ESERCIZI DI LINEA (politica) - di Marco Cignetti - II PARTE (NARRATIVA) - TeclaXXI
NARRATIVA
Marco Cignetti
ESERCIZI DI LINEA (politica)
PARTE SECONDA*
Gianpaolo fece scorrere il file fino all’inizio e iniziò a leggere quanto
scritto dalla sorella.
Destra e sinistra, distinzioni superate?
Un sorriso gli disegnò la bocca.
Sua sorella aveva sempre avuto una predilezione per i punti interrogativi.
Tanto era lineare nelle sue faccende personali e nella vita quotidiana, tanto
era problematica dal punto di vista intellettuale. Un giorno l’aveva presa in
giro, le aveva detto che il suo motto sembrava essere “dubito, ergo sum”. Non se l’era presa, forse l’aveva considerato un
complimento. D’altra parte era un’insegnante di filosofia, non un’operatrice di
borsa…
Proseguì nella lettura.
La storia di ogni società esistita fino a questo
momento è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni
e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori
e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta
ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una
trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle
classi in lotta.
La società
sorta dal tramonto di quella feudale non ha eliminato gli antagonismi fra le
classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove
condizioni di oppressione, nuove forme di lotta. L'epoca della borghesia, si
distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe.
L'intera società si è scissa sempre più in due grandi campi nemici, in due
grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e
proletariato.
Fin qui, nulla
di nuovo sotto il sole, pensò.
Questo
scrivevano Carl Marx e Friedrich Engels nel 1848.
Chiediamoci:
è ancora così, almeno nelle sue linee essenziali?
L’epoca contemporanea, quella caratterizzata
dalla globalizzazione, dal diffondersi delle nuove tecnologie, e
–nell’occidente capitalistico- dal declino industriale e dalla crescita del
terziario, sembra manifestare un ritorno al passato: le semplificazioni negli
antagonismi di classe dell’epoca della vincente borghesia vengono meno, e tutto
pare più articolato, intricato, complicato.
In sintesi, a molti è sembrato che questi
cambiamenti degli ultimi decenni abbiano modificato a loro volta la dinamica
sociale, al punto da rendere superate le dicotomie tradizionali: sfruttati /
sfruttatori, padroni / operai, capitale / lavoro, non sono più considerate le
polarità essenziali, quelle più importanti.
I nostri tempi sembrano elargire opportunità e
possibilità a tutti e a piene mani, basta saperle cogliere: dai nuovi campioni
della finanza creativa, nuovi self made men della “Milano da bere”, ai giovani
ingegneri che hanno iniziato in uno scantinato della Silicon Valley e sono poi
diventati leaders di grandi multinazionali. Tutto questo sembra
dimostrare che se non siamo alla fine della storia, certamente siamo alla fine
della lotta di classe, e di conseguenza, che la distinzione tradizionale fra
destra e sinistra non è più fondamentale.
Ma stanno proprio così le cose? Questo
discorso della fine delle categorie tradizionali della politica, non sembra una
minestra riscaldata, o –peggio- una narrazione della realtà profondamente
intrisa di ideologia?
Se non si guarda solo alle meravigliose
opportunità offerte dal mondo moderno (opportunità che nella realtà possono
essere colte da una ristrettissima minoranza), cosa si vede?
Si vedono le tonnellate di rifiuti –anche di
cellulari e vecchi computers- che in Africa e in Cina le persone devono
separare fra miasmi di fumi acidi.
Si vedono i ragazzi delle periferie, che
invece di fare gli operai nelle fabbriche (che non ci sono più) consegnano le
pizze in bicicletta con un sistema simile al cottimo di 50 anni fa.
Si vedono i pochi operai di mestiere rimasti,
carpentieri, saldatori e addetti macchina, che portano a casa uno stipendio di
850 € al mese.
Si vedono quei lavoratori del terziario
“avanzato” che imballano e smistano merci, oggi controllati da telecamere e
forse domani da un algoritmo collegato ad un braccialetto.
Queste
realtà ci devono far capire che non siamo alla fine della distinzione fra
destra e sinistra, ma che il confine si è spostato, che si sono modificati i
termini dei problemi. Non c’è più una “classe” generale a rappresentare gli
interessi della collettività, non ci sono più la borghesia e il proletariato
dei tempi di Marx, ma ci sono ancora polarità e contraddizioni. A volte sono
drammatiche e trasversali.
La contraddizione fra lavoro e ambiente è
reale: Taranto insegna, ma l’Acna di Cengio aveva già insegnato molte cose 20
anni fa, a chi le voleva imparare! Lo
sfruttamento esiste ancora, così come ancora esiste il rischio di guerre
rovinose, magari commerciali e non militari, ma anch’esse rovinose.
Non c’è più una “classe generale”, è vero, ma
non c’è più (e non c’è ancora) una elaborazione teorica all’altezza dei
problemi dell’oggi. Lenin diceva: “Senza teoria, niente azione rivoluzionaria”.
Oggi non è certo all’ordine del giorno una rivoluzione come quelle dei secoli
scorsi, ma manca un nocciolo duro, mancano idee-guida per un’azione politica
realmente progressista, capace di dare risposte: dal lavoro che manca per i
giovani, alla difficoltà di mandare pensione chi ne ha l’età (anche questa sembra
una contraddizione irrisolvibile); dal fenomeno nuovo dei flussi migratori al
cambiamento del clima; dalla ripresa dell’economia all’impoverimento delle
classi medie, alla polarizzazione dei redditi e delle ricchezze.
Per governare questi processi, occorre
innanzitutto un progetto di società e una classe dirigente per realizzarlo. Una
classe dirigente che impari dai propri errori (che pure potranno esserci), che
sappia portare a sintesi visioni anche diverse, e questo non può che avvenire
in un partito o in una federazione di partiti, rispettosa delle differenze, ma
che quando deve decidere, decida.
Non deve più capitare che la politica decide
di non decidere, che un ex segretario di un importante partito, appena
dimessosi dopo un filotto di risultati elettorali negativi, cerchi di fondare
un nuovo partito.
E poi, agli elettori delusi che hanno smesso
di andare a votare, possiamo forse dire: Siamo divisi su tutto, ma l’importante
è che non vinca la destra?” Non è forse una posizione debole?
Troppi punti interrogativi, come
sempre… pensò Gianpaolo.
Rilesse le ultime frasi, che gli
parvero azzeccate, ma frettolose. La parola “filotto” stonava, però gli ricordò
con nostalgia la loro giovinezza, quando aveva provato a insegnare a sua
sorella a giocare a biliardo. “Deve averla scritta mentre Chicco già saliva le
scale, i gradini a due a due!” concluse maliziosamente.
Sentì dei rumori dal piano di
sopra, chiuse il portatile e riprese con noncuranza ad armeggiare con la
bottiglia di nebbiolo.
* * * * *
Il pranzo fu gradevole, le
chiacchiere cordiali, con una vena di ironia verso il mondo e il loro paese.
Qualche pettegolezzo, qualche ragionamento sulla situazione politica nazionale,
qualche timore sul futuro.
Finito il secondo, Sandra chiese
ai due uomini se desideravano qualcos’altro. Con un cenno, Enrico fece capire
di essere a posto; Gianpaolo chiese se c’era ancora qualcosa, magari anche solo
della minestra, “anche riscaldata, con questo freddo andrebbe proprio bene”
aggiunse con un tono che la insospettì; Enrico, che non aveva ancora letto il
testo di Sandra, riprese il discorso da poco interrotto.
«Secondo me, questo governo
Lega-5 Stelle durerà poco, non riusciranno a raggiungere tutti gli obiettivi
previsti, hanno troppe contraddizioni interne».
“Anch’io la vedo così» intervenne
Sandra, che non aveva ancora superato la delusione per il risultato delle
elezioni di marzo.
“Certo, siamo in un momento di
grande confusione – intervenne Gianpaolo. I partiti hanno a riferimento gruppi
sociali fra loro in contrasto, non sempre rappresentano interessi trasparenti,
non sempre si capisce quali sono i riferimenti culturali e ideali dei nostri
dirigenti, oggi la Confindustria, domani i riders e i ragazzi dei lavoretti…»
“Tu ragioni secondo schemi superati – replicò
Enrico. – Non dico che dici cose sbagliate, ma se resti intrappolato nei tuoi
schemi di conflitto sociale, non vedi la strada per tornare al governo del
paese.
«Non credo che una santa alleanza
fra i civilizzati sia la strada giusta per tornare al governo del paese, se poi
governare significa dialogare solo con la Confindustria e non con il sindacato…»
«Non vale, hai
letto i nostri pezzi!» esclamarono in coro Enrico e Sandra, che nel frattempo
aveva capito il riferimento alla “minestra riscaldata”.»
«Sì, li ho letti. A questo punto,
però, raccontatemi come è che siete arrivati a scrivere quello che ho letto!»
E così gli raccontarono della
provocazione dei loro amici della sera precedente.
«Adesso tocca a te dirci come la
pensi!» esclamò Sandra
«Lasciamo perdere, darà ragione a te, sicuramente!»
L’espressione di Enrico era delusa.
«No, cercherò di essere
obiettivo. Non discuto i contenuti, sono molto più vicino a quanto sostiene mia
sorella, è ovvio. Ma non è questo il punto» disse rivolto a Enrico.
«E qual è, allora?»
«Che i partiti, almeno quelli
dello schieramento… diciamo così… “progressista”, dovrebbero discutere sui temi
che voi avete messo al centro dei vostri scritti, invece si dividono - anche al
loro interno - principalmente su questioni di potere; il dibattito politico per
ora tratta poco delle diverse visioni strategiche, e i media si concentrano sui
giochetti fra gruppi e correnti. Che ci siano giochetti e riposizionamenti in
una fase così fluida, c’è da aspettarselo; non deve essere la cosa principale.»
«Dovremmo metterci noi alla guida
di una coalizione!» esclamò Sandra schioccando un bacio a Enrico.
Gianpaolo sollevò il bicchiere in
un brindisi, che sembrava di augurio
«Già, così la base è sicura
dell’inciucio», concluse fra le risate degli altri due.
«Perché non scrivi anche tu
qualcosa» chiese Sandra.
«Perché quello che penso,
grossomodo lo hai già scritto tu. L’unica cosa è che anche se non mi piace,
quella di Enrico è una teoria che funziona, è uno schema per l’azione, dà un
senso di compiutezza. La tua – la nostra - in realtà è incompleta, gliene manca
un pezzo.»
«Senza teoria…» Sandra lasciò la
frase volutamente in sospeso. “Io sento molto questo bisogno di una teoria
compiuta, di un “nuovo” Manifesto, per la mia attività politica. Comunque, è un
momento interessante, qualcosa potrebbe cambiare. Sai come intendo concludere
il mio scritto? Che è molto più entusiasmante partecipare ad un periodo di
grande cambiamento, piuttosto che scrivere su di esso!» (3)
Un panettone e una bottiglia di moscato posero momentaneamente fine alle
loro schermaglie.
FINE
* La prima parte è stata pubblicata il 12 luglio 2024
NOTE
(1)
Il
titolo è una citazione del testo di R. Queneau Esercizi di stile. Una
raccolta di 100 testi molto brevi (una ventina di righe), che narrano il
medesimo episodio in 100 diversi stili. Qui, l’esercizio è svolto
secondo due punti di vista.
(2)
Marx
utilizza il concetto di “filo conduttore” nello scritto: Per la critica
dell’economia politica.
(3)
È
la parafrasi di una frase di Lenin, riferita (ovviamente) alla Rivoluzione.
Vorrebbe scrivere e girare il mondo, prima che sia il mondo a dare il giro.
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