Il doppiaggio: origini, ascesa e declino - fino alla futura era post-umana (CINEMA D'ANTAN) ~ di Alessandro Iovinelli - TeclaXXI
CINEMA D’ANTAN
Alessandro Iovinelli
Il doppiaggio: origini, ascesa e declino
(fino alla futura era post-umana)
Quando
si parla pro o contro il doppiaggio, bisognerebbe innanzitutto smentire un
luogo comune. Non è una pratica esclusivamente italiana.
Per
averne una prova, basta esaminare il video che pubblicò “Repubblica TV” nel
2012 in occasione della morte di Robert B. Sherman, autore di molte colonne
musicali, riproponendo una delle sue più celebri canzoni, cioè Supercalifragicasticexpialidocious [1] in un’edizione multilingue composta dai molteplici doppiaggi del film Mary Poppins:
VIDEO 1 MARY POPPINS
Nel video gli interpreti originali, cioè i grandi Julie Andrews e Dick Van Dyke, sono solo i primi a cantare la canzone che è intonata in una babele di lingue. Grazie a un abile montaggio, questo medley musicale ci ricorda due verità dalle quali si dovrebbe partire, allorché si discute del doppiaggio. Prima di tutto, è una pratica diffusa ovunque. In secondo luogo, è una forma di adattamento linguistico che agevola la diffusione di un’opera cinematografica con tutto quel che si trascina con sé – in questo caso, una canzone ben presto diventata un ritornello ripetuto nel proprio idioma da diverse generazioni di bambini che hanno visto (e ascoltato) Mary Poppins di Robert Stevenson [2] , un successo mondiale prodotto dalla Walt Disney nel 1964.
Il
richiamo all’infanzia non è casuale: non solo perché i fanciulli sono i primi
beneficiari del doppiaggio – tant’è che perfino in Paesi dove tale tecnica
ha una scarsa tradizione, i cartoni animati sono regolarmente doppiati – ma
anche per un’altra ragione più profonda. C’è stata un’epoca nella quale lo
spettacolo cinematografico ha costituito il principale mezzo di intrattenimento.
Arte di massa per eccellenza, in mancanza dei concorrenti che ne avrebbero
incrinato il primato, il cinema ha riunito in sé le caratteristiche di un grande
sogno condiviso da tutti, che avvicinava tra loro classi sociali, gruppi
intellettuali, folle semianalfabete, e consentiva così di superare confini
nazionali, barriere culturali, divisioni linguistiche. Questa lunga
fanciullezza del pubblico è andata dagli anni Trenta ai primi anni Settanta del
Novecento. In questo periodo capitava che in Italia si vendessero ogni anno più
biglietti che in tutti gli altri Paesi europei messi insieme e che la gente si
recasse al cinema di quartiere con la stessa assiduità con la quale poi avrebbe
imparato ad accendere il televisore e, in seguito, a fare zapping.
Negli anni d’oro del cinema si compì un altro prodigio: le star di Hollywood parlavano in italiano. E, se ci riflettiamo sopra, questo è il classico esempio che conferma la teoria elaborata da Wilhelm Wundt, ovvero l’eterogenesi dei fini [3] . Sì, è vero: il fascismo aveva imposto la tecnica del doppiaggio per “proteggere” l’idioma nazionale dalla influenza dei forestierismi, ma abolendo la distanza linguistica tra gli attori sullo schermo e gli spettatori in sala, contribuì paradossalmente all'affermazione del cinema americano in Italia. Infatti, grazie alla persistenza di uno stesso doppiatore, i divi finivano per essere identificati non solo per la loro immagine, ma anche per la loro voce italiana. Così la divina per antonomasia, cioè Greta Garbo, disponeva dei suoni fatali e fascinosi di Tina Lattanzi. Allo stesso modo, l’eroe dei western, John Wayne, non poteva che esprimersi nel timbro virile di Emilio Cigoli. L’eleganza di Cary Grant era sempre sostenuta dall’inimitabile Gualtiero De Angelis e Lydia Simoneschi era l’interprete ideale di Ingrid Bergman, cui restituiva dolcezza e intensità. In certi casi, la mimesi tra l’attore italiano e il protagonista originale si è espressa in un solo film: basterebbe confrontare l’edizione svedese del Posto delle fragole con quella italiana, là dove il vecchio Victor Sjöström ritrova gli stessi accenti sofferti e pensosi nell’interpretazione di Amilcare Pettinelli (mentre la splendida Bibi Anderson scopre nella voce italiana di Maria Pia di Meo il suo perfetto equivalente).
VIDEO 2 IL POSTO DELLE FRAGOLE V.O.
VIDEO 3 IL POSTO DELLE FRAGOLE in italiano
In
Lolita la somiglianza vocale di Giulio Panicali con James Mason appare straordinaria:
se si confrontano le due piste sonore, sembra addirittura che l’attore inglese
si sia doppiato da solo.
VIDEO 5 LOLITA 2
Non
mancarono poi casi nei quali il doppiaggio divenne un trasformismo
virtuosistico, tanto che un gigante di quest’ arte quale Giuseppe Rinaldi
riusciva a moltiplicare il suo talento in una serie incredibile di celebri
attori: da Jack Lemmon a Peter Sellers, da Marlon Brando a Paul Newman, e così
via. Probabilmente l’effetto di Doppelgänger si è prodotto un’ultima
volta con il binomio Robert De Niro – Ferruccio Amendola e Meryl Streep – Maria
Pia Di Meo, nonché con l’assoluta equivalenza tra Woody Allen e Oreste Lionello.
VIDEO 6 FINALE ANNIE HALL V.O.
Ed
è stato proprio il genio newyorkese a onorarne la memoria nell’ambito del Gran Premio Internazionale del Doppiaggio
(2009).
Del
resto, la fascinazione della simbiosi tra l’icona di un attore e il suo
correlativo doppiato non è stata il frutto soltanto del pubblico italiano, ancora
naïf e successivamente pigro e viziato, se pensiamo che perfino un autore
cinéphile come François Truffaut dichiarava di prediligere la versione francese
di Fiume rosso (Red River) rispetto a quella originale.
Ma, come si è detto, i tempi sono cambiati. Innanzi tutto, il volume di opere audiovisive si è centuplicato tra cinema, televisione e videogame di larghissimo consumo. Solo questo dato quantitativo renderebbe oggi impossibile l’esistenza di un’unica cooperativa di doppiaggio, come la leggendaria CDC che negli studi della Fono Roma agiva nei termini di una vera e propria compagnia teatrale. Il lavoro del doppiatore, pur protetto in termini di categoria, ha perduto l’aspetto della bottega artistica o quanto meno artigianale (da trasmettere di padre in figlio), procedendo invece con modalità e tempi più simili alla produzione industriale. Per fare un esempio, trascurando ogni coerenza timbrica, un attore come Leonardo Di Caprio ha avuto ben quattro doppiatori italiani nell'arco della sua carriera [4] .
Un
buon doppiaggio richiede il contributo di molteplici professionalità: attori,
traduttori, adattatori, direttori di doppiaggio, ecc. Come ogni altra
rappresentazione artistica, il suo risultato finale è il figlio del tempo
impiegato e delle risorse a disposizione. Contrariamente a quel che si pensa, i
primi nemici del doppiaggio di qualità sono proprio le Major, che preferiscono
risparmiare sui costi di distribuzione all’estero, avvalendosi di vari subtitler,
ovvero i traduttori specializzati, i quali con un programma ad hoc possono realizzare
a casa le didascalie di un film nella lingua richiesta. Infine, c’è un altro
fattore da considerare: il pubblico è cambiato. La versione originale non è più
preferita soltanto dai cinéphile, bensì da quanti viaggiano all’estero,
sono in contatto con altre lingue e culture, o semplicemente si avvalgono dell’apposita
funzione indicata dal menu dei dvd o delle piattaforme che consentono di vedere
film e serie TV in streaming.
Nel nostro tempo il cinema lo si fa e lo si segue in condizioni molto differenti dal passato e inimmaginabili appena una generazione fa. I film non si girano più usando la pellicola, ma con fotocamere digitali. La maggior parte dei cinema di un tempo non esistono più e la proiezione in sala sopravvive principalmente nei multiplex, cioè le multisale cinematografiche, le quali spesso sorgono fuori dai centri urbani e in prossimità di quelli che Marc Augé avrebbe chiamato i “non luoghi”, caratterizzati da centri commerciali con fast food e grandi autoparcheggi. Infine, i film appena usciti si possono vedere a casa, abbonandosi semplicemente a un servizio streaming online, dove si trova tra le opzioni disponibili l’audio originale con i sottotitoli in italiano (a volte, non solo!). Dunque, come tanti altri fenomeni del XX secolo, anche l’epoca dei grandi doppiatori è tramontata e non ritornerà mai più.
Quanto
al futuro (neanche troppo lontano, né tanto meno avvolto in un'atmosfera tra fantascienza
e distopia, ma abbastanza prossimo al nostro orizzonte di spettatori del XXI secolo) si può prevedere uno scenario di doppiaggi post-umani affidati a vari programmi
di Intelligenza Artificiale. Già adesso, infatti, è possibile clonare una voce
umana soltanto ascoltandola rispondere al telefono con il classico: “pronto?”. E
di recente ho letto la notizia di alcuni attori doppiatori che hanno depositato i diritti sulla propria voce, in modo tale da poter denunciare
legalmente chi ne farà un uso non autorizzato. Ma chissà? Ḕ probabile che verrà
il giorno in cui l'ennesimo episodio della saga di 007 ci arriverà doppiato
anche in italiano con la voce dell'indimenticabile Pino Locchi che dice la celebre
battuta: “Il mio nome è Bond, James Bond”, proprio come ai tempi di Licenza
per uccidere (1962) o di Goldfinger (1964).
Note:
[1] Per il pubblico italiano: supercalifragilestichespiralidoso.
[2] Autrice del romanzo per l'infanzia Mary Poppins (1934) è Pamela L. Travers.
[3] Ethik,1886. Giambattista Vico parla di eterogenesi nel suo Scienza nuova (1744).
[4] Francesco Pezzulli (voce ufficiale), Fabrizio Manfredi, Alessandro Tiberi, Corrado Conforti (e una volta anche Marco Bolognesi).
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ALESSANDRO IOVINELLI
È poeta, narratore, critico e regista teatrale.
Ha pubblicato libri di poesia, racconti, saggistica, nonché tre romanzi.




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