Giuditta e Oloferne, tre opere a confronto: Mostra a Venaria ~ di Riccardino Massa (EVENTI) - TeclaXXI
EVENTI
Riccardino
Massa
Giuditta
e Oloferne, tre opere a confronto
“Da Reggia a Museo, Capodimonte in mostra a Venaria”
4 giugno – 15 settembre, Sala delle Arti della Reggia di Venaria
Nell’anno dodicesimo di regno di Nabucodonosor, che regnò sugli Assiri nella grande città di Ninive... Inizia così il capitolo biblico che tra i libri storici ci regala il significativo racconto dell’eroina che liberò dall’oppressione il popolo di Dio minacciato. Così, questo racconto scritto all’epoca dei Maccabei (verso il II secolo a.C.) diventò tela oppure affresco per grandi artisti che hanno accompagnato la Storia dell’Arte prima italiana e poi europea.
Essi sono: Donatello,
Vasari, Botticelli, Giorgione, Mantegna e lo stesso Michelangelo in uno dei quattro
pennacchi della Cappella Sistina (gli altri tre sono dedicati alla punizione di
Aman, al serpente di bronzo ed a David contro Golia) e sempre dello stesso
autore quella esposta alla Galleria degli Uffizi di Firenze. E poi su, ancora
nei secoli a divenire fino con la famosa opera sensualizzata di Klimt e sempre
nel ‘900 quella di Franz Von Stuck (1927). Tutti hanno preso spunto dal
racconto biblico per fornirci le loro opere d’arte.
Tralasciando per una volta il binomio più famoso, quello dipinto da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1602, Palazzo Barberini, Roma), mi sono soffermato a
lungo a guardare le tre opere che sono state esibite insieme nella stessa
sala dell’esposizione che la Reggia di Veneria (Torino) ospita dal 29 marzo al
15 settembre 2024 intitolata “Capodimonte da Reggia a Museo”. Una messa
a confronto di tre tele che ci declinano tre Giuditta e Oloferne completamente diverse, entrambe realizzate nella prima metà del ‘600.
Il
primo Giuditta e Oloferne è un olio su tela del 1637 di Pietro Novelli (il
Monrealese), dove il personaggio biblico volge lo sguardo da altra parte mentre
va ad inferire sulla sua vittima in una sorta di pudore forse dovuto al senso
di colpa per aver mentito ad Oloferne facendosi credere sua umile serva e,
mentendo, aver peccato nei confronti del suo Dio. Giuditta gli rispose:
Degnati accogliere le parole della tua serva… non pronuncerò menzogna in questa
notte al mio signore…….Viva, si, Nabucodonosor nei suoi progetti. (Giuditta
11,5). Oppure perché ancora si sta rivolgendo al Signore con le sue parole:
Dammi forza, o Signore, Dio di Israele, in questo giorno. (Giuditta 13, 7)
Il secondo quadro è di Artemisia Gentileschi Giuditta che decapita Oloferne. Un olio su tela datato 1612-1613, dove il personaggio biblico, a differenza del precedente quadro, ha lo sguardo ben rivolto verso la sua vittima, aiutata dalla sua ancella, presente come nel primo quadro, ma che questa volta non più spettatrice, bensì complice del delitto. In questa tela l’omicidio è consapevolmente alimentato da un odio nei confronti dell’usurpatore, quasi a rappresentare in modo cruento il desiderio vendicatore della donna stuprata con delirio drammatico. Sta a ricordarci come fu la stessa Gentileschi abusata dal pittore Agostino Tassi, nel periodo che con il padre di Artemisia, Orazio Gentileschi, stava lavorando alla decorazione della loggia del Casino delle Muse in palazzo Rospigliosi Pallavicini di Roma.
Il terzo dipinto, quello di Mattia Preti (Taverna, 1613 – La Valletta -Malta 1699), realizzato in epoca non ben definita (chi dice 1613-1614, chi invece lo data verso il 1653 visto che la prima nota biografica del quadro appare nel testamento del 1659 dell’avvocato calabrese Domenico Di Somma), è anch’esso un olio su tela.
Qui
lo sguardo di Giuditta appare estatico, lei ha tra le mani il capo mozzato di Oloferne,
quasi a voler offrire al suo Dio l’oggetto del suo sacrificio, avendo lei
compiuto il peccato più grave: Non ucciderai (Esodo, Il Decalogo 20,13). Giuditta
appare ormai sola. L’ancella è solo un contorno del quadro e si appresta a
raccogliere dalle sue mani la testa recisa dell’usurpatore.
Se
i pittori avessero seguito pedissequamente il dettato bilico, la figura
dell’ancella non sarebbe mai dovuta apparire: Giuditta aveva detto alla sua
ancella di stare fuori della camera e di attendere la sua uscita secondo la sua
abitudine giornaliera………Tutti si erano allontanati dalla loro presenza e
nessuno, ne grande ne piccolo, era rimasto nella camera. (Giuditta 13, 3-4).
Ciò non è stato, i pittori rappresentano l’ancella e dobbiamo chiederci il perché.
La figura di una donna che decapita un uomo potrebbe essere confusa con la decapitazione di Giovanni il Battista da parte di Salomè: La figlia di Erodiade danzò in pubblico e piacque tanto ad Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista… (Vangelo secondo Matteo 14, 6-8). L’analogia del taglio della testa poteva portare a una confusione sulla descrizione del quadro, quindi, la presenza di un'ancella che accompagna la protagonista nel libro di Giuditta determinò la sua rappresentazione nell’iconografia artistica del tempo.
RICCARDINO MASSA
Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.
Fa molto piacere conoscere risvolti storici e artistici normalmente si guarda la bellezza di un dipinto ma non si ha la capacità di approfondire...grazie RICCARDINO... ciao...
RispondiEliminaGrande Riccardino,sempre at malora!
RispondiEliminaComplimenti.
Renza G.Piana Savio