ESERCIZI DI LINEA (politica) - di Marco Cignetti - I PARTE (NARRATIVA)


NARRATIVA

 

Marco Cignetti

ESERCIZI DI LINEA (politica)

PARTE PRIMA


                                                                                                                       Jacqueline Spaccini ©2024


 

Terminato di bere il suo primo caffè mattutino, l’uomo si sedette alla scrivania, aprì il portatile e riprese la lettura di quanto aveva iniziato a scrivere il giorno prima.

Raccolse le idee, e poco dopo le sue dita iniziarono a saltellare agilmente sulla tastiera.

Un’ora dopo, il pezzo gli sembrava concluso. Forse ancora qualche aggiustamento formale, ma le idee fondamentali erano ormai nero su bianco.

Decise di concedersi una piccola pausa; mentre gustava il secondo caffè della giornata, lo squillo del telefono lo distolse dalle sue riflessioni. Era Sandra.

«Allora, Hemingway, cos’hai prodotto ieri sera?»

«Poco, - mentì - mi mancava la mia musa ispiratrice…»

«Ci fosse stata la tua musa, avresti scopiazzato di sicuro qualche idea» lo canzonò lei. Ben sapeva quanto era utile punzecchiare un uomo.

«Ho finito ora, donna di poca fede. Tu, invece?»

«Oh, stamattina mi sono alzata presto, e ho lavorato quasi tre ore. Ma non sono molto soddisfatta, voglio farlo vedere a mio fratello, magari mi aiuta…»

«Ah, ma così non vale! Ci tenevo a essere il primo… Vabbè, magari ci vediamo stasera, allora».

«Anch’io ci tenevo a leggere il tuo pezzo, visto che l’hai finito potresti comunque venire da me adesso…»

Era proprio quello che sperava di sentirsi dire. Nemmeno un minuto dopo era già in auto, diretto in centro, dove abitava Sandra.

Avviato il motore, iniziò a guidare pensando alla sera precedente.


Un sabato sera in birreria, come altre volte: chiacchiere su cosa fare per il resto delle festività invernali, chi in famiglia, chi sulla neve; commenti sulla legge di bilancio appena approvata, discussioni più animate sulla situazione politica.

«Simpatica compagnia», mormorò fra sé e sé.

E rivisse il momento clou della serata, la sfida letteraria fra lui e Sandra.

«Perché non prendete l’incipit di qualche classico del pensiero politico e poi ci lavorate su?»

Era stato Renato a lanciare la pietra, un po’ per cambiare discorso, un po’ per stuzzicare i suoi due amici. E poi, forse la discussione si stava riscaldando troppo.

Non erano tutti impegnati in politica, ma Sandra, Enrico e Renato, sì. E pur lavorando nella medesima area, Enrico e Sandra la vedevano in modo differente su parecchi aspetti di fondo.

“L’ha proprio fatto apposta, quel marpione» pensò riferito a Renato. “Ma alla fine ha fatto bene, tutti gli altri si sono divertiti».

Enrico e Sandra avevano iniziato a vedersi regolarmente da un paio di settimane, ed entrambi sapeva benissimo che questo aveva suscitato qualche invidia. Il fatto di riuscire a metterli l’uno contro l’altro, anche se solamente in una amichevole sfida letteraria, era stato un divertimento, una tentazione a cui molti non avevano resistito.

In un certo senso, c’era cascato. C’erano cascati tutti e due, per la verità.

 “Un paio di paginette, una roba sintetica, mi raccomando, non un trattato!» raccomandò Renato “magari ci serve per il futuro!»

La trappola era scattata. Scrivere qualcosa che avrebbe avuto un minimo di diffusione… Né Sandra né Chicco avevano saputo resistere.

«Ma perché non … non partecipate anche voi alla sfida?»

L’incertezza del tono di Chicco (al secolo, Enrico) aveva dato agli altri il pretesto per sfilarsi.

“Ma io non sono un esperto di comunicazione come te» aveva detto uno degli amici.

“Io non ce la faccio, ho molti impegni di lavoro in questo periodo» aveva detto qualcun altro.

Tutti sapevano della recente relazione fra Chicco e Sandra, e sapevano anche della diversa provenienza: lei, più legata al mondo sindacale e femminista, lui più vicino al modo della cultura liberaldemocratica. Renato lo aveva anche definito “uno dei tanti ex renziani in fase di riposizionamento».

Avevano discusso animatamente tutta la sera, e poi era uscita la sfida.

Dai tavoli vicini, proveniva un misto di curiosità e fastidio che metteva a disagio i tre amici. Per fortuna, pensò Enrico, alla fine abbiamo smesso di parlare di politica.

Usciti dalla birreria si erano salutati come sempre, e ognuno era andato per la sua strada. Chicco e Sandra si erano salutati con un “ci vediamo domattina?”, che poteva avere per entrambi un significato nascosto.


Appena arrivato a casa, Enrico aveva iniziato subito a scrivere, per andare a dormire dopo aver riempito un paio di pagine.

Sandra, invece, aveva preferito coricarsi subito e svegliarsi presto, nonostante fosse domenica.

 

*****

 

Mentre Enrico attraversava una città calma e semideserta, ricordando la serata precedente, un altro telefono suonò. Era quello di Sandra, e chi chiamava era suo fratello Gianpaolo.

Lui era di alcuni anni più vecchio di Sandra, era stato deputato per una legislatura nelle file dello stesso partito, e nel 2018 non era stato rieletto.

Abitavano insieme nella casa dei genitori ed erano molto legati; entrambi avevano la loro autonomia, e rispettavano quella dell’altro. Gianpaolo, nonostante l’impegno in politica, non aveva mai abbandonato il suo lavoro, un lavoro che sovente lo portava spesso fuori città, anche se per brevi periodi.


“Volevo solo avvisarti che arrivo prima del previsto, verso la mezza o giù di lì».

Era sufficiente, pensò Sandra: se fosse arrivato in compagnia, l’avrebbe detto.

“Ok, io sono a casa, forse c’è Chicco.»


Anche questo messaggio venne subito compreso, con tutte le implicazioni del caso.

Sandra rassettò la sua camera, estrasse dal congelatore un arrosto già pronto, preparò il tavolo per tre, e pochi minuti dopo arrivò Enrico, che posò due fogli ripiegati sul tavolino accanto al divano.

“Più tardi arriva Gianpaolo» si limitò a dire Sandra, ignorando ostentatamente i due fogli stampati.

Enrico colse il messaggio: salirono le scale che portavano verso la zona notte, rinviando di qualche ora la lettura dei loro scritti.

* * * * *

Quando Gianpaolo arrivò, nella sala da pranzo non c’era nessuno, ma ovviamente non se ne preoccupò; notò subito i due fogli stampati, pieni di appunti e correzioni a penna ripiegati sul tavolino, e – incuriosito - li aprì iniziando subito a leggere.

 

Borghesi e proletari, destra e sinistra: distinzioni superate.

 

La storia di ogni società esistita fino a questo momento è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.

 

«Questa mi sembra di averla già letta», commentò perplesso fra sé e sé, ma decise di proseguire.

 

La società sorta dal tramonto di quella feudale non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta. L'epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L'intera società si è scissa sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e proletariato.

 

Per un momento pensò che il nuovo compagno di sua sorella fosse impazzito: rimettersi a scrivere l’incipit del Manifesto gli sembrava un esercizio inutile. Appena buttato l’occhio sul capoverso successivo, però, capì che ci doveva essere qualcos’altro.

 

      

Questa polarità nella società e nell’economia ha la sua evidenza nelle rappresentanze politiche dei vari paesi democratici: per oltre due secoli, la distinzione politica fondamentale, è stata la distinzione fra destra e sinistra, con tutte le sue più svariate articolazioni: i sindacati e le associazioni degli industriali, per più di un secolo, hanno appoggiato più o meno apertamente, gli uni la sinistra, gli altri la destra, o un centro che guardava a destra.

Dalla fine del secolo scorso, tutto è cambiato: la deindustrializzazione degli anni ’80, la globalizzazione, le nuove tecnologie informatiche, hanno rimescolato le carte.

I problemi storici delle classi subalterne si sono modificati: nel secolo scorso, buona parte di quello che era proletariato, ha raggiunto un certo livello nel tenore di vita: la crescita del cosiddetto “ceto medio” ha modificato i termini della lotta di classe, come la chiamavano i classici del socialismo.

Questa modifica è proseguita negli anni della deindustrializzazione: per la prima volta nella storia degli ultimi secoli, i figli ebbero possibilità di accesso a livelli di conoscenza e di cultura superiori a quelle dei loro genitori, ma minori possibilità per accedere a un più elevato tenore di vita.

E’ vero che poi il ceto medio ha smesso di crescere, si è accentuata la polarizzazione fra le classi sociali più ricche e le altre, ma intanto la situazione era cambiata, e –come disse il noto economista J.M.Keynes- non si ottiene il maiale facendo girare il tritacarne al contrario.

La globalizzazione e l’esplodere dei flussi migratori, ha fatto il resto.

Il risultato generale di queste brevi considerazioni, ci porta inevitabilmente alla conclusione che la distinzione principale, oggi, non è più fra destra e sinistra, e di conseguenza, non vale più l’equazione tradizionale “conservazione=destra” e “progresso=sinistra”.

Uno dei più importanti innovatori degli ultimi decenni, Silvio Berlusconi, è indubbiamente da collocare nella destra, e fra i politici che hanno portato in Italia il peggior neoliberismo (dottrina economica storicamente propugnata della “destra”), dobbiamo annoverare Massimo D’Alema, che proviene dalle file del più importante partito comunista dell’occidente.

Oltretutto dopo le conquiste salariali e normative deli anni ’70, oggi, all’interno di quella che si definisce “sinistra”, prevalgono posizioni conservatrici: gli stessi sindacati, difendendo quelle conquiste, sono diventati conservatori quasi senza accorgersene (e comunque senza mai ammetterlo!).

Oggi la linea di demarcazione fondamentale, quella che passa fra conservazione e progresso, fra passato e futuro, è un’altra: è quella che distingue i sovranisti dagli europeisti (al netto di tutte le criticità che l’Europa ancora si porta dietro); è quella che passa fra liberali e liberisti (specie nella versione neo-liberista); quella che divide chi vuole tenere aperti i confini dell’Europa da chi vuole costruire muri; quella fra la politica dall’antipolitica; il passato è rappresentato da chi pratica il populismo, il futuro è di chi lo rifiuta.

Per dirla con una parola, la nuova “linea del fronte” è fra barbari e civilizzati.

Chiediamoci ora: chi sono gli uni e gli altri, oggi in Italia? Da chi è rappresentata la nuova polarità della dinamica sociale?

Semplice: Destra, Lega, Movimento 5 Stelle e quello che resta dell’estrema sinistra sono i barbari; moderati, centro sinistra e centro destra sono i civilizzati.

Per questo, è sbagliata ogni ipotesi di alleanza con il M5S, per questo occorre invece cercare una nuova alleanza con il centro-destra, una nuova santa alleanza che premi i produttori e la gente che lavora, che smascheri la malafede di chi finanzia le spese correnti col debito e lascia le briciole agli investimenti, un’alleanza che spazzi via i tentennamenti sulle grandi opere pubbliche, dalla TAV al ponte sullo stretto.

Inutile inseguire gli ex elettori di sinistra, che oggi votano 5 Stelle e un domani voteranno Lega: quando l’attuale governo giallo-verde si andrà a schiantare, smetteranno di recarsi alle urne per votare.

Occorre invece creare luoghi di confronto e di organizzazione trasversali che portino le istanze dei cittadini all’attenzione dei pubblici poteri, indipendentemente se al governo locale c’è una Amministrazione di un colore piuttosto che un altro. Occorre rinsaldare l’alleanza dei civilizzati, che potrà finalmente (e nuovamente) governare nell’interesse del paese.

 

Questo è di Enrico, pensò. Chissà cosa aveva fumato mentre scriveva di una “santa alleanza” fra barbari e civilizzati, si chiese con un sogghigno.

Enrico gli stava simpatico, lo aveva conosciuto prima di Sandra, e anche se aveva una visione della politica molto diversa dalla sua, non ne era disturbato. Ammetteva che su alcune cose vedeva più lontano di lui, e ne apprezzava gli sforzi per cercare nuove chiavi di lettura dell’attualità politica.

La camera di Sandra era al piano di sopra, lontana dalla sala, e la porta del corridoio che portava alla scala era chiusa.

Poi vide l’arrosto mezzo scongelato sulla cucina, la tavola apparecchiata, e decise di proseguire il lavoro iniziato dalla sorella. Preparò una abbondante insalata, tagliò qualche fetta di salame, lavò delle olive, mise l’arrosto in padella e iniziò a scaldarlo a fuoco basso.

Prese una bottiglia di nebbiolo con l’intenzione di aprirla, quando vide il portatile di Sandra, acceso, sulla libreria.

Un pensiero iniziò a strisciare nella sua mente.

Posò la bottiglia col cavatappi piantato nel sughero e si avvicinò al pc, aprì lo schermo e come per magia l’apparecchio uscì dallo stand-by.

Una pagina di word era aperta. (continua)


 MARCO CIGNETTI

 


 BIONOTA

Marco Cignetti è un commercialista che si è sempre interessato di letteratura, politica, storia, cinema e varia umanità. Classe 1956, per il 50% si sente cittadino del mondo, per il 50% italiano e per il restante 50% torinese, anche se abita in provincia. Nonno di tre nipoti e zio o prozio di altri, cerca di emularli, smanettando sui social: qualche volta ci riesce, a volte fa pasticci, ma non rinuncia.

Vorrebbe scrivere e girare il mondo, prima che sia il mondo a dare il giro.

 

 


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