A CHI PIACE LA FRONTIERA? DI SILVERIO NOVELLI (lingua italiana)
LINGUA ITALIANA
Brevi cenni sull'origine, la storia e l'uso di alcune parole o locuzioni, soprattutto in italiano, ma non solo. Una carta d'identità delle parole che usiamo parlando e scrivendo, da secoli o da pochi anni, dalle pergamene al web, con esempi tratti da romanzi, poesie, teatro, cinema, lettere, pubblicità, quotidiani o altro.
Silverio Novelli
A chi piace la frontiera?
Chi ama l’epopea del selvaggio West, la leggenda dei cowboy
trasformati, grazie all’occhio mitopoietico della cinepresa hollywoodiana, da
vaccari in eroici pionieri, archetipi del futuro d’America (quella bianca e
wasp), ha senz’altro familiarità con la parola frontiera, nell’inglese
americano frontier. Nel corso
del Seicento, per i coloni americani di lingua inglese, frontier non indicò più il confine in quanto linea di demarcazione,
ma la zona scarsamente e recentemente colonizzata a diretto contatto con le
terre non ancora colonizzate. La frontiera,
in tal senso, costituì il punto di partenza per l’espansione verso l’Ovest (West): non un border (‘confine
che demarca’), bensì un orizzonte che si amplia. Da qui viene l’espressione
spirito di frontiera,
utilizzata poi con un significato anche più ampio, per simboleggiare,
nell’età moderna, l’espansività della storia europea e mondiale. Tornando agli
Stati Uniti, l’originaria frontiera americana
si è reincarnata, decenni e decenni più tardi, nella locuzione Nuova
frontiera, un calco di New Frontier, espressione usata da John Fitzgerald
Kennedy (1917-1963) nell’atto di accettare la candidatura presidenziale del
Partito democratico. Kennedy pronunciò il discorso a Los Angeles, il 15 luglio
1960, e, immaginando di essere eletto, indicò una «nuova frontiera, la frontiera
degli anni Sessanta, delle occasioni e dei pericoli sconosciuti, delle speranze
irrealizzate e delle minacce non messe in atto», spronando i connazionali ad
essere all’altezza delle prove future, proprio come avevano fatto i pionieri,
quando, un secolo prima, si erano mossi verso la mobile frontiera del West.
Dalla Luna al Messico
Sempre negli anni Sessanta del Novecento, negli Stati Uniti
anche lo spazio interplanetario fu visto come un’estensione analogica della
nuova frontiera politica, civile e spirituale. Il primo Americano sulla
Luna è tout court il primo uomo sulla Luna: il 20 luglio 1969, Neil
Armstrong può permettersi, come si direbbe oggi, la massima inclusività: «That's one small step for man. One giant leap for mankind» [‘È un piccolo passo per
l'uomo. Un passo da gigante per l'umanità’].
Per ricordarci quanto ottimismo ci separi da quelle frontiere,
pensiamo alle amministrazioni statunitensi dei nostri tempi, che, spigolando
tra gli archivi
della Casa Bianca, relativi al presidente George W. Bush, una ventina
d’anni fa si esprimevano in questo modo circa i border tra USA e Messico:
«The massive flow of people and goods across our
borders helps drive our economy, but can also serve as a conduit for
terrorists, weapons of mass destruction, illegal migrants, contraband, and
other unlawful commodities»
[‘Il massiccio flusso di persone e merci che attraversa i nostri confini aiuta
a sostenere la nostra economia, ma può anche servire da tramite per terroristi,
armi di distruzione di massa, immigrati clandestini, contrabbando e altre merci
illegali’]. Bentornati confini, che diventeranno muri, principalmente per gli «immigrati
clandestini».
«The border between Mexico and the United States is
not just a line on a map. Nor is it merely a neutral demarcation of territory
between two friendly neighboring states. Rather, in the America imagination, it
has become a symbolic boundary between the United States and a threatening
world. It is not just a boarder but the boarder, and its enforcement has become
a central means by which politicians signal their concern for citizens' safety
and security in a hostile world» [‘Il confine tra Messico e Stati Uniti non è
solo una linea su una carta geografica. Non è nemmeno una delimitazione neutrale del
territorio tra due Stati vicini e amici. Piuttosto, nell'immaginario americano,
è diventato un confine simbolico tra gli Stati Uniti e un mondo minaccioso. Non
è solo un confine, ma il confine, e la sua applicazione è diventata un mezzo
centrale con cui i politici segnalano la loro preoccupazione per la sicurezza
dei cittadini in un mondo ostile’]. Così Douglas S. Massey (Princeton
University) [The
Mexico-U.S. Boarder in the American Imagination, in
"Proceeding of the American Philosophical Society, vol. 160, n° 2, pp.
160-177, University of Pennsylvania Press, 2016, p. 160]. Dalla Conquista dello spazio alla difesa della
nazione-fortezza.
Torniamo in Italia, cercando conforto nella serena trafila
etimologica che porta indietro nel tempo la parola frontiera
fino alla sua origine francese (frontière), che nel Duecento fu ricavata in
quella lingua dal nome latino frons, frontis (‘fronte’).
Frontiera e confine
Come vedremo, in realtà, in casa nostra tra frontiera
e confine ci sono zone semantiche di sovrapposizione e non una contrapposizione
su tutto (appunto) il fronte (la frontiera per dir così “demilitarizzata”,
il confine potenzialmente bellicoso). Frontiera sin dal Duecento identifica una zona
di contatto tra due territori o aree sottoposti a influenze differenti e perciò
difesa militarmente, come in un passo della Cronica
(‘cronaca’) in cui il cronista fiorentino Giovanni Villani (1276-1348) descrive
il «duca di Calavra» che arriva «a la frontiera a l’Aquila con MD [1500, ndr]
cavalieri» e si stupisce di trovare la zona senza «ritegno né difensione»
(‘ostacolo né opera di protezione’). In séguito, con il consolidarsi delle
entità giuridiche istituzionali in relazione con il territorio, il concetto di frontiera si modifica, fino a designare
la ‘linea di confine che delimita un territorio statale’, pur mantenendo sempre
un implicito significato di ‘zona da vigilare e proteggere anche militarmente’,
che viene richiamato da espressioni come incidente
di frontiera ‘scontro bellico tra Stati confinanti’, fare la guardia alla frontiera, difendere
le frontiere della nazione ed è esplicito in questo brano tratto dal
romanzo Il viaggiatore notturno
(2005) di Maurizio Maggiani: «Gli zingari devono sapere degli uomini cose che a noi
sfuggono, come i bracconieri sanno più cose sugli animali degli etologi. Perché
altrimenti, alla frontiera di una guerra, un'orchestra che suona 'O sole
mio’ sarebbe totalmente nuda e scalza di ragione».
L’esternalizzazione
In particolare, frontiera
significa anche posto di frontiera ‘luogo
in cui, presso il varco di un confine nazionale, la polizia effettua controlli
su chi intende transitare’: «Quanto caldo abbiamo sofferto alla frontiera,
una visita interminabile, una fila di macchine d'ogni nazione lunga lunga su
per i tourniquets piene di gente sudata e rabbiosa che si toglieva camicie e
magliette e restava a torso nudo, certi vecchiacci adiposi!» (Alberto Arbasino,
L’anonimo lombardo, 1959).
In
senso figurato, si sono sviluppate due differenti accezioni. La prima, ‘linea
di separazione’, dipende dal significato di base di ‘confine’, come in questo
brano tratto dal romanzo La pelle
(1949) di Curzio Malaparte (1898-1957), ambientato nell’Italia disperata della
Seconda guerra mondiale: «I
lamenti dei feriti venivano fino a noi da una zona posta di là dall'amore, di
là dalla pietà, di là dalla frontiera fra il caos e la natura già composta nell'ordine divino della
creazione: erano l'espressione di un sentimento non ancora conosciuto dagli
uomini [...]».
La seconda, specialmente al plurale, per influsso del
francese frontière, indica i ‘limiti
estremi raggiunti’: le nuove frontiere
dell’astrofisica; scienza di frontiera, in quanto è depositaria
delle concezioni scientifiche più avanzate ed evolutive. Anche se quest’ultimo
uso ci fa tornare a guardare lontano, col sorriso a 32 denti di JFK, l’Europa
di oggi (e con lei l’Italia) ci riporta indietro, al nostro mare-mare nostrum,
nel quale vige l’esternalizzazione
delle frontiere: frontiere come i border americani con il
Messico, che erigono un muro spinato contro i migranti; da noi il muro è fatto
di acqua, morti e cinismo politico.
BIONOTA
Silverio Novelli si occupa da molti anni di lingua italiana. Tra le altre cose, ha scritto una grammatica scolastica (a sei mani), un paio di dizionari di neologismi (a quattro mani) e altri testi di divulgazione linguistica (a due sole mani, finalmente, le sue).
Articolo interessante che riesce a stimolare la curiosità del lettore rivelando aspetti inediti della storia della nostra lingua! Complimenti !
RispondiEliminaNello stesso giorno sono usciti gli articoli di Silverio Novelli ed Edoardo Ventimiglia. Insomma i ragazzi, che assltarono il cielo da via Chinotto, sono tornati!
RispondiEliminaNel frattempo, caro Sandro, via il chinotto e orizzonte di solo vino e grappa e rakja...
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