Una settimana in giro per il Portogallo - I parte (REPORTAGE) ~ di Jacqueline Spaccini - Tecla XXI

 

REPORTAGE

Una settimana giro per il Portogallo

di Jacqueline Spaccini

 I parte



*Tutte le foto, salva diversa indicazione, sono di jacquelinespaccini©2025

 

-           GIORNO 1: ROMA – LISBONA.

Non ho mai viaggiato per una settimana in un Paese di cui ignoro la lingua. Per questo, stavolta, mi sono affidata a un tour operator di vaglia e sono partita da sola insieme con altri ventotto sconosciuti. Un giro della nazione in 7 giorni scarsi da Lisbona risalendo verso il Nord, per poi ridiscendere. Compagnia aerea TAP, Fiumicino-Lisbona. Volo annullato delle 13:40, nuovo volo alle 17:40, ritardo e partenza alle 18:30. Tre ore di tratta. Lì vanno un’ora indietro, ma tra recupero bagagli e navetta, arrivo in albergo nel buio delle 21:30, mangiando una cena che ci aspettava da oltre un’ora. A letto e si parte l’indomani con il tour alle ore 8:00. Il cielo è coperto.

 

-           GIORNO 2: LISBONA, CASCAIS, SINTRA. IL FADO.



E dunque si inizia dalla capitale, Lisbona. Non ho comprato guide. Non ho voluto vedere immagini. Cercavo lo stupore. Se mi avessero chiesto: che cosa ti fa venire in mente il Portogallo? Avrei risposto così: Io mi ricordo quando nel 1974 i portoghesi si ribellarono al salazarismo. All’epoca ero idealista e giovanissima: acquistai un poster che rappresentava un bimbo che a piedi nudi infila un fiore dentro un fucile: la rivoluzione dei garofani. Incruenta. Poi non avevo saputo più nulla del Portogallo. Veramente, non ne sapevo granché neanche prima. M’era sfuggito, per esempio, che la nazione non aveva preso parte a nessuna delle due guerre mondiali. Ma il poster sta ancora lì, affisso sulle pareti arancioni della mia cameretta.

La prima cosa che ho visto della città è stata la Torre di Belém. Un tempo campeggiava sulle copertine dei quaderni della collezione «Il Milione» (in sovraccoperta c’era disegnata un’enorme S). 

Ricordo la Torre e il mausoleo indiano del Thaj Mahal. Null’altro.   Sognavo che un giorno sarei andata in quei due posti. Per il secondo dubito possa riuscirvi, per il primo l’effetto è stato attutito dalle impalcature che impacchettano la torre (pertanto, la foto qui sopra è prelevata da wikipedia.it),  chiusa al pubblico perché in restauro. Nulla a che vedere con la Torre di Pisa, questa qui è una fortezza. Tutta bianca e merlettata, si capisce che è del XVI secolo, che appartiene a quello stile lusitano che ha per nome manuelino, un tardo gotico in odor di rinascimento, un connubio felice di ispirazioni composite, dovute ai viaggi di un Portogallo avventuriero e marinaio. 


Non importa. Quel che ha conquistato i miei sensi è stato altro. Verrebbe da dire: l’odore del mare, se non fosse che sotto ai miei occhi scorre il Tago, un fiume grande che entra nell’oceano e che da esso riceve acque e profumo. È un odore struggente, che rievoca ricordi dimenticati, forse sognati, ma che mi strappano lembi di presenze emotive dentro di me.

Non è male il monumento dedicato ai grandi navigatori portoghesi, lungo la passeggiata. In realtà, è dedicato alle scoperte geografiche, ma in definitiva rappresenta il re Enrico il Navigatore – in testa al corteo di personaggi - per omaggiare il quale è stato costruito nel 1960. Il materiale è in pietra calcarea che a Lisbona abbonda. Ha la forma di una caravella che punta verso l’altrove. È alto 56 metri.




Dietro di lui troviamo gli eroi portoghesi: ci sono tutti, Vasco de Gama, Camões (il Dante portoghese), Magellano, pittori e cartografi, matematici e re. Al centro del lungofiume, la mappa della terra fin ad allora conosciuta con tutte le scoperte geografiche e conseguenti conquiste del Portogallo: Brasile, Angola, Mozambico, Goa, Molucche, Malacca e Macao, le isole atlantiche.

Qualcuno nel gruppo chiede perché non vi sia Cristoforo Colombo. La risposta è ovvia: non ha lavorato per il Portogallo, bensì per la Spagna. In realtà, il navigatore ligure, maritato a una portoghese figlia del capitano governatore di un porto, aveva provato a proporre i suoi servigi (il viaggio alternativo verso le Indie) al re Giovanni II del Portogallo, ma costui lo aveva ignorato. Sicché si rivolse ai reali di Spagna e Isabella di Castiglia finanziò il suo progetto (tant’è che partì da Palos, in Spagna). Lungo la passeggiata, si trova una pavimentazione ornamentale – si chiama calçada portuguesa –, realizzata con pietre calcaree bianche e basalto nero, caratteristica delle città lusitane.

Ora però c’è la pausa per la colazione mattutina e si sale sul pullman che ci riporta al centro città per un curto (tipo espresso italiano) e una pasteis de nata (con sopra una spolverata di cannella).

E siamo solo a metà mattinata.

                                                                      PASTEIS DE NATA 

Nel pomeriggio, due tappe sono d’obbligo: Cascais e Sintra.

La prima si trova a meno di 30 km dalla capitale, è una stazione balneare, qui hanno comprato «casa» Madonna, Ronaldo e Mourinho (è l’allenatore del Benfica). È una cittadina (chiamarla città, mi pare esagerato) per ricconi.


C’è tanto sole, in fondo alla strada, ancora a fine settembre i ragazzini fanno il bagno nell’oceano. Questo è il luogo dove scelse di passare l’esilio l’ex-re Umberto II coi figli - mentre sua moglie, Maria-José del Belgio, si trasferisce in Svizzera. Il Portogallo era caro a Umberto di Savoia (cui è stata dedicata una lunga avenida di fronte all’oceano, dov’era la sua dimora, Villa Italia, oggi un hôtel), giacché un'altra Savoia, Maria Pia, figlia del bisnonno Vittorio Emanuele II, aveva sposato il re Luiz, diventando, da giovanissima, regina consorte del Portogallo. Umberto II vi soggiornerà fino alla sua morte, avvenuta 37 anni dopo la caduta della monarchia italiana.

 

CASCAIS 


 Sia chiaro: Cascais non era nulla prima che i vari ex regnanti (della Romania, i conti di Francia) la scegliessero come residenza (o cage dorée, che dir si voglia). E quindi da luogo desolato, si è sviluppata come soggiorno di élite e oggi è, agli occhi dei turisti, un paesino pieno di belle case, con un viale zeppo di ristorantini a buon prezzo che sfocia su una piccola baia. Sole, venticello, voglia di leggerezza. La temperatura è sui 27°: un bagno veloce lo farei volentieri anch’io.  

Poco più in là, troviamo Estoril. Non parlerò della stazione balneare sulle rive dell’oceano, né di tutte le prove sportive che qui si svolgono (tennis, moto e formula 1), bensì del luogo senza fiato che chiamano Boca do Inferno. Lì, l’azione acefala della dinamo idrica – l’acqua, insomma – si scatena, infischiandosene degli esseri umani. La sua dirompenza si esprime soggiogando gli astanti. Le foto di seguito non restituiscono se non in minima parte la bellezza dello sfogo della natura. In realtà, si vorrebbe restare là, muti e baciati dal sole, cullati dal vento, ad ammirare l’ipnotico andirivieni dell’oceano.




                                                BOCA DO INFERNO 

Via, si riparte alla volta di Sintra. Dirò poco, perché in fondo non mi è piaciuta. C’è il palazzo reale, i camini altissimi e anomali, gli azulejos imperanti (ne riparlerò), alcuni dipinti interessanti anche se non originalissimi, ma insomma come direbbe Lucariello al figlio? «Te piace ‘o presepe?» e io, come Tommasino, risponderei: «No, nun me piace ‘o presepe».


SINTRA

Viene sera. Abbiamo pranzato, assaggiando le famose sardinhas assadas (sardine alla griglia - che non mi sono piaciute). Stasera tocca al baccalà e soprattutto abbiamo una serata di fado. Pasto completo lusitano: antipastini, zuppa di verdure, baccalà (bacalhau con natas), torta di mele con cannella. Vino bianco e rosso a profusione. Troppa panna, besciamella, latte, cipolla. Meglio sarebbe stato se presentato in maniera più semplice: non ho propriamente gustato il baccalà. Il fado lo amo da sempre. Insomma, da sempre… dal 1993. Un sentimento, il mio, che si rafforzò quando vidi il film di Roberto Faenza, Sostiene Pereira (1995), tratto dall’omonimo romanzo di Antonio Tabucchi (di cui riparlerò qua e là e soprattutto alla fine di questo reportage). Nel film ci sono due canzoni di fado più o meno antico, più o meno moderno, cantate da Dulce Pontes: Cançao do mar (che è un classico, noto in tutto il mondo attraverso la voce di Amalia Rodrigues – le cui spoglie risiedono al Pantheon) e A Brisa do Coração scritta da Ennio Morricone e arrangiata insieme con Dulce Pontes.

Della prima, metto tutte e due le versioni, quella di Amalia e quella di Dulce.

Nel video rovinatissimo con Amalia, si vede anche la chitarra portoghese a 12 corde e cassa più profonda che dà un suono più scuro. Il fado non può essere allegro; il fado è malinconico, spesso nostalgico, non a caso fado significa destino.


                                                 AMALIA RODRIGUES


Nel video con Dulce, il ritmo è più rapido e meno caramelloso, ma la voce è ugualmente potente e dolorosa:


                                                                     DULCE PONTES


Questa è una canzone nata nel 1955 che parla di amore, del rapporto dei portoghesi col mare (in senso lato), un mare geloso dell’amore che piega gli umani, a volte non riporta indietro le persone, e non soltanto perché muoiono ma anche perché le genti che partono per cercar lavoro lontano, spesso non fanno più ritorno. La nostalgia e la solidad, la solitudine dell’anima.

Il nostro fado sarebbe stato bello se i miei compagni di viaggio avessero conosciuto e amato il genere come me.  

Aggiungo una parte dell'intervista di Sergio Spada a Dulce Pontes (giugno 2024). 


È difficile avvicinarsi al fado?

Assolutamente. Il fado è molto semplice e diretto se ne rispetti l’essenza. Nei primi anni novanta ho portato il fado in India, in Sud America, in Brasile e nella zona africana del Maghreb, cantando anche in lingua berbera nel doppio live A brisa do coração e questo atteggiamento aperto che elude le frontiere, gli ostacoli di comunicazione causati da linguaggi o religioni differenti ha fatto crescere la mia musica evolvendo la radice stessa del fado folclorico.

  


-           GIORNO 3: ÓBIDOS, NAZARÉ, COIMBRA.


Lasciato l’albergo, si parte per Coimbra, antica capitale del Portogallo (fino al 1255). Durante il tragitto, ci fermeremo prima a Óbidos e poi a Nazaré. Dicono che forse pioverà, ma sebbene coperto, il clima ci appare mite.  

Tappa a Óbidos, delizioso borgo medievale che mi ricorda Mont-Saint-Michel per via dell’unica strada da percorrere per salire fino a chiese e castelli, con ai lati esclusivamente negozietti di souvenirs e assaggi del liquore di amarene. Ricordo che, quando andai in Normandia, decidemmo di andare prestissimo, sì da non incontrare folla. Qui la folla ce la becchiamo, ma tant’è: a volte è anche rilassante fare il turista stupido. 


Infatti, malgrado l’acquedotto del XVI secolo (no, non è romano), abbastanza spettacolare,




il castello fortificato e medievale che a me fa un po’ l’effetto Lego (ma è per davvero antico), 

la chiesa di S. Maria (Igreja de S. Maria), in cui furono celebrate le nozze tra Alfonso V e sua cugina Isabel, rispettivamente di 10 e 8 anni (1441)... quel che più mi è piaciuto è la degustazione del Ginjina, il liquore di amarene (20% vol), accompagnato (o non) da amarena macerata nello sciroppo, deposta sul fondo del contenitore con uno stuzzicadenti. 1€50 a bicchierino, ne ho presi tre nel giro di un’ora; non dà nessun effetto collaterale, assicuro. 


Replicato in casa, al rientro (il turista stupido compra souvenir e bottigline da 100 cl di ginjina), 
con il vasetto delle amarene Fabbri (lodevole azienda), l'esperimento è riuscito. 


                             La più bella immagine, secondo me, di Óbidos.

Ah, dimenticavo: a Óbidos, per 1€, viene servito al tavolino un vero caffè (curto) Lavazza, nel baretto gestito da un italiano (vero o falso che sia, il caffè è buono) accanto all’acquedotto.

Sto saltando deliberatamente le chiese, le cattedrali e i santuari: ne parlerò più diffusamente altrove (forse).

 

                                                            NAZARÉ

Passiamo alla luminosa Nazaré, a nord di Óbidos, il villaggio famoso nel mondo dei surfisti per le sue onde. In verità, la temporada de olas gigantes (debbo tradurre?) ha luogo - quando e se ha luogo – nel periodo compreso tra novembre e febbraio. Il record registrato di altezza «domata» da un surfista tedesco, Sebastian Steudtner, è di 28 metri.

Metto il video, molto più eloquente di me:




Nota gastronomica: come sbagliare il pranzo. Eccomi. Il posto è ottimo, i miei compagni di viaggio scelgono il risotto con la rana pescatrice (o coda di rospo), gamberi e vongole (ma bisogna aspettare, ché fanno tutto lì per lì - e io vado di fretta perché ho fame), altri scelgono il polpo (ma a me non fa impazzire), altri ancora optano per una tagliata di vitella (ma vado in Portogallo in riva all’oceano per mangiare la carne?). Sicché scelgo un piatto speed che a Parigi si trova in tutti i Léon de Bruxelles (oggi solo Léon) il piatto nazionale belga, si può dire, anche se la cosa mi ha sempre fatto sorridere: (cocotte de) moules – frites. Ergo, cozze e patatine fritte. 

(foto wikipedia - le cozze come me le aspettavo e come non ho mangiato)

Risultato: attendo lo stesso tempo degli altri, anche di più. Mi vengono servite le cozze nel coccio fumante e va bene, ma il sapore del mitilo naufraga nel pomodoro aggiunto in abbondanza e il gusto si svilisce. Le patatine fritte sono vecchiarelle, riscaldate e dure. E meno male che ho impedito di aggiungere il coriandolo (che insieme al cumino è la spezia aromatica che odio di più al mondo) a favore del prezzemolo. E i miei commensali? Tutti contentissimi dei loro piatti. Quello vincente? L’arroz de tamboril (risotto con rana pescatrice, gamberi e vongole).                                                                                  

Senza parlare del santuario che l’accoglie, mi soffermerò un attimo su una leggenda di Nazaré (o miracolo, vedete voi) del cavaliere e del cervo. Siamo nel 1182: un gentiluomo a cavallo, Dom Fuas Roupinho, vede un cervo e inizia a inseguirlo per cacciarlo. Quando l’animale arriva sul bordo del precipizio, il cavaliere intuisce che salterà dalla scogliera, perdendo così la vita. Allora invoca la Vergine Maria e a quel punto il cavallo sorprendentemente frena, proprio poco prima dell’abisso marino. Lì, l’uomo farà costruire una cappellina dedicata a Maria (i lusitani sono molto «mariani» e tutte le chiese sono dedicate alla Madonna). Il dipinto raffigura il miracolo/leggenda.




Aneddoti a parte, si arriva alfine a Coimbra. Cena in albergo e poi si esce. Ormai stiamo formando un gruppetto di persone che si trovano bene insieme: negli orari liberi, mangiamo insieme, passeggiamo insieme. Il nostro bell’hôtel si trova però in una zona un tempo commerciale (con riferimento al fiume), oggi abbastanza fatiscente. È incredibile questa sensazione di délabrement, di rovina, di degrado su cui si posano i nostri occhi non appena usciamo dalla zona bella e monumentale. Già il fatto che la maggior parte delle strutture abitative del Portogallo non abbia i riscaldamenti mi ha scioccato. 

E quindi usciamo la sera per le vie d’attorno e troviamo un senso di abbandono, negozi chiusi da anni, portoni polverosi… passiamo davanti a una caserma di vigili del fuoco, i pompieri. In portoghese si dice bombeiros (più avanti tornerò sui loro luoghi di sepoltura).

                                                    mural a Coimbra

Grande malinconia esprime il bellissimo mural dell’artista visivo Mário Belém in Largo das Ameias (Coimbra è città di Street Art) che, qui sotto, racconta la leggenda sull’origine della città. Copioincollo dal sito del comune della città: «L'opera raffigura un cavaliere che conduce il suo cavallo, su cui giace il corpo del serpente gigante appena ucciso in battaglia. È implicito che il cavaliere stia tornando al castello della sua amata per chiederle la mano. Dalla punta del serpente emerge un fregio (che allude ai fregi dei manoscritti miniati) che simboleggia l'esplosione di colore e vita insita nella fondazione di Coimbra come città. I personaggi si muovono lungo le rive del fiume Mondego e, sullo sfondo, sulla riva opposta, si vede lo skyline dell'odierna Coimbra. Il cielo è al tramonto, a simboleggiare la splendida giornata che sorgerà domani. Il cavaliere indossa una calzamaglia e un gilet, ma indossa anche pantaloni alla zuava e scarpe da ginnastica contemporanee. Sul cavallo si possono vedere diversi oggetti: una lancia da torneo medievale, una spada, un bollitore, una lanterna (per illuminare la strada) e un vecchio telefono (a rafforzare il concetto di una storia tramandata oralmente, al punto che ormai non ne conosciamo nemmeno l'origine)»[1].

Murales come questo stanno a promuovere la riabilitazione di quartieri come Baixa (la periferia fuori dalla cinta muraria) che, come scritto sopra, sembrano appartenere alla città di nessuno. Erano le zone commerciali, il fiume Mondego non è lontano. Speriamo che la riqualificazione di certi quartieri urbani non operi quel «salto di qualità» che risponde al nome di gentrificazione, perché allora chi abita in queste case, non potrà rientrarvi più. Operazione simile la vidi fare a Parigi, molti anni fa, nel 18° arrondissement, all’altezza della stazione della metropolitana Marx Dormoy (linea 12), verso la Gare du Nord, in un quartiere difficile e multiculturale, non ben amalgamato. L’ho rivisto fare, qualche anno dopo, nel 19° arr., métro Crimée (linea 7), sul bellissimo canale dell’Oise, sotto la Géode. Verrebbe da dire quem, quê, onde, como

Si va a dormire, domani ci aspetta la Biblioteca Joanina. (continua)

La seconda parte sarà pubblicata il 3 DICEMBRE 2025



[1]https://www.coimbra.pt/2025/07/mural-do-largo-das-ameias-com-qr-code-que-explica-a-lenda-da-batalha-da-cobra/

 JACQUELINE SPACCINI



 
BIONOTA

Di natura poliedrica, Jacqueline Spaccini è nata in Francia, ma da alcuni anni è tornata a vivere in Italia. Si occupa di contaminazione tra il linguaggio letterario e artistico; scrive poesia multilingue. È traduttrice e autrice di saggi e novelle. Scrive pièces, ha diretto atelier di recitazione; è stata regista e attrice teatrale.

Commenti

  1. Sono stata in Portogallo nella seconda metà degli anni '90 e mi ritrovo molto nelle tue descrizioni e sensazioni, devo tornare. I viaggi organizzati hanno dei pro ,ma anche molti contro, soprattutto si è costretti a vedere tanto e non con i propri tempi. A volte si ha bisogno di silenzio , in particolar modo per penetrare nella profonda malinconia dei portoghesi e della loro terra. Attendo la seconda parte e grazie per avermi fatto ricordare.

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  2. Sono di Roma, ma vivo in Portogallo da sei anni e oggi posso dire che mai scelta fu più felice

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