fondate da Adriano Olivetti nel 1946.

₂ Art. 49 della Costituzione della Repubblica italiana “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

₃-₆ Democrazia senza partiti, Roma/Ivrea, Edizioni di Comunità, 1952.

Apparve la prima volta come opuscolo nel 1949 edito dal “Movimento Comunità” con il titolo “Fini e fine della politica”.

₄ I risultati elettorali sono i seguenti: Movimento comunità 51,8%, Democrazia Cristiana 23,15%, Partito Comunista 9,27%, Partito Socialista 4,26%, Movimento Sociale Italiano 3,02%, Partito Nazionale Monarchico 2,85%, Partito Socialista Democratico Italiano 2,22%, Partito Liberale Italiano 2,10%. 

₇ Con lo sviluppo delle reti commerciali e di nuovi stabilimenti anche all’estero nel 1959 i dipendenti Olivetti raggiunsero la cifra di 24.700 unità.

₈ Discorso ai lavoratori di Pozzuoli 23 aprile 1955. Riportato nel testo del saggio di Adriano Olivetti, La Città dell’uomo, Roma/Ivrea, Edizioni di Comunità, novembre 2015, p. 125.

 

RICCARDINO MASSA

BIONOTA

Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.

 

 



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