«ESTER D'ENGADDI» DRAMMA TRAGICO - di Gabriella Minarini - III PARTE (MELODRAMMA)

 MELODRAMMA

Ester d'Engaddi dramma tragico - III parte

GABRIELLA MINARINI  

La prima parte è stata pubblicata il 21 giugno 2024

La seconda parte è stata pubblicata il 2 luglio 2024



Ester d’Engaddi

      Nel Capitolo XVI delle sue Memorie il Maestro scrive: «non volendo tralasciare nulla di quanto […] accadde nella mia seconda epoca fa d’uopo ch’io ritorni all’autunno 1845 nella quale stagione composi per le scene del San Carlo la Stella di Napoli, opera che piacque, e che la Tadolini, la Buccini, Fraschini e Coletti eseguirono alla perfezione».[1]

     Dopo l’Ebrea, fino all’Ester d’Engaddi, Pacini compose, e mise in scena, ben cinque opere: Lorenzino dé Medici (Fenice, marzo 1845), Bondelmonte (Pergola, giugno 1845), la Stella di Napoli (San Carlo, dicembre 1845), La regina di Cipro (Regio, Torino, febbraio 1846), e Merope (San Carlo, novembre 1847); due di queste, il Lorenzino dé Medici ma, soprattutto il Bondelmonte, ebbero un grande successo! Infatti, come riporta Marcello Conati nell’articolo - Ascesa, Caduta e Resurrezione di Pacini -,[2] dal 1844 al 1859 furono fatte ben settanta allestimenti del Bondelmonte e ventotto del Lorenzino. Non male per un compositore che alla fine del 1833 aveva scritto: «Principiai a conoscere ch’io doveva ritirarmi dalla palestra. – Bellini, il divino Bellini, e Donizetti mi avevano sorpassato».[3]    In fondo al puntuale elenco steso da Pacini in questo Capitolo delle Memorie, troviamo una nota importante:

«Dopo il fortunato incontro della Regina di Cipro i signori fratelli Favale[4] mi offrirono il contratto per comporre altr’opera per il carnevale 1847[5] nella quale stagione fu pure scritturata la Frezzolini che poi disertò in Russia. Io composi l’Ester d’Engaddi. Un funebre velo ricopra la povera figlia d’Israele»!  

     Questa nota, con una chiusa così negativa, è sicuramente frutto della distanza che copre la messa in scena dell’Ester d’Engaddi e il risultato che l’opera ebbe fino alle stesure delle Memorie! Sappiamo, dalle recensioni di vari giornali musicali dell’epoca, che l’opera ebbe un discreto gradimento alla sua uscita. Infatti, il 9 febbraio sul Figaro si scrive:

«Torino Regio. – Ester d’Engaddi, melodramma serio di Francesco Guidi, con musica espressamente scritta dal maestro Pacini. Il libretto ci assicurano essere trattato con abbastanza buon senso e con molto effetto teatrale. La musica poi viene acclamata come degna sorella della sempre bellissima Saffo, ed il Pacini mostrò con questo nuovo spartito essere in lui inesauribile la vena dell’immaginoso e bello scrivere musicale. […] Fra i pezzi più applauditi si notano l’intera cavatina della prima donna, quella del tenore, il largo del duetto fra soprano e basso, e sopra tutti il largo del gran finale dell’atto secondo, che fruttò immensi applausi ed appellazioni al suo illustre compositore. La Garcia, Sinico e Derivis, che ne furono i principali esecutori, quantunque non tutti in piena salute, pure fecero del loro meglio per degnamente interpretare questa nuova e sublime musica, e vi riuscirono a meraviglia […] L’indisposizione particolarmente della Garcia arrestò il corso di quest’opera nata sotto così lieti auspici, e della quale riparleremo quando verrà riprodotta in tutta la sua integrità».[6]

     Lo stesso giorno, sulla Gazzetta Musicale di Milano, rivista dell’Editore Ricordi, viene però pubblicata una scarna recensione: 

«Ne si scrivono da Torino assai belle cose sull’esito e nel merito del nostro spartito del chiarissimo Pacini, che intitolasi Ester d’Engaddi, poesia del signor Guidi. Notasi tra i pezzi di miglior effetto – il Coro d’introduzione – l’Aria del soprano (La signora Garcia) – la Romanza del basso (signore Dérivis) – l’Aria del tenore (signore Sinica) – Il finale del second’atto – che ebbe applausi grandissimi – e nel terzo atto la scena finale. Parlasi assai bene anche dell’esecuzione.[7]  

La recensione è così telegrafica che la prima donna assoluta, la signora Eugenia Garcia, si sente in dovere di scrivere all’editore Ricordi per manifestare il suo rincrescimento. Scrive la Garcia:

«È stato molto severo con noi nel suo Giornale, mio caro signor Ricordi, il censore questa volta ha   la responsabilità di un grande Maestro, vengo a chiederle la grazia di esserlo un po' meno.  La musique d’Ester d’Engaddi, dramma del Poeta Toscano, Guidi, fu giudicata una delle più belle di Pacini se non la più bella. Gli effetti della musica sono grandiosi senza mai allontanarsi dalla Vera e Gran Scuola.  

     Coro 1°d’un lavoro è d’un effetto magico. Aria della Donna di esecuzione brillante di effetto sicuro.

     Duetto col Basso, Romanza di quest’ultimo di bella composizione - divinamente eseguito da Derivis, Aria del tenore con Cori di grand’effetto.

     Duetto fra il Basso ed il tenore assai ben condotto.

     Finale del secondo atto superiore a tutto quello che si puol dire. (chiamata senza fine al Maestro).

     Romanza del tenore richiesta Duetto colla Donna di buon effetto assai ben cantati da Sinico.

     Scena finale di composizione miracolata di effetto immancabile chiamate ed applausi.

Il nome di Pacini bastava per non raccomandarlo ma quello dell’eroina aveva bisogno d’indulgenza e per lei vengo a pregarlo di essere generoso».[8]

 

La risposta di Ricordi alla richiesta di - indulgenza - della signora Garcia arriverà solo il 4 marzo, in forma ancora più telegrafica rendendo, di fatto, noto che la Garcia non era più nel cast: «L’Ester d’Engaddi del Chiarissimo maestro Pacini, riproposta dalla signora Dielitz, continua a piacere. I                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   signori Sinico e Derivis vi sono pur sempre applauditi. Molta in questa musica la novità e freschezza   di idee».[9]  

 

    Anche Pacini (il 17 febbraio) aveva scritto a Ricordi in merito alla Garcia: «Avrai di già saputo l’esito clamoroso della mia Ester d’Engaddi riprodotta la sera del 12 corr. sulle scene del R. Teatro di Torino: e la Dielitz[10] è seguita più della Garcyia, sempre ammalata»![11]

 

     Dopo il 19 febbraio sul Figaro compare un’altra recensione dove si annuncia il debutto della signora Emilia Dielitz come prima donna. Scrive il censore:

 

La comparsa della bell’Opera di Pacini colla nuova prima donna, madamigella Dielitz, che doveva aver luogo sino da martedì 8 andante, fu protratta a sabbato prossimo passato per malattia del basso Derivis. O Pacini, se fossi stato presente a quella rappresentazione quale trionfo avresti goduto! Le tue sublimi note sono state comprese, ed hanno eccitato ed entusiasmato gli uditori; ma anche la giovane signora Dielitz inspirata dalla tua musica geniale fece miracoli, e fu portata alle stelle da questo distinto e affollatissimo pubblico. L’Ester d’Engaddi è un capolavoro […] Emilia Dielitz […] padrona della sua voce, che si piega alle più ardite difficoltà, ella diceva con indicibile incanto il primo adagio e la cavatina che esige agilità senza pari, e l’eseguiva colla più perfetta precisione. Applaudita dopo ogni frase ebbe in fine strepitose chiamate, e con quel pezzo era assicurato il successo della sera. La romanza di Jefte, cantata per eccellenza, fruttò al Derivis immensi applausi. Il duetto fra Ester e Jefte, musica piena di vigore e di effetto teatrale, porse alle voci colossali del Derivis e della Dielitz occasione di svolgersi in tutta la loro pompa, e procurò ai due artisti l’onore di più chiamate. Il primo atto finisce coll’aria di Azaria, una delle più belle che mai siano state scritte per tenore; ma ci vuole la voce miracolosa del Sinico per eseguire il canto dell’eroe che torna coronato dal campo di battaglia. […] Il finale del second’atto citato da tutti per la grande sua bellezza […] produsse un effetto magico e se ne volle la replica. Il terzo atto abbonda di musicali immaginazioni […] il rondò finale fu il pezzo che destò vero fanatismo, ad onore del maestro, del poeta e della cantante; del primo dell’originalità delle note immaginose con che vestivi le parole della spirante infelice Ester; del poeta per l’interessantissima situazione e della Dielitz per l’insuperabile esecuzione. Il suo canto fu ascoltato col più profondo silenzio, e l’espressione dell’ammirazione proruppe con - brava evviva - soltanto alla fine, e calata la tela ella dovette ricomparire sola e cogli altri artisti più volte sul palco scenico.[12] 

 

Sul Figaro compare anche nella notizia della fine di Stagione: «Martedì 7 marzo si terminerà la stagione del Carnovale coll’Ester d’Engaddi, sempre bel accolta ed acclamata».

     Cosa era accaduto tra Pacini e Ricordi perché L’Ester d’Engaddi avesse un così vile trattamento? Ci sono delle lettere, in particolare due, che possono aiutarci a capire quali potessero essere le tensioni tra il compositore e il suo editore! Entriamo in merito da una lettera che Pacini, il primo gennaio, appena arrivato a Torino scrive:  

 

Caro Amico. Buon principio e buona fine in unione ai più felici auguri! – Scrissi or sono otto giorni a tuo Figlio Tito, pregandolo di far copiare per mio conto in Partitura i cori dell’Edipo che mi furono richiesti da S. M. il Re di Prussia, […]  – Niun riscontro mi ebbi fin qui, per cui ti prego, ove la mia lettera fosse andata smarrita, di dare evasione alla mia preghiera […] Le prove della mia Opera principieranno il dì 5 corr. Il titolo [è], come ben sai, Ester d’Engaddi. Mandai a Regli un articolo della mia Ebrea tolto dal Fomento[13] che mi fu spedito da Barcellona perché lo pubblicasse, ma non ho per anco veduto gli effetti! Non capisco! Vorresti interrogarlo in proposito?.. Te ne sarei obbligato. –[14]  

 

     Pacini non ebbe riscontro, almeno in merito all’articolo sull’Ebrea. Ma c’è una lettera molto interessante, di quasi due anni prima (7 marzo 1846) che può spiegare bene il temporaneo disinteresse dell’Editore nei suoi confronti: la lettera sancisce il momento in cui Giovanni Pacini si rende conto che la presenza di Verdi stava travolgendo anche il suo mondo. Ma spieghiamo la progressione degli avvenimenti!

     Già dal 1844, di Verdi e Pacini si erano viste allestire (nella stessa Stagione) le opere sulle scene di vari teatri: alla Pergola e al teatro del Giglio di Lucca (Quaresima 1844) furono messi in scena il Nabucco e la prima ass. de La Fidanzata Corsa; il 4 marzo 1845 alla Fenice di Venezia Pacini debutta il suo Lorenzino dé Medici; tre mesi dopo (Primavera 1845) alla Pergola, Pacini debutta con il Bondelmonte e Verdi è presente con la Giovanna d’Arco; ambedue sono presenti, in settembre, alla fiera di Reggio Emila, Pacini con il Lorenzino dé Medici e Verdi con I due Foscari e, nell’estate del 1846 al teatro Rossini di Livorno con La Giovanna d’Arco e il Bondelmonte.[15] Da quel momento però si vedono in scena sempre più opere di Verdi (e non si presentano insieme a quelle di Pacini) arrivando addirittura, nella stagione di Carnevale e Quaresima 1845-46 alla Fenice, con Verdi presente con tre opere: La Giovanna d’Arco, Ernani e, in prima assoluta, l’Attila! Venezia, che aveva dovuto attendere fino al 1844 per avere un’opera «del Verdi» (che fu appunto Ernani), in quella stagione 1845-46 fa il pieno: tre opere su cinque sono del maestro di Busseto! Pacini continua il suo lavoro ma l’idillio con Alessandro Lanari (impresario della Pergola e, nelle ultime Stagioni, anche della Fenice) e con i Ricordi si raffreddano mentre i teatri d’Italia si riscaldano con i lavori di Verdi!! Questa è stata sicuramente una strategia editoriale ben congegnata da Ricordi, e Pacini non manca di fargliela notare. Infatti, scrive all’editore:  

 

Amico caro, […] Godo che abbiate acquistato la mia Regina di Cipro, e che quest’Opera (come voi m’esternate nella precitata Vostra) sia riuscita di vostra soddisfazione! Per un povero Vecchio Compositore non è poca cosa!!; La moda in oggi vi ha fatto abbandonare la vostra divisa, per cui posponete ai Maestri che pur vi dovevano esser presenti, la gioventù. Se io mi fui con voi alquanto risentito, fù a sola cagione della notizia che avevate oltraggiato il nome di tutti coloro che avevano seguita la gran bandiera del Sommo Rossini; almeno questa fù la voce che si sparse per tutta Napoli quando voi foste colà per vedere altro Maestro. Tutti abbiamo il nostro amor proprio, ed un’offesa quando viene da un Vecchio amico è ancora più sensibile che se derivasse da persona a cui non si è attaccati; ma siccome il tempo è buon giudice di tutto, e la verità non rimane lungamente offuscata dalle tenebre, così io condono tutto a quelle aberrazioni cui gli uomini vanno soggetti. Eccovi schiettamente il motivo della mia ruggine, ed eccovi ancora una novella prova della mia sincerità e fiducia col mettere in scritto quello che spero voi conserverete sotto il suggello dellamicizia! […][16]

 

Il contenuto della lettera è piuttosto chiaro: Pacini rimprovera a Ricordi di essere andato a Napoli per essere presente alla prima assoluta dell’Alzira[17] di Verdi e di aver dimenticato le sue responsabilità verso i vecchi compositori. Ma Pacini non aveva fatto bene i conti perché, il maestro di Busseto, come nel 1844 rispondeva Giò Batta Correr Podestà di Venezia alla Nobile Presidenza della Fenice: «Il Verdi è necessario per tutte le ragioni, ed il solo che approvo».[18] Le ragioni di questa necessità erano dovute al prestigio che Verdi si era conquistato presso il pubblico, era richiesto dai veneziani che non volevano essere da meno ai milanesi che avevano già avuto quattro sue opere prime e, fatto importante, favoriva gli incassi! E Verdi fu!!

     Ricordi non aiutò Pacini a far correre questa opera, così come aveva fatto anche per l’Ivanhoe e L’Ebrea, nonostante le varie lettere del maestro in cui si raccomandava di pubblicarne il favore del pubblico: «Ti prego di far Pubblicare nella Gazzetta Musicale l’esito che l’Ester d’Engaddi ottenne in Torino con la Dielitz».[19] Una cosa è certa, il maestro non ha millantato un successo anche se l’opera può aver goduto, come scrive Mercedes Viale Ferrero in Opera & Libretto, i favori di un importante momento storico: scrive Viale Ferrero:

Il problema delle minoranze religiose, molto sentito in Piemonte sia dalla piccola ma ricca comunità ebraica, sia soprattutto dalle oppresse popolazioni valdesi, si affaccerà timidamente al Regio solo nel febbraio 1848, con l’Ester d’Engaddi […], opera del tutto dimenticata e il cui successo appare anche allora inspiegabile senza una motivazione politica. Ma questo spettacolo fu, opportunamente rappresentato alla vigilia della concessione dello Statuto, che avvenne il 5 marzo 1848. Seguì a brevissima scadenza […] la guerra contro l’Austria e nella stagione del Regio 1848-49 l’identificazione tra programmi teatrali e programmi politici diventa evidente.[20]

    Ma ritorniamo all’Ester d’Engaddi e a quanto scritto da Francesco Guidi nell’avvertimento pubblicato sul libretto:

 

«Dalla nota Ester d’Engaddi di Silvio Pellico è tolto il presente soggetto; ma in qualche parte vedrassi modificato. I lettori, che non ignorano in quale letto di Procuste si sono trovati fin qui i poeti melodrammatici, perdoneranno all’autore i difetti del suo componimento, se per avventura è riuscito, in tanta strettezza, a conservare i caratteri e le situazioni più interessanti della tragedia. F. G».[21]

 

Il libretto, in «tanta strettezza», non solo non ha conservato caratteri e situazioni interessanti ma non è riuscito a spiegare quello che la storia avrebbe voluto raccontare! Qui è Guidi che millanta l’ascendenza del libretto dalla tragedia del Pellico in quanto, dal 1843, era già spuntato un libretto sull’Ester d’Engaddi, scritto da Salvatore Cammarano per Achille Peri, di cui Guidi ha pienamente approfittato.

     Entrambi i libretti sono in 3 Atti; hanno 9 scene per il primo atto, 5 scene per il secondo ma, per il terzo Cammarano ne ha scritte 9 e Guidi 6. La «strettezza» in Guidi si è commutata in ‘pochezza’ di mezzi espressivo-comunicativi e posizioni drammaturgiche deboli. Di fatto ambedue i librettisti non scavano a fondo quello che è il dramma di Ester - lei è sola nel suo patire - ma lasciano che la trama viaggi sul supposto tradimento della donna, indotto nel pensiero di Azaria dal perfido amico!    

    Quello che evince dal libretto del Guidi è che Jefte, capitano del popolo, invaghito di Ester cerca di esercitare su di lei il potere che le genti di Engaddi gli hanno dato! Ester è fragile, lui ha scoperto un segreto tenuto celato da anni: lei vede suo padre Eleazaro, fuggito da Engaddi perché condannato a morte quale apostata ma, in realtà, rifiutato perché il potere non poteva stare in mano a chi si era convertito alla nuova religione: il cristianesimo. Nel libretto per Pacini questo è il solo, piccolo, spazio riservato al conflitto religioso: Ester che vede il padre - dichiarato apostata - nonostante sia stato condannato dal popolo d’Engaddi! Il resto è pilotato da Jefte forte della grande gelosia di Azaria. Jefte, che ama alla follia la donna, arriva addirittura a dirle che il suo sposo, Azaria, potrebbe morire in battaglia così lei, libera da vincoli, potrebbe avere accanto un uomo che può dargli agi e onori e, soprattutto, fargli rivedere i genitori. (In Pellico si azzarda anche di far suggerire a Azaria che il figlio possa non essere suo).  Ester rifiuta le sue profferte e per lei si apre la strada del supplizio! Azaria, appena rientrato dalla guerra, viene avvertito da Jefte che la sposa si intratteneva con un uomo che, scendendo dalla scoscesa montagna si fermava nella loro tenda! Azaria, che si fida ciecamente dell’amico, tanto da avergli fatto la richiesta di vegliare su di lei e il figlio in sua assenza, non esita un momento e vorrebbe - subito - svenarla! Quello che sconcerta è questa reazione di Azaria che accetta che la sposa sia colpevole senza nemmeno aver fatto una minima indagine! Il momento in cui lui lo fa è in pubblico, Ester che non vuole tradire il padre risponde solo che lei è fedele; il veleno instillato da Jefte nell’orecchio di Azaria ha svolto il suo compito: Ester sarà giudicata dalla legge di Mosè! Il terzo atto è interessante perché, per un attimo, riporta all’ultimo atto del Pellico quando i due sposi parlano e si confidano quali erano i loro sogni, i timori, e Azaria confessa a Ester che «da quelle orrende angosce io liberarti qui giungendo volea, me svenar poscia, e lasciar dubbia la tua colpa almeno» (VI,1). Ma Ester gli da di codardo. Lei non cerca di sfuggire la morte col nappo! È fiera nella sicurezza di essere fedele e raccomanda allo sposo il figlio! Il Guidi invece, data la «tanta strettezza», con le continue accuse di tradimento profferte da Azaria, lascia poco spazio a questo intimo scambio fra loro, e fa dire ad Ester che accetta la morte perché lei è fedele e Sa bene le manovre messe in atto da di Jefte. Lei morirà ma può dire fiera che: «No, […] senza lacrime la [mia] tomba non sarà»![22] Non c’è scampo per lei e l’intimità con Azaria viene interrotta da Jefte che arriva con un’accusa ancora più infamante: afferma che Ester abbia incontrato un cacciatore «che, dalle vesti, agli atti, al volto, dé Romani sembra …», per cui aggiunge all’infedeltà il tradimento! Azaria maledice il fatale momento che lo ha avvinto a Ester! Jefte si offre di salvarla ma Ester lo rifiuta ancora. Lei, ormai rassegnata alla sua sorte, chiede al popolo d’Engaddi di rivedere e «stringere […] l’ultima volta al sen» il figlio; tutti rispondono «perfida madre goder non dèi dell’innocente amplesso».[23] È momento del giudizio di Mosé, Ester beve «il licor» al quale Jefte aveva fatto aggiungere un potente veleno e, in quel momento Eleazaro entra per far interrompere «l’iniquo rito» e salvare la figlia! Jefte viene portato via dai Sacerdoti che lo uccidono! Ester muore chiedendo a Azaria il perdono per il misero padre!    

     Difficile, oggi, è capire il comportamento di Azaria che viene descritto come «zelante, che l’antica legge osserva, e la novella abborre, ma ciò in esso dé padri è riverenza e non ferocia» (I,2) ma, in questa riverenza non c’è pietà né spazio per il dubbio! Azaria si chiede, vedendo Ester quasi semisvenuta: «‘l’amo io forse ancor’??», invece di chiedersi se è veramente colpevole. La sua ferrea stoltezza, l’incapacità di vedere oltre le parole di Jefte, ne fanno un essere egoista! (IV,1).

Ester ha dei grandi sensi di colpa! Lei ama il marito ma è costretta a non parlargli del padre e del fatto che il suo cuore ne segue la religione! Teme le ire che il marito in certo momenti esprime!  Il senso di colpa li divide, Azaria lo sente ma non sa cosa siano queste emozioni e, quando Ester viene accusata da Jefte, trova facile terreno nelle sue paure a cui, finalmente, può dare un nome.   

Questo è un dramma dove il conflitto non è puramente religioso ma è la tragedia che scaturisce quando, come in questo caso, ognuna delle parti nasconde quello che pensa sia inaccettabile per l’altro! Non è possibile comprendere gli eventi perché il - non detto - confonde la ragione e le emozioni! 

     La sera del 7 febbraio finiva la stagione a Torino, scrive ‘poeticamente’ il censore del Figaro:

Le porte del Regio sono chiuse; là dove poco fa le melodie paciniane rallegravano il cuore dell’uditorio, la forte e simpatica voce della Dielitz incantava tutti, ed il canto vibrato ed energico del Sinico scuoteva anche i più inerti; colà ora regna adesso il più perfetto silenzio. Tutti sono però dolenti di aver detto addio a così perfetto godimento[24]

Il 17 febbraio Pacini da Venezia scrive a Ricordi:

 

Amico Caro, […] Avrai di già saputo l’esito clamoroso della mia Ester d’Engaddi […] Tale notizia mi ha colmato di gioia poiché, lasciando da parte ogni ostentazione, ho fiducia che quest’opera farà il giro di tutta Europa. Tu sai ch’io non sono ciarlatano. Ma ti accerto che la Merope, e l’Ester d’Engaddi hanno il pregio della novità e freschezza d’idee. […]

Credimi pieno di stima

                                                                                               Il Tuo aff. a.

                                                                                                 G. Pacini

P.S. Ti prego di far Pubblicare nella Gazzetta Musicale  l’esito che l’Ester d’Engaddi […] ottenne in Torino con la Dielitz.

 

 

     Pacini conclude il 1848 con un grande dolore. Come scrive a Ricordi:

 

La mia povera Moglie affetta da uno scirro al petto è in cattivo stato di salute! Tolga Iddio una disgrazia! – Vogliami bene, mio caro Giovanni; ed augurandoti mille felicità nel rinnovarsi dell’anno passo a ripetermi[25]

                                                                                             Tuo aff. a.[mico] e s.[ervitore] 

                                                                                         GPacini


ma nelle Memorie puntualizza che: «Gli avvenimenti del 1848 mi fecero tacere fino al carnevale del 1850, in che fui di bel nuovo a Venezia a porre in iscena la Medea» e, sicuramente tra gli avvenimenti che lo fecero tacere c’era anche, come scrive a Ricordi:

 Ti ho occultato fin ora la disgrazia da cui sono minacciato […] Sappi pertanto che la mia povera Moglie si trova gravemente ammalata! Uno scirro al petto è il morbo che l’affligge. Non valse il farla operare. Il male si è riprodotto, e temesi primamente per la di Lei vita!.[26]

Marietta Albini,[27] seconda moglie di Pacini, morì il 30 marzo 1849.  



[1] G. Pacini, Le mie memorie artistiche, Firenze, G. Guidi editore, 1865, p. 119.

[2] Cfr., M. Conati, Intorno a Giovanni Pacini, pp. 11-45.

[3] G. Pacini, Le mie memorie artistiche, p. 82.          

[4]  Favale, fratelli, Torino, tipografi dell’Impresa dei Regi Teatri.

[5] G. Pacini, Merope, Napoli, San Carlo, prima ass. 25 novembre 1847.   

[7] Gazzetta Musicale di Milano. -  Anno VII. N. 6. -  Mercoledì 9 febbraio 1848.

[8] Lettera di E. Garcia a G. Ricordi, Torino, 2 febbraio 1848. Aut. Archivio Ricordi: LLET007830.

[9] Gazzetta Musicale di Milano. -  Anno VII. N. 9. -  4 marzo 1848.

[10] Emilia Dielitz, soprano.

[11] Lettera di G. Pacini a G. Ricordi, Venezia, 17 febbraio 1848. Aut. Archivio Ricordi: LLET003095.

[12] Figaro, 19 febbraio 1848.

[13] El Fomento, giornale di Barcellona, dove l’opera fu rappresentata il 17 novembre 1847. Vedi in proposito, in coda a l’Ebrea: «Notizie sul successo di Giovanni Pacini al Teatro Principale di Barcellona».

[14] Lettera di G. Pacini a G. Ricordi, Torino, 1° gennaio 1848. Aut. Archivio Ricordi: LLET003092.                            

[15] Vedi M. De Angelis, Le carte dell’Impresario pp. 256-266.

[16] Lettera di G. Pacini a G. Ricordi, 7 marzo 1846. Aut. Archivio Ricordi: LLET003074.

[17] G. Verdi, Alzira, Napoli, San Carlo, 12 agosto 1845.                           

[18] Risposta di G.B. Correr al conte A. Mocenigo. ASFV, scat. Spettacoli, 1842-1844, Venezia, 1° maggio 1843.

[20] M. Viale Ferrero, Da «Norma» a «Attila»: scene del Teatro Regio di Torino durante il regno di Carlo Alberto. Convegno Il melodramma romantico in Italia, 17 settembre 1977. In Opera & Libretto I, Firenze, Olschki, 1990, p. 171.

[21] F. Guidi, Ester d’Engaddi, Fratelli Favale ed., Torino, Teatro Regio, 1° febbraio 1848.

[22] F. Guidi, Ester d’Engaddi, III,1.

[23] Ivi, IV, 5.

[24] Dal Figaro, 11 febbraio 1848.

[25] Lettera di G. Pacini a G. Ricordi, 26/12/1848. Aut. Archivio Ricordi: LLET003102

[26] Lettera di G. Pacini a G. Ricordi, 15/2/1849. Aut. Archivio Ricordi: LLET003103

[27] M. Albini (1807-1849).


GABRIELLA MINARINI

BIONOTA 

Gabriella Minarini ha fondato e diretto l’Atelier della Voce di Firenze per cantanti e musicisti.

Laureatasi a Firenze con Stefano Mazzoni con una tesi su L’allestimento di “Attila” a La Fenice – Venezia 17 marzo 1846 – ha portato avanti la sua ricerca sul teatro di Verdi e su quello di Pacini (con varie pubblicazioni). 

Attualmente è impegnata in una ricerca sul Carteggio di Giovanni Pacini con il Teatro la Fenice di  Venezia.

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