Mythos e Logos alla ricerca della conoscenza ~ di Renato Proietti (PSICOLINGUISTICA) - TeclaXXI
Mythos e Logos alla ricerca della conoscenza
di Renato Proietti
Le frecce di Apollo spargono la pestilenza nel campo acheo: il dio è offeso dal brutale trattamento riservato alla figlia del suo sacerdote Crise, ridotta in prigionia da Agamennone. In un drammatico crescendo di acrimonia Agamennone, esortato da Achille a restituire Criseide al padre per placare l’ira del figlio di Zeus, risponde che sì, restituirà la figlia a Crise, ma pretende come risarcimento un’altra prigioniera che deve essere quella di un altro eroe a lui pari per grado e impegno: quella di Aiace, quella di Ulisse… “o pur anco la tua”.
Sale l’ira nel petto di Achille: “Anima
invereconda, anima avara…”. Ricordando che non arrivò sotto le mura per
odio dei Troiani, ma per l’onore del fratello Menelao, minaccia Agamennone di
lasciare la guerra e tornarsene “alla feconda e popolosa Ftia” qualora
toccasse a Briseide essere la ricompensa per la rinuncia: ma Agamennone insiste
e lo oltraggia, trattandolo da codardo e arrivando alla sfida estrema: sarà lui
stesso a recarsi alla sua tenda per sottrargli il frutto delle sue fatiche, “onde
t’avvegga quant’io t’avanzo di possanza “
La mano di Achille, “fra lo sdegno
ondeggiando e la ragione l’agitato pensier”, corre alla spada… ma
improvvisamente Era, che tutti e due gli eroi ha cari, spedisce sulla scena
Atena, dea dagli occhi fiammeggianti: non frenare la tua ira Achille, ma non
fartene travolgere. “Or via, ti calma, né trar brando e solo/ di parole
contendi “. La dea, solo a lui visibile, lo calma, lo invita a “gestire”
(come diremmo oggi) la rabbia… e lo fa parlandogli!!!
Benché il cuore mi arda d’ira a forza
seguo il tuo consiglio, o diva! Ai numi è caro chi dei numi al voler piega la
fronte… e si rivolge così ad Agamennone:
“Ebbro! Cane agli sguardi e cervo al
core (…) Stagion verrà che negli Achei si svegli / desiderio d’Achille, e tu
salvarli, /misero! non potrai, quando la spada / dell’omicida Ettòr farà
vermigli / di larga strage i campi “.
* * *
“Non mi conviene sfidarlo e ammazzarlo
adesso… una frattura simile nel nostro campo ci porterebbe sicuramente alla disfatta.
Ed Elena, che il cognato ha voluto elevare a casus belli, rimarrebbe tra le
braccia del bel Paride… e soprattutto tutti gli interessi economici nell’Asia
Minore, che riguardano anche me, andrebbero a rotoli… no, meglio mettere in
evidenza il fatto che il suo narcisismo gli fa vivere come un’offesa il
restituire Criseide, e che si rode d’invidia per me che sono il più forte dei
Greci. E sa bene che senza di me ha ben poche speranze contro Ettore!
No, non me ne vado. I Greci mi dovranno
chiedere aiuto, e solo allora presenterò il conto all’Atride. E Briseide? Che
vada, una prigioniera vale l’altra… ma meglio far finta di avere un debole per
lei”!
Questo potrebbe essere il discorso
interiore di un uomo moderno: un’analisi critica del proprio gesto e delle sue
conseguenze. Ma una tale analisi ha bisogno di tempo per essere elaborata: un
moderno Achille potrebbe richiedere una sospensione dell’Assemblea per
elaborare una risposta, o altrimenti intuire subito, attraverso un’immaginazione,
qual è la scelta più saggia. Ad esempio, l’immagine di Agamennone costretto
ad andare a supplicarlo di tornare in battaglia potrebbe guidare sia il carattere
di oltraggio che quello di rivincita che Achille intende imprimere al suo
discorso.
Ma questo farebbe di Achille un qualsiasi
uomo saggio, magari un fine politico: perderebbe l’immagine che tutti abbiamo
del mitico Achille, mito della forza e del valore dei sentimenti
(l’amore, l’amicizia, il rispetto del dolore di valorosi nemici): per sua fortuna
Achille fa parte, direbbe Levy-Bruhl, di “una forma di conoscenza primitiva e
prelogica che non si organizza in una gerarchia di concetti, ma forma una
specie di ammasso dove le contraddizioni hanno meno possibilità di essere percepite,
scoperte e rifiutate”.
Narrazione e civiltà prescritturali
Del resto, quella delineata da Levy-Bruhl
era l’unica conoscenza possibile in un mondo che ancora non conosceva l’alfabeto
e quindi la scrittura. Era senz’altro questo il mondo dei primi agglomerati
umani. La comparsa del linguaggio parlato portò con sé una capacità sempre
maggiore di condivisione dell’esperienza, e quindi di individuare le
caratteristiche che consentirono di affidare ruoli diversi in un agglomerato
co-operativo a seconda delle competenze. L’uomo diventa stanziale, e si ha il
passaggio dalla condizione di cacciatori-raccoglitori a quella di allevatori-coltivatori.
Con questo passaggio nasce l’esigenza di regolare i rapporti interpersonali
della Comunità, attraverso la formulazione di leggi, che diano ordine e
coerenza ai valori morali ed etici che guidano una comunità sanzionando
chi li contraddice ed elevando di rango chi li rispetta e li esalta. Tali
valori non sono però spiegabili analiticamente, non possono essere letti ed
eventualmente riletti fino ad averli assimilati… come potranno essere poi
trasmessi se non possono essere scritti e letti?
Vanno per forza raccontati, ma il racconto
deve avere, per contrastare l’evanescenza della parola, alcune caratteristiche,
tanto più perché informe, primitivo e prelogico, che rendano possibile la
memorizzazione, l’unico antidoto all’evanescenza della parola. Il racconto sarà
allora cadenzato e scandito da assonanze, ritmicità, posizioni, ganci interni
che facilitino la memorizzazione stessa, oltre a fare ricorso a ridondanze,
frasi fatte ed epiteti prevedibili. Ed ecco allora la rima, la metrica, la
ridondanza, la conservazione e ripetizione di concetti sui quali chi ascolta
non deve riflettere. Ai filosofi, ai
sacerdoti sarà riservata la creatività, la Comunità deve interiorizzare e
ricordare degli imperativi categorici.
Chi ascolta non deve riflettere… sembra
senz’altro dissonante se riferito alle condizioni odierne, dove lo scopo della
cultura è semmai il contrario, quello di far diventare ognuno di noi un
individuo innanzitutto consapevole di sé stesso. Ma qui stiamo parlando di
società prescritturali, dove la coscienza, e quindi anche la coscienza dell’Io,
aveva caratteristiche diverse: il mondo orale è un mondo acustico. Il suono
avvolge e coinvolge, comunicandoci insieme all’olfatto il senso della globalità
dell’esperienza. Ciò conferisce all’uomo prescritturale la caratteristi di
essere immerso globalmente nella sua esperienza, Mentre il mondo visivo,
analitico, pone l’uomo alla periferia del suo mondo consentendogli di
scandagliarne i particolari, l’uomo prescritturale vive come esperienza unica e
globalizzante l’ascolto della narrazione,
cadenzata e scandita, possibilmente accompagnata dal suono della cetra che
faciliti le assonanze, con la gestualità incanalata nella danza magari
diffondendo nell’aria essenze e profumi… tutto questo facilita l’allentamento,
finanche all’annullamento dei nessi associativi propri della coscienza
riflessiva, e l’affidarsi a forme di linguaggio sempre più sensomotorio.
Ma la caratteristica più cogente del
linguaggio parlato, rispetto allo scritto, è l’intonazione, la capacità
retorica che sembra parlare direttamente al corpo anziché alla mente attraverso
la facilitazione dell’emergere di attivazioni emotive. Un corpo sentito,
quindi, che determina una sorta di identificazione con l’eroe,
protagonista del mito. Laddove c’è identificazione collettiva è difficile che
il senso dell’individualità (favorito dall’autoriflessione, che fa sì che si
stagli sempre di più un Sé coma distinto e complementare all’Altro) superi il
senso dell’appartenenza, che metterebbe a rischio la sopravvivenza
stessa della Comunità.
Questa scarsa differenziazione rende conto
anche di un’altra caratteristica della coscienza prescritturale: la difficoltà
a distinguere fra immaginazione e percezione. Se prendiamo ad esempio la scena
dell’Iliade riportata all’inizio vediamo leggiamo come Atena sia visibile solo
ad Achille, e solo ad Achille parli e nessun altro ne possa cogliere, tantomeno
Agamennone, la presenza o il suono della voce. Se non ci si può identificare
con un dio, si può immaginare la sua presenza e il suo ruolo nel farci
fare una determinata scelta governando il nostro mondo emotivo. Mentre per noi scritturali
questo fenomeno si chiama allucinazione, nel mondo prescritturale era realtà
inconfutabile basata su un’esperienza diretta.
Insomma, il mito è frutto di una partecipazione
mistica (Levy-Bruhl) che non consente di distinguere il mondo reale da
quello immaginario e onirico: “dal punto di vista del primitivo non esiste
questa distinzione. Ai suoi occhi tutte le specie di esseri leggendari sono
reali, ed il racconto delle loro gesta vero”.
Il mondo dei miti inizierà ad essere
riesaminato nella sua reale portata da Platone, che, come sappiamo, è il
filosofo dei primi vagiti del passaggio dalle società prescritturali alle
società scritturali: se prima di lui il mythos era “parola” o “notizia”, con
Platone si passa ad un altro significato, come “favola” o “novella” mentre il
primo significato è assunto da Logos, la fonte dello studio razionale alla
ricerca della verità certa e scientifica (episthème). Mythos e logos, però,
hanno in comune l’intento di spiegare e conoscere il mondo, per cui il
passaggio dall’uno all’altro non è tanto un passaggio dalla favola alla verità ma
tra due diversi modi di percepire quell’intento (Galimberti). Per intenderci,
Platone afferma che è inutile affidarsi al logos per arrivare alla conoscenza
certa di fenomeni come l’immortalità dell’anima (a cui egli credeva): in quei
casi è meglio affidarsi al mythos (in questo caso, il mito di Er).
Queste due modalità sopravvivono, probabilmente, nelle modalità del pensiero moderno: un’affascinante ipotesi è quella che vede il pensiero logico-matematico e il pensiero narrativo (così come descritti da Jerome Bruner) non tanto come opposti o come destinati uno a soccombere e l’altro a prevalere ma come due entità continuamente cooperanti nel mantenere il senso di continuità e di identità personale di ciascuno di noi… conviene quindi tenersi buoni i miti, vecchi e nuovi, sapendo comunque che ognuno di quelli nuovi troverà un suo corrispettivo in quella straordinaria fucina di racconti che è la mitologia greca.
RENATO PROIETTI
BIONOTA
65 anni, psichiatra e psicoterapeuta, a tempo perso attore amatoriale... A tempo pieno marito e padre. Studioso di Scienze della cognizione, dedico il poco tempo libero alla ricerca e alla riflessione epistemologica: coscienza e costruzione dell'identità personale sono i temi che mi appassionano.
Trovo molto lucido e chiaro questo lavoro, un utile contributo per approfondire il complesso discorso sui miti,
RispondiEliminaGrazie di questo interessante contributo. Credo che queste due dimensioni convivano ancora nell'essere umano e andrebbero entrambe coltivate con cura. P.Ferrari
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