Palazzo Farnese - Roma di Jacqueline Spaccini (storia dell'arte)
Breve storia di Palazzo Farnese a Roma
di Jacqueline Spaccini
§
Il Palazzo Farnese così come lo ammiriamo da cinque secoli è ubicato sull’omonima piazza, nel quartiere di Campo Marzio, nel VII rione, denominato Regola, anche se i cittadini romani lo identificano più popolarmente come un sito posto tra la piazza di Campo de’ Fiori e il Lungotevere dei Tebaldi. È di proprietà dello Stato italiano, concesso dal 1936 all’Ambasciata di Francia per un periodo di 99 anni[1].
Chi abita nella regione Lazio corre immediatamente con il pensiero all’altro palazzo Farnese, quello di Caprarola in provincia di Viterbo, nei pressi del lago di Vico. E, in effetti, stesso è il committente, anche se i tempi di costruzione non sono identici.
La costruzione romana è commissionata fin dal primo momento ad Antonio Cordini, meglio noto come Antonio da Sangallo il Giovane per volere di Alessandro Farnese (1468-1549), all’epoca non ancora assurto al soglio pontificio. Nel 1495 il giovane cardinale ha appena acquistato un appezzamento comprensivo di palazzo[2], con l’intento iniziale[3] di ristrutturarlo; a tale scopo, chiama Antonio da Sangallo il Giovane. Costui dapprima allievo, è ora aiuto di Bramante alla fabbrica di S. Pietro; qualcosa ha fatto, ma nel primo decennio del secolo non ha ancora avuto la possibilità di esprimere appieno il suo estro creativo come architetto[4].
L’occasione gliela dà il Farnese, il quale ha fretta di installarsi nella nuova residenza insieme con la sua famiglia[5], comprensiva degli eredi, Pierluigi e Ranuccio, che ha debitamente legittimato. In tal modo, il possedimento resterà ai familiari e non diverrà, alla sua dipartita, proprietà della Chiesa.
Il progetto era nato già negli ultimi anni del XV secolo, ma l’incarico vero e proprio, assegnato al suo architetto di fiducia, data a partire dal 1513 o 1514. Uno studioso dell’inizio del secolo scorso, Umberto Gnoli[6], afferma in un suo articolo che le colonne e i gradini che dovevano servire ad abbellire il palazzo proverranno per lo più dagli scavi attorno alla basilica di San Lorenzo fuori le Mura, per i cui scavi il Farnese aveva ottenuto l’autorizzazione da Leone X. L’architetto ha in testa ferma l’idea di trasporre nella forma quadrata la circolarità del teatro di Marcello con tutte le sue caratteristiche nella facciata in travertino[7].
Forse anche per questo i lavori procedono a rilento; si sa che comunque nel 1518, sono realizzati il bugnato e il colonnato (quest’ultimo di granito rosa, e proveniente dalle Terme di Caracalla) del vestibolo, un atrio con volta “all’antica” provvisto di nicchie e busti di imperatori romani.
D’altronde, nell’aprile del 1514, Donato Bramante è venuto a mancare e il carico della fabbrica di S. Pietro è passato sulle spalle del suo aiuto, Antonio da Sangallo il Giovane divenuto direttore dei lavori, affiancando Raffaello[8]. Senza contare che, poco distante, in via delle Coppelle, è altresì l’architetto di Palazzo Baldassini, iniziato nel 1516, e portato a termine nel 1519.
Bisogna tuttavia anche considerare che l’onere delle finanze (il cardinale non è ancora divenuto papa Paolo III) e il fatto che la famiglia e lo stesso cardinale risiedano nella parte non ristrutturata del vecchio edificio, contribuiscono a intralciare i lavori[9] almeno finché le esigenze del cardinal Farnese non si faranno più importanti. A quel punto, il progetto sarà modificato, forse già dal 1517[10]. Lo stesso Vasari vi fa allusione nelle sue Vite[11], laddove indica la creazione di due appartamenti. Siamo di sicuro prima dell’elezione al trono pontificio di Alessandro.
Nel 1519, si sa che Leone X visita il palazzo che gli appare nobile e sontuoso[12], come quasi ultimato; ma l’anno successivo da alcune fatture risulta ancora che l’imprenditore tedesco Furtenbach debba rifornire il cantiere di materiale in calce e in travertino[13].
Se l’autore del progetto è Antonio da Sangallo il Giovane (1514 – †1546), alla sua morte, i lavori per il completamento dell’edificio saranno assegnati a Michelangelo Buonarroti (1546 – †1564) per la parte del cornicione aggettante (1547), e non solo.
Per quanto riguarda, invece, la parte posteriore di Palazzo Farnese, essa è da intendersi opera di Jacopo Barozzi detto il Vignola (1565 – 1575). Dopo la sua morte, gli interventi sul palazzo saranno da ascrivere a Giacomo della Porta (1575 – 1589), allievo prima di Michelangelo e poi del Vignola.
Per il suo progetto di facciata di residenza signorile privata, Antonio da Sangallo il Giovane sceglie una lunga teoria di finestre, con bugnato agli angoli e all’ingresso, nonché tanti marcapiano quanti sono i piani dell’edificio. Complessivamente esso ha la forma di un quadrato per ogni facciata. L’edificio non è un sito difensivo, anche se l’architetto prevede una solida compattezza (e ha precedentemente lavorato a edifici militari). Tutte le facciate della stessa lunghezza ne determinano una forma cubica (viene in mente Michelozzo), donde il soprannome di dado, affibbiato al palazzo. All’interno, un’apertura quadrata e a giorno ad attorniare un cortile anch’esso quadrato (cfr. fig. sottostante). Per i grandi ordini, si seguono le indicazioni vitruviane, ossia dal basso verso l’alto: ordine dorico, ionico e infine corinzio, perlomeno ciò vale per il cortile loggiato.
Nel 1534, asceso al soglio pontificio, Paolo III esige di più per la sua residenza, tant’è che sua sponte – almeno a sentir il Vasari – Antonio da Sangallo «alterò tutto il primo disegno, parendogli avere a fare un palazzo non più da cardinale, ma da pontefice»[14]. E quindi il rimaneggiamento deve aver preso le mosse a partire da quel momento. Il Sangallo decide di conservare alcuni muri, le fondamenta e le sale del pianterreno. Probabilmente bisognerà attendere il 1541-42 – quando i membri della famiglia lasciano il palazzo e si installano in altri appartamenti poco distanti – perché il nuovo cantiere si faccia più imponente.
Allorquando Antonio da Sangallo muore, nel 1546, le parti che risultano completate sono la facciata centrale (nel 1541 era ancora senza il secondo piano, cfr. fig. sottostante) le due laterali, il cortile porticato e il vestibolo. Quest’ultimo, l’architetto lo ha usato come un atrio vitruviano[15], a tre navate su colonne (oltre alla disposizione del cortile loggiato, agli archi e agli ordini di semicolonne doriche ioniche e corinzie, segue tutte le indicazioni contenute nel libro IV del trattato vitruviano De Architectura del I sec. d.C.). Sangallo ha disegnato anche gli interni: i soffitti delle stanze e delle sale.
Facciata in costruzione di Palazzo Farnese 1541? Biblioteca Nazionale di Napoli, Manoscritti e rari, ms. XII D.1, f.8
Tornando alla facciata, le finestre del pianterreno sono dodici e munite di inferriate. Negli altri due piani, le finestre sono tredici su due ordini. Le finestre del primo piano sono architravate, hanno semicolonne con capitelli corinzi e timpani alternativamente triangolari e curvilinei; quelle del secondo piano sono ugualmente architravate, ma rettangolari, hanno le mensole simili a quelle del pianterreno.
vestibolo
Le semicolonne hanno capitelli ionici e i timpani sono tutti triangolari. I piani sono separati tra loro da una fascia marcapiano in travertino, decorato da cornici. Sotto alle finestre del pianterreno, ci sono dei banchi di marmo chiamati “sedili” e sotto ancora delle finestrelle. Il portale d’ingresso è bugnato a raggiera. Il restauro del 2000 ha riportato alla luce figure geometriche irregolarmente disposte nella facciata di mattoncini (cfr. fig. sottostante).
figure geometriche irregolari (restauro del 2000)
Giunti quasi alla fine per quanto riguarda la facciata, Paolo III bandisce – stando al Vasari – una gara per l’esecuzione del cornicione in alto a concludere il palazzo. Non vuole assegnarlo al suo architetto senza prima visionare i progetti di altri architetti del tempo: ora lui è il papa. Sangallo si risente fortemente (reazione comprensibilissima la sua, anche senza la dettagliata testimonianza del coevo storico aretino). Tra i disegni di Perino del Vaga, Sebastiano del Piombo, Giorgio Vasari e Michelangelo Buonarroti (che non si presenta e manda il suo disegno tramite il collega compaesano[16]), il pontefice sceglie, entusiasta, quello del Buonarroti[17].
Michelangelo “ritocca” il progetto sangallesco, realizza il cornicione in alto (criticato da Giovan Battista da Sangallo, fratello sopravvissuto ad Antonio, giudicandolo volgare e non conforme alle regole di Vitruvio[18]). Michelangelo inserisce metope e triglifi, realizza, decentrandolo e ricentrandolo al centro della facciata, il balcone del primo piano, cui aggiunge la balaustra. Balaustrate sono anche le logge del cortile interno che oggi ci appaiono murate, chiuse ai primi del XIX sec. dai Borbone.
Le semicolonne che affiancano il balcone (1548) hanno capitelli corinzi; le due colonne sono verdi, e provenienti dalle terme delle Acque Albule presso Tivoli; sull’architrave è posto lo stemma con chiavi e tiara di colui che per lo appunto è diventato papa. Gigli farnesi e teste di leone compaiono in gran numero nel fregio sotto al cornicione o nei marcapiano.
La facciata posteriore e le logge sono di Jacopo Barozzi detto il Vignola. Subentrando, Giacomo della Porta aggiungerà un loggiato. Il palazzo può dirsi definitivamente terminato nel 1589.
Come osserva lo storico Arnaldo Bruschi, anche altri «poli […], [sono] fondamento del potere religioso e politico papale; [essi] non sono costituiti da monumenti religiosi [come S. Pietro e il Vaticano], bensì da complessi civili: castel Sant’Angelo, espressione del potere militare […]; il palazzo Farnese, già cardinalizio ora papale, prestigiosa sede e simbolo del potere della famiglia»[19].
E questo è il significato dell’opera dal punto di vista del committente. Per l’architetto, sia esso Antonio da Sangallo il Giovane, Michelangelo Buonarroti, Jacopo Barozzi detto il Vignola o Giacomo Della Porta, quel che conta è sperimentare, innovare nel solco della tradizione antica, da poco rinvenuta, e lasciare l’impronta originale dell’artista rinascimentale nella creazione di un’opera che sia di riferimento per la posterità.
§
N.B. Si è scelto di trascurare la parte artistica interna, tutto quanto si riferisca a soffitti, pavimenti, statue, sale e saloni, arazzi e affreschi. Si ricorda solo la maestria dei fratelli Carracci, di Taddeo Zuccari e di Francesco Salviati che meritano uno studio a parte.
[1] In realtà, l’edificio è da molto più tempo in possesso della diplomazia d’Oltralpe. Nel 1635, sono proprio i Farnese a offrire la possibilità ai francesi di fare del palazzo la loro sede diplomatica. La famiglia si estingue verso la metà del XVIII secolo e va in eredità ai Borbone di Napoli. Dopo l’unità d’Italia, il governo concede il palazzo ancora una volta ai francesi che ne fanno di nuovo la sede dell'ambasciata di Francia nel 1874, in affitto. Nel 1936, con un atto di compravendita particolare la Francia diventa proprietaria dell’edificio per la durata di 99 anni. Pertanto, nel 2035, l’Italia dovrebbe rientrare in possesso di palazzo Farnese.
[2] Residenza signorile appartenuta, insieme con altre case, al cardinale Ferritz e acquistato post mortem per 5500 ducati dai frati agostiniani cui era andata in eredità. Le vestigie romane ritrovate a fine XIX secolo, hanno fatto ritenere agli archeologi che la zona fosse residenza di una fazione russata dell’antica Roma (cfr. Umberto GNOLI, «Le Palais Farnèse» in AA.VV., Mélanges de l’école française de Rome, 1937, n. 54, p. 200-210).
L’idea era quella di ricavare degli appartamenti dal palazzo che Antonio il Giovane doveva costruire: uno per sé e uno per i suoi due figli maschi, Pier Luigi e Ranuccio (il terzo figlio maschio, Paolo, era già morto; Costanza – la figlia diletta – non era stata legittimata da Giulio II).
[3] Le ipotesi sulla facciata del primo progetto sangallesco appartengono a un architetto francese del XVIII secolo. Secondo Paul-Marie LETAROUILLY, il primo progetto sangallesco della facciata prevedeva nove finestre invece delle tredici attuali e il cortile aveva tre arcate poste di lato (cit. da U. GNOLI, cfr. nota 2).
[4] In realtà, nel 1507 dà inizio all’esecuzione del suo progetto per la chiesa di S. Maria del Loreto accanto alla colonna Traiana.
[5] Costanza (1500-1545), Pier Luigi Farnese (1503-1547, pugnalato); Paolo (1504-1512); Ranuccio (1509-1529). Madre comune: Silvia Ruffini (1475-1561), moglie di un mercante romano (fino alla di lui morte avvenuta nel 1501), e con il quale aveva messo al mondo tre figli, uno dei quali divenne cardinale.
[6] U. GNOLI, cit.
[7] Altrove: «Sangallo tentò di monumentalizzare la facciata di Palazzo Farnese con l’ordine gigante del Palazzo dei Tribunali» (cfr, Arnaldo BRUSCHI (a cura di), Storia dell’architettura italiana. Il primo Cinquecento, Milano, Electa, 2002, p. 112)
[8] Nel 1536, Paolo III lo nomina architetto soprintendente di tutte le fabbriche pontificie.
[9] Nell’aprile del 1517, Alessandro Farnese va a risiedere a Trastevere, il trasloco temporaneo è ratificato da documento. I lavori lo hanno estromesso dal palazzo.
[10] Secondo la testimonianza resa in latino da tale Frate Mariano da Firenze nel suo Itinerarium, nel 1517 il palazzo è costruito fin dalle fondamenta: «… palatium visitur Alexandri Farnesi… quod palatium hoc anno a fundamentis ipse sumptuosissime reparare incepit, marmoreis et pulcris columnis illum ornatum reddens, ut apparet, cum via recta a porta palatii ad campum Florem usque» in Umberto GNOLI, cit, p. 203.
[11] Giorgio VASARI, Vite, 1550 (Einaudi, 1986-1991), p. 815.
[12] È il vescovo Paride GRASSI a narrare l’aneddoto nel suo Grassis Diarium, 1504-1521 [versione italiana di Mariano ARMELLINI, «Il Diario di Leone X di Paride Grassi», 1884]. Cfr . U. GNOLI, cit, p.204.
[13] La fonte è sempre l’articolo dello GNOLI, cit.
[14] G. VASARI, cit., 1568 (parte assente nella prima versione del 1550): https://it.wikisource.org/wiki/Le_vite_de%27_pi%C3%B9_eccellenti_pittori,_scultori_e_architettori_(1568)/Antonio_da_San_Gallo
[15] A. BRUSCHI, cit., p. 133. Che Antonio da Sangallo il Giovane fosse un vitruviano della prima ora lo prova l’introduzione (1531) da lui redatta, in seguito aggiornata (1539), all’edizione di Vitruvio tradotto in volgare dal fratello Giovanni Battista (aut Giambattista) intorno al 1530 (Ivi, p. 191).
[16] E perché il Papa, che aveva l’animo grande et era d’ottimo giudicio, voleva un cornicione il più bello e più ricco che mai fusse stato a qual si voglia altro palazzo, volle, oltre quelli che avea fatto Antonio, che tutti i migliori architetti di Roma facessino ciascuno il suo per appiccarsi al migliore, e farlo nondimeno mettere in opera da Antonio. E così una mattina che desinava in Belvedere, gli furono portati inanzi tutti i disegni, presente Antonio. I maestri de’ quali furono Perino del Vaga, fra’ Bastiano del Piombo, Michelagnolo Buonarruoti e Giorgio Vasari, che allora era giovane e serviva il cardinal Farnese, di commessione del quale e del Papa aveva pel detto cornicione fatto, non un solo, ma due disegni variati. Ben è vero che il Buonarroto non portò il suo da per sé, ma lo mandò per detto Giorgio Vasari, al quale, essendo egli andato a mostrargli i suoi disegni perché gli dicesse l’animo suo come amico, diede Michelagnolo il suo acciò lo portasse al Papa, e facesse sua scusa, che non andava in persona, per sentirsi indisposto. Presentati dunque tutti i disegni al papa, Sua Santità gli considerò lungamente e gli lodò tutti per ingegnosi e bellissimi, ma quello del divino Michelagnolo sopra tutti. Le quali cose non passavano, se non con malanimo d’Antonio, al quale non piaceva molto questo modo di fare del Papa, et averebbe voluto far egli di suo capo ogni cosa. (G. VASARI, Le Vite…, 1568, Vita di Antonio da Sangallo il Giovane)
[17] Altrove, tuttavia lo stesso Vasari scrive che non fu un disegno a entusiasmare il papa, bensì un modelletto che Buonarroti avrebbe costruito: «Aveva papa Paulo Terzo fatto tirare innanzi al San Gallo, mentre viveva, il palazzo di casa Farnese, et avendovisi a porre in cima il cornicione per il fine del tetto della parte di fuori, volse che Michelagnolo con suo disegno et ordine lo facessi, il quale non potendo mancare a quel Papa, che lo stimava et accarezzava tanto, fece fare un modello di braccia sei di legname della grandezza che aveva a essere, e quello in su uno de’ canti del palazzo fé porre, che mostrassi in effetto quel che aveva a essere l’opera, che piaciuto a Sua Santità et a tutta Roma, è stato poi condotto quella parte che se ne vede a fine, riuscendo il più bello e ’l più vario di quanti se ne sieno mai visti, o antichi, o moderni; e da questo, poiché ’l San Gallo morì, volse il Papa che avessi Michelagnolo cura parimente di quella fabrica, dove egli fece il finestrone di marmo con colonne bellissime di mischio che è sopra la porta principale del palazzo con un’arme grande bellissima e varia di marmo di papa Paulo Terzo fondatore di quel palazzo. Seguitò di dentro, dal primo ordine in su del cortile di quello, gli altri due ordini con le più belle varie e graziose finestre, et ornamenti, et ultimo cornicione che si sien visti mai; là dove per le fatiche et ingegno di quell’uomo, è oggi diventato il più bel cortile di Europa».
(G. VASARI, Le Vite…, 1568, Vita di Michelangelo Buonarroti).
[18] A. BRUSCHI, cit., p. 193 [«”al modo barbaro” e dunque opera “bastarta a voluntà”».
[19] A. BRUSCHI, cit., p. 176.
BIBLIOGRAFIA
BRUSCHI, Arnaldo (a cura di), Storia dell’architettura italiana. Il primo Cinquecento, Milano, Electa, 2002
CLEMENTI, Rodolfo, «Antonio da Sangallo: dal Dado ai Bastioni» (Artisti a Roma) in Iloveroma.it URL http://www.iloveroma.it/immagini/sangallo/sangallo.pdf
GNOLI, Umberto, «Le Palais Farnèse» in AA.VV., Mélanges de l’école française de Rome, 1937, n. 54, p. 200-210
https://www.persee.fr/doc/mefr_0223-4874_1937_num_54_1_8703
GRASSI, Paride, Grassis Diarium, 1504-1521 [versione italiana di Mariano ARMELLINI, «Il Diario di Leone X di Paride Grassi», 1884]
GRUAU, Élise, Palais Farnèse, s.l., Éditions Nihil obstat, 2007
LETAROUILLY, Paul-Marie, Édifices de Rome moderne, ou recueil des palais, maisons, églises, couvents, et autres monuments publics et particuliers les plus remarquables de la ville de Rome, 1840-1855
VASARI, Giorgio, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri , Firenze, 1550 (versione Torrentino), Torino Einaudi, 1986-1991, 2 voll.
VASARI, Giorgio, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri , Firenze, 1568, (versione giuntina), URL: https://it.wikisource.org/wiki/Le_vite_de%27_pi%C3%B9_eccellenti_pittori,_scultori_e_architettori_(1568)
Brava come sempre! Grazie👏💐🍀
RispondiEliminaArticolo approfondito ed esauriente che conduce il lettore alla scoperta di particolari interessanti ed inediti su una delle tante meraviglie romane! Fruibile anche dai non addetti ai lavori! Complimenti!
RispondiElimina