L'ARCANA MORTE DI ALESSANDRO MAGNO - di Romain Iovinelli (storia) - TeclaXXI
STORIA
L'arcana morte di Alessandro Magno
di Romain Iovinelli
Forse, proprio in quel momento, dopo la sua più grande vittoria, prima dei tradimenti iniziali, degli intrighi di corte, dei malumori dei suoi generali, della perdita dei suoi amici e compagni più stretti, Alessandro credette realmente che il suo sogno, la sua visione di un impero che si estendesse dalla Macedonia ai confini dell’estremo Oriente, potesse essere realizzabile. Fu soltanto una chimera: non sapremo mai fino a che punto Alessandro avesse creduto alla fattibilità di tale impresa. Sappiamo soltanto che, fino all’ultimo, cercò con ogni forza e mezzo di realizzare l’impossibile.
Prima di raccontare le circostanze
che lo portarono alla morte e le varie teorie che nei secoli hanno cercato di
riportare alla luce le probabili cause del suo decesso, bisognerebbe spiegare
chi o cosa rappresentò Alessandro per il mondo ellenico (e non solo).
Innanzitutto, fu un audace
guerriero e un prode comandante che combatteva sempre in prima linea al fianco
dei propri uomini. Caratteristica non da poco che non va sminuita: anche
condottieri e conquistatori del calibro di Giulio Cesare e Napoleone, che fortemente
cercarono di imitarne le gesta e la grandezza, non combatterono mai nelle prime
linee dei propri eserciti. Al contrario il fatto che Alessandro condividesse
ogni tipo di ferita inflitta da frecce, lance, spade o mazze, gli consentì di
ottenere una stima e una fiducia senza precedenti da parte del proprio
esercito.
Oltre che impavido, Alessandro
sapeva essere un grande motivatore. In qualche modo, riusciva sempre a spronare
le sue truppe a dare di più, a non accontentarsi delle vittorie ottenute.
Comunque sia, riusciva sempre a convincerle, anche quando, verso la fine delle
sue conquiste, più di una volta, proprio il suo esercito fu sul punto di
ammutinarsi. Alessandro sapeva sempre come toccare le giuste corde, ma
soprattutto, conoscendo il carattere dei suoi soldati, sapeva come e quando
lusingarli, ricompensarli, e concedere loro un periodo di riposo, una tregua.
Prescindendo dalle sue
indiscutibili doti di leader, il genio bellico e l’audacia, il suo maggior
pregio (ma al contempo difetto) fu nutrire un’inestinguibile ambizione.
Qualsiasi altro uomo con un curriculum di vittorie del calibro di Granico,
Isso, Tiro, Gaugamela, avrebbe deciso di vivere di rendita per il resto dei
suoi giorni.
Per Alessandro va però fatto un
discorso diverso, anche se quando pensiamo alla sua figura non ci verrebbe mai
in mente di catalogarlo tra i più grandi statisti dell’antichità. Questo
giudizio è fondato principalmente sulla rapida disgregazione del suo impero
poco tempo dopo la sua morte. Saper conquistare e saper governare sono due cose
ben diverse. Che Alessandro avesse in mente di impadronirsi di tutto il mondo
conosciuto dai Greci, non è un segreto. Prima che si spegnesse, desiderava
conquistare l’Arabia, e poi volgere il suo sguardo a Occidente per
impossessarsi del litorale mediterraneo fino allo Stretto di Gibilterra. E
forse, solo allora, si sarebbe seduto sul suo trono e avrebbe provato a
governare quel vasto, vastissimo impero, che aveva conquistato in un lampo.
Ma come trascorse il suo ultimo
periodo di vita? Un uomo che possedeva tutto, che aveva visto e conquistato
tutto, senza mai essere sconfitto, si sarebbe potuto ritenere soddisfatto.
Alessandro invece passò gli ultimi mesi della sua vita a guardarsi le spalle.
Il suo soggiorno a Babilonia fu “forzato”: dopo la campagna in India,
l’esercito di Alessandro era stanco. Stanco di rischiare la vita così lontano
da casa (le truppe macedoni venivano da dodici anni di guerra), stanco di
vedere come il suo Re stesse promuovendo nelle proprie gerarchie le reclute
persiane. Quei “barbari” andavano inesorabilmente a integrare le fila
dell’esercito, che ben presto di macedone avrebbe avuto solo il nome.
Alessandro cominciò a divenire sempre più paranoico, dubitando non solo della
fedeltà delle proprie truppe, ma anche di quella dei suoi generali.
Probabilmente i vari Tolomeo, Perdicca, Cratero, Antigono, per non parlare di
altri, cominciavano a coltivare il proprio sogno di grandezza: diventare a loro
volta Re. Forse l’intraprendenza e la brama di gloria di Alessandro li aveva
contagiati, o forse anch’essi temevano di essere “licenziati” dal loro Re.
Bisogna aggiungere che ormai,
allora, Alessandro era un lontano parente del condottiero accolto in maniera
trionfale a Babilonia nel decennio precedente.
La perdita del suo compagno di
innumerevoli battaglie, il cavallo Bucefalo, e quella del suo miglior amico,
Efestione (morto in circostanze sospette), infatti, lo avevano profondamente
scosso. Furono probabilmente queste due gravi perdite a spingere Alessandro ad
abbandonarsi ai piaceri di Babilonia. Per tutta la sua vita, cercò di resistere
ai piaceri della carne (nonostante le innumerevoli mogli), e a rapporti
“altri”, come si vociferava. Alessandro seppe mantenere un grande autocontrollo
su sé stesso. Tutto ciò mutò una volta rientrato a Babilonia. Nel 323 a.C., la
situazione era in stand-by: Alessandro decise di darsi alla pazza gioia. Era
noto che già all’epoca si organizzassero banchetti in cui si beveva e
gozzovigliava fino allo sfinimento. Ecco, una delle cause della sua morte da
non escludere, è l’intento di autodistruzione messo in atto da Alessandro,
bevendo senza ritegno. Tra i greci, era usanza aggiungere parecchia acqua al
proprio vino: solo i barbari lo bevevano senza allungarlo. Stando allo storico
Erodoto, la pratica di bersi un vino schietto poteva portare alla pazzia. Sia
stato proprio questo il grande errore di Alessandro? Bere senza darsi un
limite? Forse. Sta di fatto che per giorni e giorni fu invitato a una serie di
banchetti, senza mai riposarsi, Alessandro vi partecipò a qualsiasi ora:
mattina e sera. Ed è qui che volevamo arrivare. Due degli storici che ci
raccontano la vita di Alessandro, Diodoro e Arriano, ci raccontano nei
particolari il susseguirsi degli ultimi giorni del Re macedone.
Secondo loro, l’inizio della fine
sarebbe avvenuto quando, durante l’ennesima festa, Alessandro avrebbe deciso di
bersi il contenuto di una grandissima coppa di vino, tutto d’un fiato. Poco
dopo essersi scolato la bevanda, avrebbe accusato una fitta lancinante al
fianco, sancendo così il processo della sua morte. Da qui, in particolar modo
Arriano, ci spiega come nell’arco di dieci giorni la sua condizione si fosse
aggravata sempre di più. Arriano ci racconta come, nonostante le sue condizioni
andassero sempre più deteriorandosi, Alessandro fosse ancora in grado di
partecipare alle riunioni con i suoi ufficiali per le spedizioni successive.
Certo, la sua mobilità era limitata, tant’è che girava in lettiga; tuttavia,
riusciva a mantenere un contatto con la realtà. Il problema vero e proprio fu
la febbre altissima, che aumentava giorno dopo giorno. A nulla servirono i
frequenti bagni che faceva per abbassare la temperatura (pratica molto diffusa
nell’antichità). Il clima esterno, poi, non era certo d’aiuto. Babilonia, che
si trovava a 80 km di distanza dell’odierna Baghdad, registrava temperature che
facilmente superavano i 40° all’ombra. Al settimo giorno, la situazione
precipitò: Alessandro riusciva a stento a muoversi e a parlare. Come accade
tuttora quando la medicina fallisce, alcuni si affidano a un improbabile
miracolo, a un intervento divino. Ma a ben poco servirono gli innumerevoli
sacrifici offerti nei templi in suo onore. Passò gli ultimi due giorni
allettato, impossibilitato a parlare e a muoversi. Gli fecero visita i suoi
ufficiali, i suoi soldati, molti tra loro con le lacrime agli occhi, consci che
ormai la fine era prossima. La notte tra il dieci e l’undici giugno, Alessandro
morì.
Ed è qui che il parere degli
storici, ricercatori, studiosi e medici si divide. Esistono varie teorie,
alcune assai possibili, altre assolutamente improbabili. Veniamo alla prima
ipotesi: Alessandro fu avvelenato. Ipotesi non da escludere, anche se paradossalmente
viene considerata la più improbabile. Alessandro era sfuggito a ben due
congiure, due attentati alla sua vita. Già in passato avevano tentato di
avvelenarlo. Si presuppone che avesse adottato una qualche contromisura per
evitare il ripetersi di simili eventi. Inoltre, considerando il livello di
paranoia di Alessandro, soprattutto durante l’ultimo periodo, era assai
improbabile coglierlo alla sprovvista. Senza contare che la maggior parte dei
veleni dell’epoca aveva un effetto immediato.
La seconda ipotesi ci dice che
Alessandro avesse contratto una forma di malaria perniciosa mentre si muoveva
tra le paludi dell’Asia durante le sue campagne. Ma se così fosse, come mai
nessuno dei suoi compagni ne fu affetto? E, nel caso, come mai la malattia
impiegò anni per ucciderlo? Forse questa ipotesi si appoggia soprattutto sulla
febbre altissima di Alessandro e sul fatto che di sicuro la malaria già
circolava. Una terza ipotesi, formulata dal dottor J. S. Marr del Department of
Health di Richmond, Virginia (USA), cita Plutarco, raccontando un’epidemia che
circolava durante le campagne di Alessandro, una malaria veicolata dagli
uccelli, cioè un virus aviario – inizialmente trasmesso dalle zanzare –, in
grado di causare nell’uomo una febbre altissima, responsabile prima della
perdita della vista e della parola, poi di uno stato di coma precedente alla
morte finale. Questa teoria è assai più convincente delle altre, ma non del
tutto: anche qui, come mai non ci sono altri casi riportati? Possibile che Alessandro
sia stato l’unico contaminato da questo virus?
Recentemente è emersa una nuova
teoria che forse si avvicina di più a quella che fu la probabile causa del
decesso del condottiero macedone. L’ipotesi più plausibile, stando a C. N.
Sbarounis dell’Hippokration Hospital di Salonicco, è quella di una pancreatite
acuta. Se rileggiamo i testi precedentemente ricordati, sappiamo che Alessandro
ha sentito una fitta dolorosa dopo aver bevuto tutto quel vino schietto nella
“coppa di Eracle”. Un sintomo analogo è riscontrato e descritto in pazienti
affetti da pancreatite acuta. Stando all’analisi di Sbarounis:
Già stimolato
all’eccesso nell’attività enzimatica a quel punto il pancreas si liquefa e il
succo pancreatico anziché riversarsi nel duodeno si spande nella cavità
peritoneale e la aggredisce. Ecco il dolore lancinante come un ferro di lancia
che penetra nella carne. La percezione del dolore alla schiena è spiegabile con
il fatto che il pancreas ha collocazione retroperitoneale e quindi il dolore
viene percepito più verso la schiena che verso la parete anteriore dell’addome.
La conseguenza quasi immediata è quella di una peritonite acuta, ma poi, con il
passare dei giorni, gli enzimi del pancreas attaccano anche l’intestino
perforandolo, sicché il suo contenuto si versa nella cavità addominale
provocando una infezione devastante da cui la febbre altissima che non gli dà
mai tregua. Alla fine, la perdita della parola, il coma e la morte.
Non potremo mai esserne certi, ma
di tutte le varie ipotesi, questa è di gran lunga quella più credibile,
soprattutto se decidiamo di affidarci alle fonti storiche e al dettagliato
resoconto dell’aggravarsi della sua condizione prima della fine. Per citare uno
studioso inglese, W. W. Tarn, che ha espresso il suo parere sull’evento: «Alla
fine morì di una malattia che avrebbe potuto risparmiarlo se lui avesse saputo
mai risparmiare sé stesso».
In conclusione, morire al culmine
della gloria, ha di fatto creato il mito, tramandato una leggenda. La sua
immagine di invincibilità non ha subito quei ridimensionamenti che sarebbero
seguiti a eventuali successivi fallimenti. Come dice lo storico Arriano, «Forse
fu per lui la miglior fortuna morire in pieno apogeo della sua fama e con la
stima generale di tutti i suoi uomini, prima che su di lui cadesse qualche
disgrazia umana».
Alessandro che nella sua vita
cercò, come meglio poté, di emulare le gesta del suo antenato Achille, l’eroe
omerico per antonomasia, preferì anch’egli una vita breve ma ricca di fama e di
gloria eterna a una lunga vita oscura e anonima.
Fonti:
AA.VV., Alessandro il
Conquistatore, RBA Italia, Milano 2018.
MANFREDI, Valerio Massimo, La
tomba di Alessandro. L’enigma, Mondadori, Milano 2009 (poi Oscar Mondadori,
2017).
Flavio Arriano, Anabasi di
Alessandro, BUR, Milano 1994.
BIONOTA
Nato a Roma, ha vissuto in Croazia, Francia, Inghilterra e Marocco. Si è diplomato al liceo americano di St.-Cloud e si è laureato come assistente alla regia presso il CLCF a Parigi.
È laureato altresì in lingue e letterature moderne in Italia, con una tesi in angloamericana su Ulysses S. Grant.
A parte i suoi interessi storici, è trilingue e maratoneta. Ha creato il Marco Aurelio Project.
BRAVO ROMAIN!F.L
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