Una settimana in giro per il Portogallo - I parte (REPORTAGE) ~ di Jacqueline Spaccini - Tecla XXI
REPORTAGE
Una settimana giro per il Portogallo
di Jacqueline Spaccini
*Tutte le foto, salva diversa indicazione, sono di jacquelinespaccini©2025
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GIORNO 1: ROMA – LISBONA.
Non ho mai viaggiato per una settimana in un Paese di cui
ignoro la lingua. Per questo, stavolta, mi sono affidata a un tour operator di
vaglia e sono partita da sola insieme con altri ventotto sconosciuti. Un giro
della nazione in 7 giorni scarsi da Lisbona risalendo verso il Nord, per poi
ridiscendere. Compagnia aerea TAP, Fiumicino-Lisbona. Volo annullato delle
13:40, nuovo volo alle 17:40, ritardo e partenza alle 18:30. Tre ore di tratta.
Lì vanno un’ora indietro, ma tra recupero bagagli e navetta, arrivo in albergo
nel buio delle 21:30, mangiando una cena che ci aspettava da oltre un’ora. A
letto e si parte l’indomani con il tour alle ore 8:00. Il cielo è coperto.
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GIORNO 2: LISBONA, CASCAIS, SINTRA. IL FADO.
La prima cosa che ho visto della città è stata la Torre di Belém. Un tempo campeggiava sulle copertine dei quaderni della collezione «Il Milione» (in sovraccoperta c’era disegnata un’enorme S).
Ricordo la Torre e il
mausoleo indiano del Thaj Mahal. Null’altro.
Sognavo che un giorno sarei
andata in quei due posti. Per il secondo dubito possa riuscirvi, per il primo
l’effetto è stato attutito dalle impalcature che impacchettano la torre (pertanto, la foto qui sopra è prelevata da wikipedia.it), chiusa al pubblico perché
in restauro. Nulla a che vedere con la Torre di Pisa, questa qui è una
fortezza. Tutta bianca e merlettata, si capisce che è del XVI secolo, che
appartiene a quello stile lusitano che ha per nome manuelino, un tardo
gotico in odor di rinascimento, un connubio felice di ispirazioni composite,
dovute ai viaggi di un Portogallo avventuriero e marinaio.
Non importa. Quel che ha conquistato i miei sensi è stato altro. Verrebbe da dire: l’odore del mare, se non fosse che sotto ai miei occhi scorre il Tago, un fiume grande che entra nell’oceano e che da esso riceve acque e profumo. È un odore struggente, che rievoca ricordi dimenticati, forse sognati, ma che mi strappano lembi di presenze emotive dentro di me.
Non è male il monumento dedicato ai grandi navigatori
portoghesi, lungo la passeggiata. In realtà, è dedicato alle scoperte
geografiche, ma in definitiva rappresenta il re Enrico il Navigatore – in testa
al corteo di personaggi - per omaggiare il quale è stato costruito nel 1960.
Il materiale è in pietra calcarea che a Lisbona abbonda. Ha la forma di una caravella
che punta verso l’altrove. È alto 56 metri.
Dietro di lui troviamo gli eroi portoghesi: ci sono tutti,
Vasco de Gama, Camões (il Dante portoghese), Magellano, pittori e cartografi,
matematici e re. Al centro del lungofiume, la mappa della terra fin ad allora
conosciuta con tutte le scoperte geografiche e conseguenti conquiste del
Portogallo: Brasile, Angola, Mozambico, Goa, Molucche, Malacca e Macao, le
isole atlantiche.
Ora però c’è la pausa per la colazione mattutina e si sale
sul pullman che ci riporta al centro città per un curto (tipo espresso
italiano) e una pasteis de nata (con sopra una spolverata di cannella).
E siamo solo a metà mattinata.
Nel pomeriggio, due tappe sono d’obbligo: Cascais e Sintra.
La prima si trova a meno di 30 km dalla capitale, è una
stazione balneare, qui hanno comprato «casa» Madonna, Ronaldo e Mourinho (è
l’allenatore del Benfica). È una cittadina (chiamarla città, mi pare esagerato)
per ricconi.
Sia chiaro: Cascais non era nulla
prima che i vari ex regnanti (della Romania, i conti di Francia) la
scegliessero come residenza (o cage dorée, che dir si voglia). E quindi
da luogo desolato, si è sviluppata come soggiorno di élite e oggi è,
agli occhi dei turisti, un paesino pieno di belle case, con un viale zeppo di
ristorantini a buon prezzo che sfocia su una piccola baia. Sole, venticello,
voglia di leggerezza. La temperatura è sui 27°: un bagno veloce lo farei
volentieri anch’io.
Poco più in là, troviamo Estoril. Non parlerò della stazione balneare sulle rive dell’oceano, né di tutte le prove sportive che qui si svolgono (tennis, moto e formula 1), bensì del luogo senza fiato che chiamano Boca do Inferno. Lì, l’azione acefala della dinamo idrica – l’acqua, insomma – si scatena, infischiandosene degli esseri umani. La sua dirompenza si esprime soggiogando gli astanti. Le foto di seguito non restituiscono se non in minima parte la bellezza dello sfogo della natura. In realtà, si vorrebbe restare là, muti e baciati dal sole, cullati dal vento, ad ammirare l’ipnotico andirivieni dell’oceano.
BOCA DO INFERNO
Via, si riparte alla volta di Sintra. Dirò poco, perché in
fondo non mi è piaciuta. C’è il palazzo reale, i camini altissimi e anomali,
gli azulejos imperanti (ne riparlerò), alcuni dipinti interessanti anche
se non originalissimi, ma insomma come direbbe Lucariello al figlio? «Te piace ‘o
presepe?» e io, come Tommasino, risponderei: «No, nun me piace ‘o presepe».
SINTRA
Della prima, metto tutte e due le versioni, quella di Amalia e quella di Dulce.
Nel video rovinatissimo con Amalia, si vede anche la chitarra
portoghese a 12 corde e cassa più profonda che dà un suono più scuro. Il fado
non può essere allegro; il fado è malinconico, spesso nostalgico, non a caso fado
significa destino.
AMALIA RODRIGUES
Nel video con Dulce, il ritmo è più rapido e meno
caramelloso, ma la voce è ugualmente potente e dolorosa:
DULCE PONTES
Il nostro fado sarebbe stato bello se i miei compagni di viaggio avessero conosciuto e amato il genere come me.
Aggiungo una parte dell'intervista di Sergio Spada a Dulce Pontes (giugno 2024).
È difficile avvicinarsi al fado?
Assolutamente. Il fado è molto semplice e diretto se ne rispetti l’essenza. Nei primi anni novanta ho portato il fado in India, in Sud America, in Brasile e nella zona africana del Maghreb, cantando anche in lingua berbera nel doppio live A brisa do coração e questo atteggiamento aperto che elude le frontiere, gli ostacoli di comunicazione causati da linguaggi o religioni differenti ha fatto crescere la mia musica evolvendo la radice stessa del fado folclorico.Tappa a Óbidos, delizioso borgo medievale che mi ricorda Mont-Saint-Michel per via dell’unica strada da percorrere per salire fino a chiese e castelli, con ai lati esclusivamente negozietti di
souvenirs
e assaggi del liquore di amarene. Ricordo che, quando andai in Normandia,
decidemmo di andare prestissimo, sì da non incontrare folla. Qui la folla ce la
becchiamo, ma tant’è: a volte è anche rilassante fare il turista stupido. Infatti, malgrado l’acquedotto del XVI secolo (no, non è romano), abbastanza spettacolare,
il castello fortificato e medievale che a me fa un po’ l’effetto Lego (ma è per davvero antico),
la
chiesa di S. Maria (Igreja de S. Maria), in cui furono celebrate le
nozze tra Alfonso V e sua cugina Isabel, rispettivamente di 10 e 8 anni (1441)... quel che più mi è piaciuto è la degustazione del Ginjina, il liquore di amarene
(20% vol), accompagnato (o non) da amarena macerata nello sciroppo, deposta sul
fondo del contenitore con uno stuzzicadenti. 1€50
a bicchierino, ne ho presi tre nel giro di un’ora; non dà nessun effetto
collaterale, assicuro.
Replicato in casa, al rientro (il turista stupido compra souvenir e bottigline da 100 cl di ginjina), con il vasetto delle amarene Fabbri (lodevole azienda), l'esperimento è riuscito.
Ah, dimenticavo: a Óbidos, per 1€, viene servito al tavolino un vero caffè (curto) Lavazza, nel baretto gestito da un italiano (vero o falso che sia, il caffè è buono) accanto all’acquedotto.
Sto saltando deliberatamente le chiese, le cattedrali e i
santuari: ne parlerò più diffusamente altrove (forse).
Passiamo alla luminosa Nazaré, a nord di Óbidos, il villaggio
famoso nel mondo dei surfisti per le sue onde. In verità, la temporada de
olas gigantes (debbo tradurre?) ha luogo - quando e se ha luogo – nel
periodo compreso tra novembre e febbraio. Il record registrato di altezza
«domata» da un surfista tedesco, Sebastian Steudtner, è di 28 metri.
Metto il video, molto più eloquente di me:
Nota gastronomica: come sbagliare il pranzo. Eccomi. Il posto è ottimo, i miei compagni di viaggio scelgono il risotto con la rana pescatrice (o coda di rospo), gamberi e vongole (ma bisogna aspettare, ché fanno tutto lì per lì - e io vado di fretta perché ho fame), altri scelgono il polpo (ma a me non fa impazzire), altri ancora optano per una tagliata di vitella (ma vado in Portogallo in riva all’oceano per mangiare la carne?). Sicché scelgo un piatto speed che a Parigi si trova in tutti i Léon de Bruxelles (oggi solo Léon) il piatto nazionale belga, si può dire, anche se la cosa mi ha sempre fatto sorridere: (cocotte de) moules – frites. Ergo, cozze e patatine fritte.
(foto wikipedia - le cozze come me le aspettavo e come non ho mangiato)Risultato: attendo lo stesso tempo degli altri, anche di più.
Mi vengono servite le cozze nel coccio fumante e va bene, ma il sapore del
mitilo naufraga nel pomodoro aggiunto in abbondanza e il gusto si svilisce. Le
patatine fritte sono vecchiarelle, riscaldate e dure. E meno male che ho
impedito di aggiungere il coriandolo (che insieme al cumino è la spezia
aromatica che odio di più al mondo) a favore del prezzemolo. E i miei
commensali? Tutti contentissimi dei loro piatti. Quello vincente? L’arroz de
tamboril (risotto con rana pescatrice, gamberi e vongole).

Aneddoti a parte, si arriva alfine a Coimbra. Cena in albergo
e poi si esce. Ormai stiamo formando un gruppetto di persone che si trovano
bene insieme: negli orari liberi, mangiamo insieme, passeggiamo insieme. Il
nostro bell’hôtel si trova però in una zona un tempo commerciale (con
riferimento al fiume), oggi abbastanza fatiscente. È incredibile questa
sensazione di délabrement, di rovina, di degrado su cui si posano i
nostri occhi non appena usciamo dalla zona bella e monumentale. Già il fatto
che la maggior parte delle strutture abitative del Portogallo non abbia i
riscaldamenti mi ha scioccato.
E quindi usciamo la sera per le vie d’attorno e troviamo un senso di abbandono, negozi chiusi da anni, portoni polverosi… passiamo davanti a una caserma di vigili del fuoco, i pompieri. In portoghese si dice bombeiros (più avanti tornerò sui loro luoghi di sepoltura).
mural a Coimbra
Murales come questo stanno a promuovere la
riabilitazione di quartieri come Baixa (la periferia fuori dalla cinta
muraria) che, come scritto sopra, sembrano appartenere alla città di nessuno.
Erano le zone commerciali, il fiume Mondego non è lontano. Speriamo che la
riqualificazione di certi quartieri urbani non operi quel «salto di qualità»
che risponde al nome di gentrificazione, perché allora chi abita in
queste case, non potrà rientrarvi più. Operazione simile la vidi fare a Parigi,
molti anni fa, nel 18° arrondissement, all’altezza della stazione della
metropolitana Marx Dormoy (linea 12), verso la Gare du Nord, in un quartiere
difficile e multiculturale, non ben amalgamato. L’ho rivisto fare, qualche anno
dopo, nel 19° arr., métro Crimée (linea 7), sul bellissimo canale
dell’Oise, sotto la Géode. Verrebbe da dire quem, quê, onde, como…
Si va a dormire, domani ci aspetta la Biblioteca Joanina. (continua)
La seconda parte sarà pubblicata il 3 DICEMBRE 2025
[1]https://www.coimbra.pt/2025/07/mural-do-largo-das-ameias-com-qr-code-que-explica-a-lenda-da-batalha-da-cobra/

























Sono stata in Portogallo nella seconda metà degli anni '90 e mi ritrovo molto nelle tue descrizioni e sensazioni, devo tornare. I viaggi organizzati hanno dei pro ,ma anche molti contro, soprattutto si è costretti a vedere tanto e non con i propri tempi. A volte si ha bisogno di silenzio , in particolar modo per penetrare nella profonda malinconia dei portoghesi e della loro terra. Attendo la seconda parte e grazie per avermi fatto ricordare.
RispondiEliminaSono di Roma, ma vivo in Portogallo da sei anni e oggi posso dire che mai scelta fu più felice
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