Monete monetine e ocacoin (LINGUA ITALIANA) ~ di Silverio Novelli - TeclaXXI


LINGUA ITALIANA

 

Monete, monetine e ocacoin

di Silverio Novelli

 


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La parola moneta viene dal latino monēta(m), nome che in origine dato dai Romani alla zecca, l’officina in cui si battevano le monete. Da lì la parola passò a indicare il ‘denaro’. La zecca di Roma era chiamata monēta(m) perché si trovava nel tempio dedicato a Giunone Moneta sul Campidoglio. Moneta era un attributo di Giunone, che secondo gli antichi significava ‘colei che avverte’ (come derivato di monēre ‘avvertire’), in quanto la dea dava buoni avvertimenti ai Romani in situazioni di pericolo. Piace sempre ricordare la storia memorabile (e fantasiosa), tramandata fino ai libri di storia scolastici di oggi, legata al monēre di Giunone Moneta. Quando nel 390 a. C. i Galli Senoni guidati da Brenno, provenienti da Senigallia (Marche), arrivarono su uno dei colli capitolini (quello dove oggi si erge l’Ara Coeli), sarebbero state le oche sacre alla dea, razzolanti nei pressi del tempio, a mettersi a starnazzare, dando l’allarme. Così l’ex console Marco Manlio riuscì a difendere il Campidoglio e poté vantare nel suo nome l’appellativo Capitolino.

 

A lezione da giullari e poeti

Fin dalle origini della nostra lingua e letteratura, nel Duecento, la parola moneta mette insieme le due accezioni concrete di ‘dischetto di metallo coniato per le necessità degli scambi, caratterizzato da lega, titolo, peso e valore stabiliti’ e quella, immediatamente successiva, di ‘somma di denaro’. Insomma, la moneta e le monete esercitano la funzione di mezzo di pagamento. Nella prima accezione, per la prima volta si ha traccia di moneta in una poesia del giullare senese Ruggieri Apugliese: «So far reti e gabbie e giacchi [maglie d’acciaio che si portavano sotto l’armatura, ndr], […] / cacciar so e prender volpacchi / e far monete». Nella seconda accezione, ecco i versi di Cecco Angiolieri (1260 circa-1313): «In questo mondo, chi non ha moneta / per forza è necessario che si ficchi / uno spiedo [arma da punta, costituita da un’asta di ferro lunga e appuntita, ndr], per lo corpo o che s’impicchi»; una moneta d’oro, d’argento, di rame; un bel gruzzolo di monete; collezione di monete.

 

Monete e monetine

Nel corso del Quattrocento, nella lingua corrente, si afferma anche l’accezione, oggi ben nota, di ‘moneta spicciola o spiccioli’, come in questo passo tratto dal romanzo Manicomio primavera (1989) di Clara Sereni: «Il bambino cerca nelle tasche gli spicci che sua madre gli ha dato prima di uscire, l'abitudine di ogni giorno per abituarlo a crescere. Oggi non trova le monete, non insiste a cercarle e invece corre dietro la bancarella». Per Sereni le monete erano ancora gli spiccioli delle lire. Certamente, prima che l’euro prendesse il posto della lira, una frase come la seguente era più che plausibile: mi dispiace, ma non ho monete per cambiarle mille lire. Oggi sarebbe forse meno comune la richiesta di spicciare cinque euro in monete, perché anche i distributori di sigarette, bevande o preservativi, nonché le stazioni di pagamento dei pedaggi autostradali accettano i vari tagli delle banconote e danno il resto, piogge di monete e di monetine. Un uso diffusissimo delle monete al diminutivo lo ricorda il cantautore Daniele Silvestri nel suo Monetine (2008): «Io smisto monetine da gettare in fondo a un pozzo / O da grattare sulla patina dorata di un concorso a premi multimiliardari». Se gettare monetine in fondo al pozzo capita di rado (magari più spesso nella gran vasca di una famosa fontana romana, se ci si arriva nella Capitale da turisti), scarificare la superficie di un gratta e vinci col bordo zigrinato di un decino, ventino o cinquantino di cent sarà senz’altro capitato a tutti – e a moltissimi succede più volte al giorno.

Più in generale, già dal Trecento, la parola moneta indica ‘l’insieme di tutto ciò che, in un Paese e in un periodo, è accettato come mezzo di pagamento, e usato quindi come oggetto di scambio e misura del valore dei beni’: la circolazione della moneta; cambio della moneta; moneta buona, falsa; moneta legale, corrente, fuori corso; moneta metallica e moneta cartacea; moneta divisionale o divisionaria (nella lingua corrente, moneta spicciola).

 

Il suono delle monete (che svanisce nel web)

Nell’Ottocento si comincia a parlare di moneta sonante, che, in senso proprio, è la moneta metallica (in quanto le monete metalliche tintinnano, cioè suonano), ma comunemente significa moneta contante (o soltanto il contante, sostantivato), vale a dire denaro effettivo, come nelle frasi pagare, riscuotere in moneta sonante. A metà del secolo, l’insieme delle monete coniate e delle banconote emesse viene definito moneta circolante.

Verso la fine del Novecento si è diffusa anche la possibilità di fare acquisti pagando tramite mezzi informatici: si è parlato dunque di moneta elettronica, mentre, nel caso di carte di credito o tessere magnetiche, sostitutive di moneta contante, si è detto e scritto di moneta di plastica (inglese plastic money).

Con il secolo e il millennio nuovi, ci siamo abituati, a partire dal 2008, ad avere a che fare con monete virtuali, o, più correttamente, valute virtuali o criptovalute, create da soggetti privati che operano sul web, ma non emesse o garantite da una banca centrale o da un’autorità pubblica e generalmente non regolamentate, da non confondere quindi con i tradizionali strumenti di pagamento elettronici. Sono bitcoin, litecoin, ripple e molte altre, tra le quali spiccano quelle di generazione mono- ed egocratica, inventate e gettate sul mercato delle transazioni da personaggi di potere e strapotere: strump, associata al presidente degli Stati Uniti Trump; dogecoin di Elon Musk – che reca, nelle effigi pubblicitarie virtuali, il muso di un cane Shiba, catturato da un meme, tanto che a proposito di dogecoin si è parlato per la prima volta di memecoin –; la truffaldina Libra di Javier Milei, il presidente argentino motosegaiolo. Oggi Marco Manlio Capitolino, patrizio romano, potrebbe intestarsi una ocacoin.

 

Alcuni modi di dire particolari

Interessanti gli usi figurati di moneta, in locuzioni come pagare qualcuno con la (o della) sua stessa moneta ‘rendergli ciò che si merita’ (dal Settecento); prendere per buona moneta ‘accettare come vero, crederci’ (1869), anche se in una lettera di Ugo Foscolo (1778-1827) si trova un’espressione simile: «E se tu avessi preso per giusta moneta tutto quello che ho scritto, tu hai fatto male»; tirare la moneta (o monetina), per affidarsi alla sorte in una scelta: «L'unica soluzione sarebbe tirare la monetina: testa, prendiamo il fiume, croce torniamo indietro fino al primo incrocio tra la pista principale e quella da cui veniamo» (Simone Monticelli, Marocco fuori rotta, 2008).

 

Una curiosità

Nell’ippica, attualmente, la moneta è la ‘somma di denaro messa in palio per una corsa’: corsa per cavalli di tre anni con moneta per duemila euro.

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SILVERIO NOVELLI










BIONOTA

Silverio Novelli si occupa da molti anni di lingua italiana. Tra le altre cose, ha scritto una grammatica scolastica (a sei mani), un paio di dizionari di neologismi (a quattro mani) e altri testi di divulgazione linguistica (a due sole mani, finalmente, le sue).

 


  

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