La felicità dei pistilli (inediti) di Elisabetta Santini (POESIA) - TeclaXXI
POESIA
ELISABETTA SANTINI
inediti da La feliticà dei pistilli
Mi sveglio, una vestaglia
il confine della
pelle
con meraviglia la
testa
sgombra da me
stessa
il viaggio con le
ciabatte verde
lucerna
dal letto alla
cucina
un filo di luce
su ore da convincere
piano
Ricordarsi che
l’identità della casa
non è disgiunta
dalle linee del
mio mosso andare
tra gli scalini
l'inclinazione
dell’asse della
terra
i ventitré gradi
perpendicolari
al piano di
cottura
*
Tra la cucina e l'infinito
L’odore sparso del
caffè, il latte
il sole delle otto
sulle mareggiate
della notte
da marinaio
esperto tocco
la cima della
tazza, l’orlo
del tovagliolo,
nel piattino
lo zucchero a velo
e nel Finisterre
del salotto
il libro con la
formula a stordire
la velocità è una proprietà di un corpo
rispetto a un altro corpo, una quantità relativa
devo verificare i
minuti indispensabili
dalla cucina alla
camera da letto
perché la terra
già si muove
mentre finisco
colazione
la Photinia del
terrazzo intanto
ha il fremito di
levarsi
dalla gravità del
mondo
fino alle
evanescenze di cicale
*
Tutto si tiene in bilico
le arcate delle
chiese
le bifore, le
mandorle dei ponti
a est la materia
del mattino
racconta uno
scampato
pericolo perenne
e infila il gambo
di una viola nel
vaso
L’inizio del
giorno
nel digiuno
per le ore
mangiate nella notte
il fraseggio sui
piatti sporchi
nei barattoli
aperti
il mozzicone di
una frase
nomi disfatti nel
sugo
Le parole
dell’alba che tradiscono
il tutto da
bilanciare
col viavai della
strada
sotto una galassia
a spirale
preferibilmente
entro il fine vita
*
Anni
Eppure c’erano gli
anni alberi
del fresco tra le
foglie
le gemme appena
scosse e
un vestito di
perline, la sottoveste
a chioma per
trattenere abbracci
Sempre
un’etichetta chiara
sul risvolto della
giacca
e il cartellino
che indicava
la qualità dei
tessuti, il gabardine
la seta, la lana
pettinata
per contenere geometrie sghembe
ai confini del
mondo
relegate
*
Nello stesso punto
Le barchette di
carta stagnola
le lische di pesce
nei piatti
i fichi neri,
grandi occhi
sulla tavola
immensa
i musicisti che se
ne andavano a uno a uno
la partenza
nei volti
disperati dei santi, o erano gli sposi?
davano il tempo
due antenne di
gelatina
di una chiocciola
sul prato
*
Ogni casa è sagoma di terra e aria
Gli angoli
convessi
incorniciano le
guarigioni
le giravolte che
ha fatto nell’altra vita
le porte aperte da
sbattere nel vento
gli incubi nelle
grondaie del ventre
nel nervo teso
che non porta più
corrente
un’ombra che fa
rasenti al muro
e una grazia da
chiedere
per la coordinata
cartesiana
che lì sul muro
non trova più il
suo asse verticale
*
Ancora vivo il silenzio
La casa avvolta
dall’edera perenne
la finestra un quadrato
con l’aria che si agita
tra i mobili quieti
la stringono al collo
tralci di Ipomoea sapiente
un futuro inconsapevole
diventato fossile per noi
per tutti i gesti dimenticati
dentro
l’impronta calda dello slancio
solo nelle foglie
*
Eden per procura
Vivaio continente,
nursery sconfinata
anime gemelle in
fila indiana
rettilinei
perfetti
al centimetro
studiati
ottomila soldati
al filo della terra
clonati,
all’abbevero di acque
invisibili misture
per una bellezza a
posteriori
Vene tenere di
foglie, piantine
nel magma dei
germogli
nella culla di
falde sotterranee
a ridere di noi
che le crediamo verdi
di pazienza e
clorofilla
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