RACCONTI DI GUERRA: PLURILINGUISMO E TRADUZIONE di Viviana Agostini Ouafi (storia)
STORIA
USCITA STRAORDINARIA PER IL 25 APRILE
Viviana Agostini Ouafi
Racconti di guerra : plurilinguismo e traduzione
Racconti autobiografici della Seconda Guerra mondiale, francesi
e italiani, scritti e orali, narrati da donne e uomini di ogni età e condizione
sociale, hanno costituito il corpus di un progetto interdisciplinare all’università
di Caen Normandie condotto da docenti e studenti di linguistica, informatica,
storia, lingue, letterature e civiltà straniere e da collaboratori di vari
paesi europei. La realizzazione del progetto, in versione digitale e cartacea, ha
conosciuto diverse tappe : creazione sotto la nostra direzione nel 2012 d’un
sito web in cinque lingue (francese, italiano, russo, tedesco, inglese) che ne ha
poi integrate altre otto, e creazione a Parigi presso le edizioni Indigo (Harmattan) di una collana,
«Archives plurilingues et témoignages»,
il cui primo volume raccoglie studi e racconti francesi e italiani, in lingua
originale o in traduzione, e il secondo studi sul Fronte dell’Est e sui bombardamenti
in Europa, con traduzioni di racconti sovietici e italiani, tra essi abbiamo
incluso, per la prima volta in francese, un articolo d’Alessandro Portelli e il
racconto Il 25 luglio di Luce d’Eramo, giacché entrambi parlano dei
bombardamenti del 1943 a Roma.
www.memoires-de-guerre.fr
In questo lavoro d’équipe, l’interesse dei ricercatori si
è concentrato sugli aspetti storici, linguistici e culturali delle testimonianze
per proporre, oltre al testo critico annotato, una traduzione multilingue collaborativa.
L’identità europea del XXI secolo può nascere soltanto da una memoria condivisa
plurilingue legata all’evento fondatore: l’esperienza tragica collettiva della
Seconda Guerra mondiale. Perciò questi racconti devono essere accessibili a
tutti, indipendentemente dalla lingua del narratore o del lettore. Lo scopo
perseguito è anche etico: la condivisione del patrimonio memorialistico europeo
è secondo noi uno dei baluardi contro populismo, xenofobia e nazionalismo, un mezzo
per incentivare la conoscenza di lingue e culture diverse e per suscitare uno slancio
di empatia verso gli altri esseri umani, a prescindere da questioni di etnia, genere
e religione. La diffusione transnazionale di questi racconti implica di
spiegare usi, tradizioni e aspetti culturali lasciati sovente nel non-detto dal
narratore che si rivolge quasi sempre alla famiglia, agli amici, talvolta ai
compatrioti, ma di rado agli stranieri: un lavoro di mediazione interculturale che,
tramite anche le note critiche e traduttive, aiuta ogni lettore a capire
l’umanità propria e altrui.
Nei racconti scritti e orali normanni e toscani molti
tratti dialettali o plurilingui marcano il discorso. Talvolta, nei narratori
più dotati, dai diversi profili socioculturali, degli spezzoni di mimesis del
parlato sono messi apposta in scena per caratterizzare le situazioni vissute e l’idioletto
dei personaggi. Il nostro sguardo diacronico e sincronico su queste varietà
linguistiche è quello di un archeologo felice di scoprire, in una parola ancora
viva, tracce fossili ormai scomparse dal parlato giovanile. Siccome la memoria
è episodica, cioè narrativa, il discorso autobiografico si inscrive nel tempo e
nello spazio ed è costantemente ricostruito. Il «penso dunque sono» di Cartesio
è qui un «narro dunque sono». Anzi si potrebbe dire, parafrasando
l’autobiografia di Neruda Confesso che ho
vissuto, che il testimone che narra confessa di essere sopravvissuto. Malgrado
i traumi subiti, le memorie sono prima di tutto testimonianza di resilienza,
trasformazione del dolore provato in creatività.
Il racconto autobiografico in effetti è una delle situazioni
in cui chi narra racconta il proprio vissuto usando quasi sempre la lingua
materna: le emozioni, le gioie, le sofferenze, anche i traumi, si esprimono più
facilmente nella lingua dell’affettività, talvolta in quella dell’esilio o della
migrazione, di rado nelle lingue straniere apprese a scuola. Certi racconti scritti
hanno una vivacità narrativa autentica giacché vi è trasposta l’oralità del
parlato quotidiano e molto spesso, per fortuna, l’esperienza di vita viene
verbalizzata stravolgendo le strategie narrative consunte e usuali. Gli intervistati,
se all’inizio della performance sorvegliano la correttezza di sintassi e lessico,
via via che narrano gli eventi dimenticano la postura distaccata iniziale. La
forza espressiva di questi racconti spesso non ha niente da invidiare all’alta letteratura.
I meno appassionanti sono per l’appunto quelli che si conformano a un’idea sostenuta
della lingua anestetizzando così il loro spirito creativo.
Il narratore di racconti di guerra non ha scelto il ruolo di testimone, è il destino che gliel’ha imposto. Il caso più notevole è forse quello di Primo Levi, ma molti racconti ci hanno sorpreso per la qualità dell’intrigo e dell’espressione: la guerra abolisce la routine, provoca situazioni impensabili e anche nell’orrore purtroppo la realtà diventa più inverosimile della finzione. Questi narratori non sono alla ricerca ansiosa d’ispirazione poetica giacché hanno molte cose da dire: il loro impulso a esprimere il vissuto (se il trauma non provoca inibizione) risponde a un bisogno psichico profondo di ricostruzione terapeutica di sé. La parola si fa strada a volte con difficoltà, ma il messaggio può proprio per questo essere ancora più toccante.
Certo, in uno scrittore colto e poliglotta come Primo
Levi, la dimensione plurilingue è valorizzata e commentata, ma in altri narratori
più ordinari tale dimensione non è occultata, né esente da riflessioni: al
limite, si avrà la trascrizione approssimativa fonologica di parole dette o
udite. La montanara toscana poco scolarizzata Tosca Ciampelli, che lo
sfollamento forzato obbliga ad attraversare a piedi l’isoglossa detta La
Spezia-Rimini che segna la frontiera tra lingue romanze d’occidente e d’oriente,
ci dice nel suo diario come i partigiani del versante romagnolo dell’Appennino nel
loro dialetto gallo-italico avvertono gli abitanti di fuggire all’arrivo dei tedeschi,
cioè all’arrivo della mortifera volpe predatrice: «via via niè la voipa.»
Questa dimensione plurilingue è dovuta a spostamenti di
popolazioni, eserciti, prigionieri: molti dialoghi tra locutori che parlano lingue
diverse sono riprodotti e talvolta spiegati o tradotti dal narratore stesso. L’occupazione
tedesca dell’Europa, le deportazioni, l’invio massiccio di lavoratori forzati nei
territori del Terzo Reich, senza contare il passaggio degli eserciti di liberazione,
alleati o sovietici, sono fenomeni di una tale ampiezza che hanno provocato alta
mescolanza demografica. Anche i contadini e i montanari si sono confrontati con
l’allofono straniero, a casa loro o all’estero. Il plurilinguismo dialogico assolve
un ruolo importante in questi racconti: la sopravvivenza del narratore è legata
spesso alla sua capacità di comunicare con gli altri, siano amici o nemici.
Concludiamo sul plurilinguismo nei racconti di guerra con
la testimonianza esemplare e inedita d’un aretino, Antonio Bernardini. Ci ha
raccontato quest’aneddoto fine agosto 1986, durante un supposto colloquio di
lavoro, nel Liceo Linguistico privato
di cui era preside: giovane studente di Lettere classiche, era stato mandato come
ufficiale sul fronte sovietico e si era ritrovato a vivere la disastrosa ritirata
di Russia del gennaio 1943. Disperato, tra spaventosi scontri a fuoco e un freddo
terribile, aveva creduto non uscirne mai vivo. Giunto in un paesino ucraino dove
la battaglia infuriava, era entrato in una casa per cercarvi un’improbabile salvezza.
Ed era subito rimasto sorpreso nel trovare in una stanza circolare tutte le pareti
coperte di libri: uno molto voluminoso aveva attirato in particolare la sua
attenzione perché era aperto, posato su una tavola bassa di fronte al focolare
acceso. Lui allora si è chinato, incuriosito, su quel vecchio librone: era l’Eneide di Virgilio... in latino! In quel
momento un uomo, probabilmente un prete ortodosso, un pope, perché indossava
una tunica e in testa portava uno strano alto cappello, era entrato nella
biblioteca. Allora il giovane ufficiale, che non parlava nessuna lingua slava e
non aveva alcuna speranza di trovare in quel paese un abitante che parlasse italiano,
lo salutò con sollievo dicendogli in latino: «Ave!» E l’altro gli rispose: «Ave!»
prendendo cura di lui, malgrado fosse un soldato nemico.
Quest’aneddoto toccante, narrato in quel liceo linguistico
43 anni dopo gli eventi storici appena descritti, non aveva niente a che vedere
con un colloquio di lavoro. Gli abbiamo allora domandato perché ce l’aveva
raccontato. Ha risposto che, avendo già deciso di assumerci, voleva farci capire
quanto l’insegnamento delle lingue straniere fosse per lui importante. E ha aggiunto,
guardandoci con i suoi occhi dolci, la sua dignità cortese e la sua grande saggezza:
«Le ho raccontato questa storia perché è una lingua morta... che mi ha salvato
la vita!»
Bibliographie :
- AGOSTINI-OUAFI, Viviana, LEROY DU
CARDONNOY, Éric et BERENGER, Caroline ed. Récits
de guerre France-Italie : débarquement en Normandie et Ligne gothique en
Toscane. Paris: Indigo & Côté-femmes éditions, 2015.
- BERENGER, Caroline et AGOSTINI-OUAFI, Viviana ed. Sous la
glace et les débris du temps. Front de l’Est et bombardements en Europe. Paris : Indigo & Côté-femmes
éditions, 2017.
- DE PAULIS, Maria Pia, AGOSTINI-OUAFI, Viviana, AMRANI, Sarah et LE GOUEZ,
Brigitte ed. Dire i traumi dell’Italia del Novecento. Dall’esperienza alla
creazione letteraria e artistica. Firenze : Franco Cesati Editore,
2020.
VIVIANA AGOSTINI-OUAFI
Viviana Agostini-Ouafi è professore associato di lingua, civiltà e letteratura italiana all’università di Caen Normandia. Si occupa di storia, teorie e pratiche della traduzione: Dante in Francia, Proust in Italia, archivi di traduttori. Co-dirige un sito web plurilingue di memorie di guerra e la rivista Transalpina
Oggi 25 aprile 2024, questa testimonianza è ancora più commovente
RispondiEliminaSia sempre "ave" al 25 aprile. Abbiamone cura!
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