Una settimana in giro per il Portogallo - IV parte (REPORTAGE) ~ di Jacqueline Spaccini - Tecla XXI
REPORTAGE
Una settimana giro per il Portogallo
di Jacqueline Spaccini
*Tutte le foto, salva diversa indicazione, sono di ©jacqueline spaccini (2025)
parte I link
parte II link
parte III link
(siamo ancora a Batalha)
C’è la stanza con i gisants[1], e il re João I de Portugal (Giovanni I) e la regina Filipa de Lencastre (Filippa di Lancaster) si tengono per mano nella Capela do Foundador. Il monastero nel 1433 (data della morte del re) non è ancora terminato.
Questa foto è prelevata dal sito: https://www.vivilisbona.it/itinerari-tempo-libero/batalha-monastero.html
Lo stile del monastero, si è detto, è gotico flamboyant. È in questo monastero che si trovano le Cappelle imperfette (nel senso di «non terminate»), sorta di pantheon personale del re Duarte, nel 1437, quando succede a re Joao I, suo padre. Purtroppo per lui, morirà un anno dopo e il progetto si ferma. Ripresi i lavori a metà del XVI secolo, non saranno mai portati a compimento.
Quant’era
importante per loro «eternizzarsi»: se pure il corpo si tramutava in cenere, la
pietra delle loro tombe avrebbe raccontato ancora ai posteri chi e come erano i
re e le regine del tempo passato. Però confesso che il «mano nella mano» è un
dettaglio che non ritrovo in altri gisants di regnanti. Almeno, non a mia memoria.
Anche per Duarte I (qui a fianco) si ha la stessa composizione sulla sua tomba: tiene la mano alla consorte, Leonor de Aragao (Eleonora d'Aragona).
Nella sala del Capitolo, assistiamo all’arrivo della guardia
d’onore, costituita da due soldati armati che vigilano con atteggiamento
marziale la Tomba del Milite Ignoto, istituita qui dal 1924. Al di sopra di
loro, un crocifisso amputato, il Cristo delle Trincee, donato dai francesi per
ringraziare i portoghesi dell’aiuto apportato durante la I guerra mondiale. Questo Cristo amputato non è più stato restaurato, affinché sia di monito della violenza della guerra.
I
monasteri invitano al raccoglimento ma questo è impossibile durante un tour. O
forse non è nell’animo mio. Dopo Batalha che ci ha riempito gli occhi con la
sua bellezza gotica, si va a Fatima (cosa che non mi entusiasma). Mi attendo un
supermarket religioso, forse sbaglio, chissà.
Siamo
arrivati. Vedo una costruzione bianchissima. Prima però mi fermo con Valeria a
fare uno spuntino (si fa per dire, qui i toast si fanno con il pane casareccio
dalla lunghissima fetta e riempito di prosciutto cotto e formaggio) in un bar
carino che si chiama Pecado original.
Di
Fatima non parlerò. Ho messo due solo foto e aggiungo un’avvertenza per coloro che comprano
l’acqua “benedetta” nei negozietti d’attorno. L’acqua per essere tale deve
essere benedetta da un sacerdote (a Fatima o in Italia, in qualunque chiesa
vogliate), altrimenti è solo acqua.
Il sentiero dei tre pastorelli
Tutte le
informazioni si trovano qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Madonna_di_F%C3%A1tima
Si torna a
Lisbona. Domani è l’ultimo giorno. Ma c’è ancora da sfruttare la serata.
Una coppia del gruppo non ha visto ancora la Praça do Comércio.
Li conduco io, insieme con gli altri. Attraversiamo la Rua Augusta, ove alberga
grande confusione: musicanti, negozi e ristorantini affollano la via. Arriviamo
sotto all’Arco e lo superiamo. La piazza è enorme. A parte piazza S. Pietro,
pensavo che la piazza dell’Unità a Trieste fosse la più grande, inoltre la
piazza giuliana è aperta sul mare ristretto dal golfo, così come quella lisbonese
(ma quanto più bello è dire: lisboana) è aperta sul Tago in odor di oceano.
Invece, mi debbo ricredere: la piazza italiana è un rettangolo di quasi 13 000
mq, mentre quella portoghese è un quadrato di 35 000 mq!
E poi hai l’acqua, la magnifica acqua, davanti a te.
Io c’ero
andata anche di sera, questo il risultato notturno:
Si rientra in albergo usando la metro, proprio il giorno in cui c’è la partita Portogallo-Irlanda: lattine di birra a go-go e canti festanti dei tifosi gaelici (che però perderanno).
A proposito: il biglietto
della metropolitana costa 1,80€ se lo fai alle macchinette; se paghi passando
la tua carta di debito, costa 1€.
·
non
ho potuto vedere la Torre di Belém nel suo splendore
·
il
Museu Nacional de Arte Antiga è chiuso dal 25 settembre 2025 per
ristrutturazione (e lì ci sono gli spagnoli e i lusitani, e poi Bosch, Cranach,
Dürer, Tiepolo, Piero della Francesca, l’arte nanban)
·
non
ho fatto in tempo a entrare nell’orto botanico
·
né
a percorrere i giardini e parchi della città
· non ho reso omaggio alle ceneri di Fernando Pessoa (pertanto non ho visitato il
Monastero dei geronimiti)
·
non
sono salita in nessun tram, tantomeno nel celeberrimo 28
·
mi
manca il Castello di São Jorge (San Giorgio)
·
il
quartiere dell’Alfama andava vissuto un po’ più de panza e de core
·
l’oceánario
(o acquario che dir si voglia) non mi va di perdermelo
·
Almada.
Debbo tornare, per forza.
Ma non finisce qui. Manca ancora la mattina del 12 ottobre.
Colombo approdava in quelle che per lui erano le Indie, io partirò dall’hôtel
alle 12:30, ma prima ho da portare a termine una missione.
- GIORNO 7: LISBONA, RIENTRO.
Alessandro Iovinelli e Antonio Tabucchi a Aix-en-Provence, 2007 © Jacqueline Spaccini
Alessandro Iovinelli è uno dei
critici più attenti dell’opera di Antonio Tabucchi. Io ho scritto qualcosa su
di lui al tempo del mio dottorato. Se mi è stato impossibile rendere omaggio a
Fernando Pessoa, non ho potuto – né voluto – esimermi da una richiesta di mio
marito: recarmi sulla tomba di Antonio Tabucchi che riposa in uno dei due cimiteri
monumentali di Lisbona e salutare nella sua casa la vedova - che brutta parola
-, meglio sua moglie, la sua compagna di tutta una vita, Maria José de
Lancastre, docente universitaria, critica letteraria, traduttrice e oggi
curatrice dell’archivio Antonio Tabucchi.
Ma prima il cimitero. È una cosa che faccio spesso (sempre, diciamo):
non lascio una città o un Paese straniero se prima non ho visitato il
camposanto. Da quello, capisco tante cose dei suoi abitanti. Dos Prazeres
è il cimitero dei Piaceri (volendo tradurne il nome).
Capolinea del famoso tram 28 (ma io ho preso il taxi). Apre alle 9:00 e chiude alle 17:00. È davvero un bel cimitero: ordinato, pulito. Ci sono tanti alberi che proteggono da ciò che avviene in alto. Portano frescura, ma è un peccato: il cielo è così terso e azzurro è incessantemente solcato dagli aerei di linea, giacché il cimitero si trova lungo la loro rotta (come il Palazzo Reale a Napoli).
Le tombe son tutte bianche, molte sono monumenti a scrittori, pittori, attori o archeologi.
Non ho visto fiori né altre cose che solitamente si depositano sulle tombe dei defunti (anche se un visitatore aveva con sé una «saccocciata» di lumini); a Parigi sassolini (tradizione ebraica) e biglietti della metropolitana (Jim Morrison, Oscar Wilde, Serge Gainsbourg), penne o matite (Marguerite Duras) o ancora i baci stampati con rossetto (Sartre). Per Chirac le mele (ma questo in senso ironico). Qui no.
Qui molte sono le statue che rappresentano in tutto o in parte le sembianze dell’estinto. Questo, qui accanto per esempio, potremmo definirlo il Vasari portoghese del XX secolo. Si chiamava Sousa Viterbo.
Ma ci sono anche luoghi semplici come i cippi dei bombeiros,
i pompieri, radunati in un giardino in due file separate, a sinistra e a destra.
In lontananza, ma non troppo, ecco la vista del magnifico Ponte
25 aprile dal cimitero. Vi ho accennato il primo giorno, quando siamo
andati a vedere la Torre di Belém, ma stava alla nostra sinistra, ben lontano… Unisce
la terraferma al promontorio dell’Almada, luogo scelto – in tempi lontani - dai
fenici e poi dagli arabi, sull’estuario del Tago.
Anche i portoghesi festeggiano – come noi in Italia – il 25
aprile, perché è la data ufficiale della Rivoluzione dei Garofani, avvenuta nel
1974. Costruito a imitazione del celeberrimo Golden Gate, il ponte di San
Francisco, è stato inaugurato nel 1966, è lungo oltre 2 km e ha una doppia
percorrenza: la parte superiore per le auto, quella inferiore per i treni. Ah,
dimenticavo: prima si chiamava Ponte Salazar, in onore del dittatore, «il professore».
Ho subito individuato il luogo in cui riposa Antonio
Tabucchi, autore italiano ma anche portoghese. E infatti si trova in una specie
di parallelepipedo di pietra calcarea (presumo). All’esterno, i nominativi dei
«residenti».
Passeggio e poi sosto su una panchina del cimitero. Accolgo il sole delle 9:30 e un venticello leggero che mette aria ai miei capelli biondi. Maria José Lancastre mi fa l’onore di farmi aprire la cappella (il parallelepipedo). Non metto nessuna foto; è cosa troppo intima: una sottile linea verticale mi impedisce di oltrepassare il confine del lecito.
Mi sono commossa. Ho condiviso con Alessandro il momento con una telefonata. Ecco adesso posso partire.
Vado nella bella via tutta in salita (o tutta in discesa) in cui si trova la casa di Antonio e di Maria José. Non ho molto tempo: alle 12:00 al massimo debbo prendere la navetta per l’aeroporto. Neppure Maria José ne ha: oggi è giorno di elezioni. Scendo dal taxi e mi trovo su una via stretta che è tutta in salita (oppure tutta in discesa). Il nome della via non la dico, anche se lei dice che la si conosce. Però mi ha autorizzata a mettere qualche foto della loro casa e una foto nostra, mentre prendiamo un caffè:
È la casa che ognuno di noi vorrebbe abitare. Sembra piccola ed è grande. Piena di librerie e tavoli e libri sparsi (perché chi legge e chi studia e chi scrive su e con ciò che legge e che studia deve averli così, i libri: sparpagliati).
E ha una cucina che mi ha ricordato quella
che avevamo in Francia, Alessandro e io, e poi la meraviglia del giardino interno (riproduco
solo parzialmente):
Ho per davvero finito. Non mi resta che prendere un taxi di
ritorno e prepararmi al rientro.
Chi non ha visto il film – lo può vedere per intero qui https://ok.ru/video/2409598028312 - , chi non ha letto il romanzo lo legga (o lo ascolti qui: Sostiene Pereira - Antonio Tabucchi - Audiolibro - Ad Alta Voce Rai Radio 3)... non apra questo video (durata 6:18). Per tutti gli altri...
Per tutti gli altri, godiamoci questa scena finale di Marcello
Mastroianni, nella sua ultima interpretazione (morirà l'anno seguente). Il romanzo è più stringato, è
come uno schiaffo, nel suo finale.
Non viene voglia di fare la rivoluzione?
FINE
[1]
Gisant [giacente] è il termine francese e internazionale per designare
quelle sculture orizzontali che rappresentano quei personaggi (per lo più reali
o religiosi) conservati nel sepolcro sottostante, esposto alla vista, non
interrato.
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JACQUELINE SPACCINI































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