Prometeo: il fuoco e l'ananke (PSICOLINGUISTICA) ~ di Renato Proietti - TeclaXXI

 

PSICOLINGUISTICA


Prometeo: il fuoco e l'ananke

di Renato Proietti


                       Theodor Rombouts, Prometeo, 1620 (Museo Reale di Belle Arti, Anversa, Belgio)


Superbo e orgoglioso, Prometeo non ne vuole sapere di sottomettersi al volere di Zeus nonostante il coro delle figlie di Oceano gli consigli il contrario. Alle Oceanine, sue zie, il titano rivela che sa che proprio un discendente di Zeus verrà a liberarlo; e rivela anche di essere a conoscenza di un segreto che potrebbe rovesciare il potere degli dei olimpici.

Non obbedirà quindi a Ermes, inviato da Zeus perché riveli questo segreto… “Invano m’importuni, come se ti rivolgessi all’onda del mare. Mai ti venga in mente che io, per paura di Zeus, assuma un animo femmineo e con mani supine, a guisa di  donne, implori chi tanto mi è inviso di sciogliermi da queste catene: ne sono del tutto lontano”.

Ad ogni atto di hybris corrisponde tuttavia una nemesis: non basta che sia incatenato al Caucaso, né che un’aquila venga ogni mattina a dilaniargli il fegato che ogni giorno gli ricresce: Prometeo verrà sprofondato nel Tartaro con tutta la rupe cui è incatenato.

Ma qui siamo già alla fine del “Prometeo incatenato” di Eschilo: andando con ordine, vedremo che il mito assume diverse narrazioni nei secoli, e poi diverse interpretazioni. Nella Teogonia di Esiodo Prometeo è un Titano, figlio di Giapeto, che si schiera dalla parte di Zeus contro i suoi stessi fratelli per la conquista del dominio dei cieli. Sprofondati i suoi fratelli nel Tartaro, Zeus invitò Prometeo a governare gli uomini, pur rimanendo lui stesso “padre e signore degli dèi e degli uomini”: ma durante un pranzo in un incontro fra dèi e uomini a Mécone, Prometeo suddivise il bue sacrificato agli dèi in due parti. Una in cui pose tutte le ossa, abbellita con una copertura di ricchissimo e bianchissimo adipe, che destinò agli dèi, mentre agli uomini riservò la parte commestibile fatta di carni e interiora, ricoperta da una pelle repellente.

Il gesto non era certamente casuale: poiché gli dèi si nutrivano di nettare ed ambrosia, il sacrificio era un inutile gesto di sottomissione con cui gli uomini si privavano del necessario. Pure, Zeus si infuriò e inflisse agli uomini una tremenda punizione, sottraendogli il fuoco, necessario alla tecnica, alle arti, al sopravvivere alle intemperie, alla nutrizione stessa: ossia a tutte quelle attività attraverso le quali l’uomo si sottraeva al controllo esercitato dalle forze naturali.

Prometeo difese ancora gli uomini, riportando loro il fuoco sottratto nuovamente con l’inganno a Zeus: ma la nèmesis fu terribile e complessa. Il Titano venne legato, come detto, al Monte Caucaso, ma soprattutto Efesto venne incaricato, insieme ad Atena, di creare dal fango una bellissima donna: senza commentarle cito le parole di Esiodo…

“Ammirazione prese gli dei immortali e gli uomini mortali, come videro il rovinoso irreparabile inganno per gli uomini.

A lei si deve se esiste la funesta razza e generazione della donne, flagello grande, esse abitano fra gli uomini mortali, amiche non di lugubre povertà ma di abbondanza (…) così, a sciagura degli uomini mortali, Zeus tuonante creò le donne, assorte in tristi azioni (…) Non è possibile dunque ingannare il consiglio di Zeus, né trasgredirlo. Neppure il benefico Prometeo Giapetionide si sottrasse alla sua pesante ira, ma di necessità un forte laccio lo imprigiona, lui così abile”.

 

Da Esiodo ad Eschilo

 

Per Esiodo, quindi, c’è solo un gioco di hybris e nemesis fra il Titano “che pensa prima” (di agire) e il Dio “dai buoni consigli”: il mito si fa assai più complesso in Eschilo, che dedica al tema una trilogia della quale è rimasta documentazione solo del “Prometeo incatenato”. In questa versione, anche il fratello di Prometeo, Epimeteo (“colui che pensa dopo”) partecipa alla Titanomachia dalla parte degli Déi. Dopo la vittoria i due fratelli vengono ammessi ad entrare nell’Olimpo, e Zeus dà a Prometeo il dono di poter forgiare l’uomo,, che egli creò dal fango ed animò col fuoco, sottratto id nascosto.

Ad Epimeteo viene invece assegnato il compito di distribuire qualità e dotazioni fisiche che permettessero la sopravvivenza: ma lo sciocco fratello le distribuì a caso, e proprio gli umani rimasero privi di qualità: Prometeo rimediò donando agli umani la memoria, presa da uno scrigno di Atena. In tal modo, guidati dalla luce del fuoco e potendo imparare dalla propria esperienza, gli umani iniziarono a distaccarsi dagli Dèi, generando dubbi in Zeus: è a questo punto che avviene la spartizione al convivio di Mècone. Zeus, spaventato dall’intelligenza umana, sottrasse allora il fuoco ma Prometeo, con un inganno e grazie ad Atena, riuscì ad entrare di nascosto nell’Olimpo e a sottrarre con una ferula il fuoco ad Efesto, riportandolo agli uomini. Sempre più adirato, Zeus fece allora forgiare ad Efesto una    bellissima donna che chiamò Pandora, e che non era, come in Esiodo, bramosa e seduttrice, quanto curiosa e stolta. Le affidò un vaso ordinandole di non aprirlo mai e la offrì quindi in sposa ad Epimeteo che, però, venne avvertito dal fratello di non accettare i doni di Zeus. Fu allora che si scatenò l’ira del padre degli Dèi con la punizione di Prometeo: ed Epimeteo, pentito, sposò Pandora con tutte le conseguenze che sappiamo. I doni di Prometeo si rivolsero quindi contro gli uomini stessi che iniziarono a scontrarsi fra loro, utilizzando la tecnica del fuoco contro i nemici.

Il mito quindi, in Eschilo, assume connotati differenti: il primo che salta agli occhi è che il fuoco non rappresenta solo la tecnica, ma fornisce all’uomo la luce, che non solo consente di vedere e quindi conoscere il mondo, ma può essere inteso come il lume della ragione, della razionalità contrapposta alle passioni (che sono invece contenute nel vaso di Pandora). Anche Prometeo qui pensa poco: non è forse quella passione espressa nel brano dal quale siamo partiti a guidare tutto il suo pensiero? E infatti, nel dialogo con le Oceanine, nonostante non ne voglia sapere di inchinarsi a Zeus Prometeo ammette di aver sbagliato, di aver offerto agli uomini “cieche speranze” sfidando gli Déi: “la tecnica (technè) è troppo più debole della necessità (ananke)”.

Ananke… la necessità è intesa, in questo termine, come fato, destino, inevitabilità: e Prometeo, con questa frase,  rivela tutta la fragilità dell’essere umano. Non si svela come l’eroe positivo, salvatore del genere umano e liberatore dal giogo della superstizione,  come nel corso dei secoli (soprattutto con l’Illuminismo e poi con il Romanticismo) verrà descritto.  Dona sì all’uomo la tecnica, gli dona la luce, il lume della ragione che darà luogo alla conoscenza scientifica: pure, si rende conto che sostituirsi agli Dèi nell’affrontare il proprio destino (ananke) significa nutrire una “cieca speranza”. Eppure non rinuncia alla nobile battaglia: è come se il suo pensiero si fosse cristallizzato, in un alternare continuo fra una visione e l’altra.  Si trova in una sorta di dubbio perenne, di pensiero… anancastico, che non a caso è il termine col quale la psicopatologia fenomenologica definisce il pensiero ossessivo, ripetitivo, senza una soluzione plausibile. La ragione, il pensiero, la scienza sono cause di Bene o di Male? E’giusto o non è giusto sostituirsi agli Dèi?

E’ condannato a un dubbio eterno che lo erode, donando così senso al supplizio dell’aquila che “erode” il fegato del bilioso  Titano.

Arriverà Platone, nel “Protagora”: a risolvere questo dubbio: Prometeo, come lui stesso preconizzava, sarà liberato sì dal giogo di Zeus… ma nel frattempo Atena ed Ermes, sempre dietro il “buon consiglio” di Zeus, avranno insegnato agli uomini l’arte dell’uso saggio della politica… la sola che può moderare le passioni umane spingendoli verso la collaborazione e l’edificazione di civiltà. Civiltà che possano autodeterminarsi, dandosi delle leggi e dei governi  “etsi Deus non daretur”, come se Dio non ci fosse. Ma non sostituendosi al Dio nell’affrontare il fato, il destino, la necessità… in una parola, l’ananke.

    RENATO PROIETTI



BIONOTA

65 anni, psichiatra e psicoterapeuta, a tempo perso attore amatoriale... A tempo pieno marito e padre. Studioso di Scienze della cognizione, dedico il poco tempo libero alla ricerca e alla riflessione epistemologica: coscienza e costruzione dell'identità personale sono i temi che mi appassionano.

Commenti