Mythos e Logos alla ricerca della conoscenza ~ di Renato Proietti (PSICOLINGUISTICA) - TeclaXXI

 Mythos e Logos alla ricerca della conoscenza

di Renato Proietti


 

Charles-Antoine Coypel La colère d'Achille 1737 (part.), Ermitage, San Pietroburgo


             Le frecce di Apollo spargono la pestilenza nel campo acheo: il dio è offeso dal brutale trattamento riservato alla figlia del suo sacerdote Crise, ridotta in prigionia da Agamennone. In un drammatico crescendo di acrimonia Agamennone, esortato da Achille a restituire Criseide al padre per placare l’ira del figlio di Zeus, risponde che sì, restituirà la figlia a Crise, ma pretende come risarcimento un’altra prigioniera che deve essere quella di un altro eroe a lui pari per grado e impegno: quella di Aiace, quella di Ulisse… “o pur anco la tua”.

Sale l’ira nel petto di Achille: “Anima invereconda, anima avara…”. Ricordando che non arrivò sotto le mura per odio dei Troiani, ma per l’onore del fratello Menelao, minaccia Agamennone di lasciare la guerra e tornarsene “alla feconda e popolosa Ftia” qualora toccasse a Briseide essere la ricompensa per la rinuncia: ma Agamennone insiste e lo oltraggia, trattandolo da codardo e arrivando alla sfida estrema: sarà lui stesso a recarsi alla sua tenda per sottrargli il frutto delle sue fatiche, “onde t’avvegga quant’io t’avanzo di possanza

La mano di Achille, “fra lo sdegno ondeggiando e la ragione l’agitato pensier”, corre alla spada… ma improvvisamente Era, che tutti e due gli eroi ha cari, spedisce sulla scena Atena, dea dagli occhi fiammeggianti: non frenare la tua ira Achille, ma non fartene travolgere. “Or via, ti calma, né trar brando e solo/ di parole contendi “. La dea, solo a lui visibile, lo calma, lo invita a “gestire” (come diremmo oggi) la rabbia… e lo fa parlandogli!!!

Benché il cuore mi arda d’ira a forza seguo il tuo consiglio, o diva! Ai numi è caro chi dei numi al voler piega la fronte… e si rivolge così ad Agamennone:

Ebbro! Cane agli sguardi e cervo al core (…) Stagion verrà che negli Achei si svegli / desiderio d’Achille, e tu salvarli, /misero! non potrai, quando la spada / dell’omicida Ettòr farà vermigli / di larga strage i campi “.

*  *  *

“Non mi conviene sfidarlo e ammazzarlo adesso… una frattura simile nel nostro campo ci porterebbe sicuramente alla disfatta. Ed Elena, che il cognato ha voluto elevare a casus belli, rimarrebbe tra le braccia del bel Paride… e soprattutto tutti gli interessi economici nell’Asia Minore, che riguardano anche me, andrebbero a rotoli… no, meglio mettere in evidenza il fatto che il suo narcisismo gli fa vivere come un’offesa il restituire Criseide, e che si rode d’invidia per me che sono il più forte dei Greci. E sa bene che senza di me ha ben poche speranze contro Ettore!

No, non me ne vado. I Greci mi dovranno chiedere aiuto, e solo allora presenterò il conto all’Atride. E Briseide? Che vada, una prigioniera vale l’altra… ma meglio far finta di avere un debole per lei”!

Questo potrebbe essere il discorso interiore di un uomo moderno: un’analisi critica del proprio gesto e delle sue conseguenze. Ma una tale analisi ha bisogno di tempo per essere elaborata: un moderno Achille potrebbe richiedere una sospensione dell’Assemblea per elaborare una risposta, o altrimenti intuire subito, attraverso un’immaginazione, qual è la scelta più saggia. Ad esempio, l’immagine di Agamennone costretto ad andare a supplicarlo di tornare in battaglia potrebbe guidare sia il carattere di oltraggio che quello di rivincita che Achille intende imprimere al suo discorso.

Ma questo farebbe di Achille un qualsiasi uomo saggio, magari un fine politico: perderebbe l’immagine che tutti abbiamo del mitico Achille, mito della forza e del valore dei sentimenti (l’amore, l’amicizia, il rispetto del dolore di valorosi nemici): per sua fortuna Achille fa parte, direbbe Levy-Bruhl, di “una forma di conoscenza primitiva e prelogica che non si organizza in una gerarchia di concetti, ma forma una specie di ammasso dove le contraddizioni hanno meno possibilità di essere percepite, scoperte e rifiutate”.


 Narrazione e civiltà prescritturali

Del resto, quella delineata da Levy-Bruhl era l’unica conoscenza possibile in un mondo che ancora non conosceva l’alfabeto e quindi la scrittura. Era senz’altro questo il mondo dei primi agglomerati umani. La comparsa del linguaggio parlato portò con sé una capacità sempre maggiore di condivisione dell’esperienza, e quindi di individuare le caratteristiche che consentirono di affidare ruoli diversi in un agglomerato co-operativo a seconda delle competenze. L’uomo diventa stanziale, e si ha il passaggio dalla condizione di cacciatori-raccoglitori a quella di allevatori-coltivatori. Con questo passaggio nasce l’esigenza di regolare i rapporti interpersonali della Comunità, attraverso la formulazione di leggi, che diano ordine e coerenza ai valori morali ed etici che guidano una comunità sanzionando chi li contraddice ed elevando di rango chi li rispetta e li esalta. Tali valori non sono però spiegabili analiticamente, non possono essere letti ed eventualmente riletti fino ad averli assimilati… come potranno essere poi trasmessi se non possono essere scritti e letti?

Vanno per forza raccontati, ma il racconto deve avere, per contrastare l’evanescenza della parola, alcune caratteristiche, tanto più perché informe, primitivo e prelogico, che rendano possibile la memorizzazione, l’unico antidoto all’evanescenza della parola. Il racconto sarà allora cadenzato e scandito da assonanze, ritmicità, posizioni, ganci interni che facilitino la memorizzazione stessa, oltre a fare ricorso a ridondanze, frasi fatte ed epiteti prevedibili. Ed ecco allora la rima, la metrica, la ridondanza, la conservazione e ripetizione di concetti sui quali chi ascolta non deve riflettere.  Ai filosofi, ai sacerdoti sarà riservata la creatività, la Comunità deve interiorizzare e ricordare degli imperativi categorici.

Chi ascolta non deve riflettere… sembra senz’altro dissonante se riferito alle condizioni odierne, dove lo scopo della cultura è semmai il contrario, quello di far diventare ognuno di noi un individuo innanzitutto consapevole di sé stesso. Ma qui stiamo parlando di società prescritturali, dove la coscienza, e quindi anche la coscienza dell’Io, aveva caratteristiche diverse: il mondo orale è un mondo acustico. Il suono avvolge e coinvolge, comunicandoci insieme all’olfatto il senso della globalità dell’esperienza. Ciò conferisce all’uomo prescritturale la caratteristi di essere immerso globalmente nella sua esperienza, Mentre il mondo visivo, analitico, pone l’uomo alla periferia del suo mondo consentendogli di scandagliarne i particolari, l’uomo prescritturale vive come esperienza unica e globalizzante l’ascolto della narrazione,  cadenzata e scandita, possibilmente accompagnata dal suono della cetra che faciliti le assonanze, con la gestualità incanalata nella danza magari diffondendo nell’aria essenze e profumi… tutto questo facilita l’allentamento, finanche all’annullamento dei nessi associativi propri della coscienza riflessiva, e l’affidarsi a forme di linguaggio sempre più sensomotorio.

Ma la caratteristica più cogente del linguaggio parlato, rispetto allo scritto, è l’intonazione, la capacità retorica che sembra parlare direttamente al corpo anziché alla mente attraverso la facilitazione dell’emergere di attivazioni emotive. Un corpo sentito, quindi, che determina una sorta di identificazione con l’eroe, protagonista del mito. Laddove c’è identificazione collettiva è difficile che il senso dell’individualità (favorito dall’autoriflessione, che fa sì che si stagli sempre di più un Sé coma distinto e complementare all’Altro) superi il senso dell’appartenenza, che metterebbe a rischio la sopravvivenza stessa della Comunità.

Questa scarsa differenziazione rende conto anche di un’altra caratteristica della coscienza prescritturale: la difficoltà a distinguere fra immaginazione e percezione. Se prendiamo ad esempio la scena dell’Iliade riportata all’inizio vediamo leggiamo come Atena sia visibile solo ad Achille, e solo ad Achille parli e nessun altro ne possa cogliere, tantomeno Agamennone, la presenza o il suono della voce. Se non ci si può identificare con un dio, si può immaginare la sua presenza e il suo ruolo nel farci fare una determinata scelta governando il nostro mondo emotivo. Mentre per noi scritturali questo fenomeno si chiama allucinazione, nel mondo prescritturale era realtà inconfutabile basata su un’esperienza diretta.

Insomma, il mito è frutto di una partecipazione mistica (Levy-Bruhl) che non consente di distinguere il mondo reale da quello immaginario e onirico: “dal punto di vista del primitivo non esiste questa distinzione. Ai suoi occhi tutte le specie di esseri leggendari sono reali, ed il racconto delle loro gesta vero”.

Il mondo dei miti inizierà ad essere riesaminato nella sua reale portata da Platone, che, come sappiamo, è il filosofo dei primi vagiti del passaggio dalle società prescritturali alle società scritturali: se prima di lui il mythos era “parola” o “notizia”, con Platone si passa ad un altro significato, come “favola” o “novella” mentre il primo significato è assunto da Logos, la fonte dello studio razionale alla ricerca della verità certa e scientifica (episthème). Mythos e logos, però, hanno in comune l’intento di spiegare e conoscere il mondo, per cui il passaggio dall’uno all’altro non è tanto un passaggio dalla favola alla verità ma tra due diversi modi di percepire quell’intento (Galimberti). Per intenderci, Platone afferma che è inutile affidarsi al logos per arrivare alla conoscenza certa di fenomeni come l’immortalità dell’anima (a cui egli credeva): in quei casi è meglio affidarsi al mythos (in questo caso, il mito di Er).

Queste due modalità sopravvivono, probabilmente, nelle modalità del pensiero moderno: un’affascinante ipotesi è quella che vede il pensiero logico-matematico e il pensiero narrativo (così come descritti da Jerome Bruner) non tanto come opposti o come destinati uno a soccombere e l’altro a prevalere ma come due entità continuamente cooperanti nel mantenere il senso di continuità e di identità personale di ciascuno di noi… conviene quindi tenersi buoni i miti, vecchi e nuovi, sapendo comunque che ognuno di quelli nuovi troverà un suo corrispettivo in quella straordinaria fucina di racconti che è la mitologia greca.  

RENATO PROIETTI



BIONOTA

65 anni, psichiatra e psicoterapeuta, a tempo perso attore amatoriale... A tempo pieno marito e padre. Studioso di Scienze della cognizione, dedico il poco tempo libero alla ricerca e alla riflessione epistemologica: coscienza e costruzione dell'identità personale sono i temi che mi appassionano.

Commenti

  1. Trovo molto lucido e chiaro questo lavoro, un utile contributo per approfondire il complesso discorso sui miti,

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  2. Grazie di questo interessante contributo. Credo che queste due dimensioni convivano ancora nell'essere umano e andrebbero entrambe coltivate con cura. P.Ferrari

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