AIUTATEMI: VOGLIO PERDERE IL MIO LAVORO (UNICEF) ~ DI PAOLO ROZERA - TECLAXXI

 

UNICEF

 

Paolo Rozera

 

Aiutatemi: voglio perdere il mio lavoro

la foto è CC0 e l'ha scattata Porapak Apichodilok 

 

So di fare uno dei più bei lavori al mondo: ho il privilegio di salvare vite umane, in particolare le vite di bambini, bambine, ragazze e ragazzi in tutto il mondo. In qualsiasi parte del mondo la loro vita è in pericolo o non è degna di questo nome, la mia organizzazione interviene. Lo fa da 78 anni, io faccio questo lavoro da 33 anni.

Ma io oggi vorrei chiedervi di aiutarmi a perdere il mio lavoro. Sì, avete capito bene, voglio perdere il mio lavoro, non perché voglio cambiare attività o andare in pensione, ma perché, se perdessi il mio lavoro, significherebbe che non ce ne sarebbe più il bisogno.

Vi chiedo di aiutarmi a capire come. Io ho fatto alcuni ragionamenti e volevo condividerli con voi.

 

La situazione dell’infanzia del mondo oggi è peggiore di quella che si aveva davanti agli occhi dopo la devastazione della Seconda guerra mondiale: guerre, cambiamento climatico, sfruttamenti di vario tipo non permettono a una gran parte della popolazione sotto i 18 anni di poter vivere una vita degna di essere vissuta.

Magari state pensando che sono fuori di testa, se penso di poter cambiare questa situazione. Io non solo lo penso ma sono sicuro di riuscirci! Se voglio rendere il mio lavoro non necessario dobbiamo fare qualcosa di grosso, di eclatante, partendo da qualcosa di molto semplice.

Un primo passo che sono sicuro di fare è: usare la narrazione. Sapete cosa realmente significhi la parola narrazione? «Parte dell'orazione secondo l'antica retorica: consisteva nell'esposizione obiettiva del fatto». Pensate che rivoluzione! L’esposizione obiettiva dei fatti! Non è una cosa impossibile, oggi abbiamo strumenti incredibili per cercare dati su tutto, per approfondire, per capire. Non è un esercizio difficile, forse la prima volta, poi diventa un modo di essere che cambia la percezione del mondo. 

Pensiamoci un attimo: tutte le narrazioni che abbiamo sentito o studiato sono veramente «l’esposizione obiettiva dei fatti»? Io non lo penso.

Un primo obiettivo allora è quello di raccontare in modo obiettivo le cose, di non accontentarsi di quello che trovo in un messaggio sul cellulare o in un post su un social network, ma cercare i numeri reali, imparare a riconoscere le fonti sicure, vedere tutti gli aspetti di un fenomeno che mi ha colpito. E poi diventare narratore, ognuno di noi può diventare un narratore, un raccontatore obiettivo dei fatti. 

Vi chiederete: e questo cosa cambia? Cambia molto, cambia tutto. Un velo vi si squarcerà davanti e vedrete un mondo diverso e saprete cosa fare. Pensate come sarebbe determinante sulle nostre azioni, sui nostri convincimenti riuscire ad avere un racconto obiettivo dei fatti, a partire dal quale fare le nostre scelte. 

Sono partito pieno di raffigurazioni negative: tante zone deserte, guerre, violenza, violazione dei diritti. Alcune di queste cose erano corrette, ma ci sono anche persone che si svegliano tutti i giorni per costruire un paese diverso. Sono quelli che scavano i pozzi per avere l’acqua, quelli che coltivano le mele, mele di un sapore speciale, perché rappresentano la voce del riscatto. Quando mi sono trovato di fronte a un verde frutteto sono rimasto a bocca aperta, Ero convinto che i racconti che avevo sentito non erano narrazione, o almeno non l’intera narrazione. Forse se qui in Occidente iniziamo a raccontare anche delle mele, potremo dare un vero contributo alla lotta contro la violazione dei diritti che ancora continuano in questo paese. La narrazione può fare la differenza, la narrazione può aiutarmi a perdere il mio lavoro. 

Ma la narrazione da sola non basta, il compito è arduo e ci vuole qualcosa di ancora più coraggioso e impegnativo. La sostenibilità, questo difficile arcano!

Sì, perché il mio lavoro può essere inutile se un bambino vive in un mondo che per lui sia sostenibile! Lo so, sostenibilità è un termine abusato è importante circoscriverlo bene. Mi faccio aiutare da due foto. Per spiegare cosa intendo per sostenibilità. La prima ci fa vedere un bambino africano che ogni giorno deve fare almeno sei ore di cammino (tre ad andare e tre a tornare) per arrivare a una fonte e prendere vari litri d’acqua per la sua famiglia, questo è il suo compito. Ha il suo ruolo nella società, lui è sicuramente resiliente! Ma per prendere l’acqua, lui non può frequentare la scuola che per tutti i bambini del mondo rappresenta l’unico mezzo per poter cambiare in meglio la propria realtà e costruire una vita. Non voglio che i miei figli siano resilienti, ma voglio che la loro vita sia sostenibile! Io non voglio che quel ragazzino africano sia resiliente, per lui vorrei che possa vivere una vita sostenibile, a livello sociale, ambientale, educativo, sportivo; così come lo voglio per i miei figli e voi lo volete sicuramente per i vostri. C’è per caso una soluzione? Un semplice pozzo al costo di meno di 20.000 euro di facile manutenzione. Grazie a questo pozzo, quel bambino non deve fare un lavoro massacrante e può andare a scuola.       

Altro esempio per inquadrare cosa intendo per sostenibilità. Prendiamo un mattone di plastica riciclata. Questo è un esempio molto semplice di sostenibilità prorompente che sfrutta gli scarti di una società insostenibile per costruire un presente e un futuro possibili. Mi spiego: molti, delusi e afflitti dell’eco-ansia, dicono sia troppo tardi per diventare sostenibili, perché ormai abbiamo fatto troppi errori e molti sono irreparabili. Secondo me, non è vero, Possiamo ancora rimediare, ma dobbiamo sbrigarci, dobbiamo farlo tutti e adesso.

Come sapete, l’Africa è diventata la pattumiera a cielo aperto dei nostri rifiuti e dei nostri scarti. In un paese dell’Africa, donne e ragazze hanno fatto un corso per essere in grado di individuare qual è la plastica che si può riciclare, l’hanno raccolta, l’hanno venduta a un’azienda che sul posto ha trasformato questa plastica in un mattone di plastica riciclata. Costa il 40% in meno di un mattone normale. Ḕ il 20% più leggero, è ignifugo e isola dal caldo e dal freddo, non ha bisogno di malta ma si incastra come i lego, costa solo 2 euro. Con questi mattoni sono state costruite aule scolastiche prima fatte in fango e legno. Occupazione femminile, riduzione rifiuti, scuole nuove. Questo è per me il concetto di sostenibilità. In più, da un anno l’azienda straniera che trasforma la plastica in mattoni è stata sostituita da un’azienda locale.

Un ultimo punto. È impensabile pensare di salvare i bambini, le bambine, le ragazze e i ragazzi senza ascoltarli. Come possiamo dar loro una vita degna di essere vissuta, se non li rendiamo protagonisti con l’ascolto e la partecipazione? In fondo, il loro problema siamo noi adulti, siamo noi adulti che troviamo sempre cento modi diversi per farli soffrire. E quando non è così, loro, la parte più debole della popolazione, soffrono comunque conseguenze spesso mortali per situazioni che non hanno contribuito a creare, non ne hanno avuto il tempo. Coinvolgiamoli! Non per manifestazioni o parate occasionali, ma rendiamoli partecipi in un progetto concreto che può cambiare il loro futuro. Un giovane così impegnato diventa un fattore indispensabile per la sostenibilità della nostra società. Un bambino ascoltato è un investimento per il futuro di tutti. Ricordatevi che un mondo a misura di bambino è un mondo migliore per tutti

 

In conclusione, si può affermare che la narrazione e la sostenibilità sono categorie imprescindibili per rendere degna di essere vissuta la vita di tutti i bambini del mondo, sono la narrazione e la sostenibilità a potermi far perdere il mio lavoro. Mancano però due elementi all’appello.

       Il primo siete voi anzi, siamo ognuno di noi! Per farmi perdere il lavoro ci dobbiamo impegnare tutti e tutte, ognuno nel suo piccolo, ognuno di noi è portatore di una narrazione che può cambiare il corso delle cose, ognuno di noi può rendere sostenibile la propria vita, ed è così semplice partire da sé stessi, dalla propria famiglia, amici e parenti. 

Il secondo è la passione, faccio il mio lavoro con molta passione, per farmelo perdere dovrete essere ancora più appassionati di me. Se c’è una cosa che ho imparato nella mia vita è che la passione fa la differenza.

Quindi, coraggio! Datemi una mano, siate capaci di ascoltare i giovani e i bambini, siate appassionati narratori di una sostenibilità possibile che è dietro l’angolo della prossima azione che faremo! E io forse, spero un giorno molto vicino, dovrò cercarmi un altro lavoro.

 [Questo testo riprende una conferenza tenuta da Paolo Rozera a Imola il 28 settembre 2024 nell’ambito di Tedx Imola]

PAOLO ROZERA 

BIONOTA Paolo Rozera è Direttore Generale dell’UNICEF Italia dal 2015. Ha condotto diverse missioni in Etiopia, Moldavia, Ucraina, Giordania, Libano, Mali, Iraq, Laos, Repubblica Democratica del Congo, Turchia, Afghanistan e Tunisia. Dal 1991, ha ricoperto vari ruoli nell’organizzazione, tra i quali quello di Responsabile dell’Ufficio Risorse Umane dal 2008. È stato docente presso la LUISS e ha conseguito laurea in Scienze Politiche a «La Sapienza”» e un Executive MBA presso la LUISS. Scout dall’età di 6 anni, è stato rappresentante della Scautismo Mondiale presso la FAO. Appassionato di moto e basket, vive a Frascati con la moglie Laura e i figli Lorenzo e Riccardo.

 

Commenti