Adriano Olivetti – Un altro capitalismo era possibile? III PARTE Adriano l'antifascista (STORIA) ~ di Riccardino Massa - TeclaXXI

 STORIA

 

Adriano Olivetti – Un altro capitalismo era possibile?

 Parte terza – Adriano l'antifascista

di Riccardino Massa





“Adriano cominciava a perdere i capelli e aveva ora una testa quasi calva e quadrata, cinta di riccioli cresputi e biondi. Quella sera, la sua faccia e i suoi pochi capelli erano come frustati da un colpo di vento. Aveva occhi spaventati, risoluti ed allegri; gli vidi, due o tre volte nella vita quegli occhi. Erano gli occhi che aveva quando aiutava una persona a scappare, quando c’era un pericolo e qualcuno da portare in salvo”.

 

Così lo descrive Natalia. Era la sera che arrivò a casa dei Levi a Torino. Il 2 dicembre 1926, Carlo Rosselli era riuscito a convincere Filippo Turati a espatriare. Il pericolo fascista si faceva incombente. Erano passati due anni e mezzo dal 10 giugno 1924 quando Giacomo Matteotti era stato ucciso dai sicari di Mussolini e quasi due anni dal discorso del 3 gennaio del 1925, quando Mussolini in parlamento dichiarò di assumersi “la responsabilità politica morale e storica di tutto quanto avvenuto”. Ora anche la vita di Turati era in pericolo.

Il piano prevedeva un breve soggiorno presso gli Olivetti a Ivrea. Turati dormì a casa di un dipendente dell’azienda, in quanto anche la casa di Adriano sarebbe stata pericolosa. Filippo Turati era stato amico di Camillo Olivetti, benché non si riconoscesse nella sua politica. Ma dopo la fuga di Treves e Saragat in Svizzera e ad un anno dalla morte della moglie, era giunto il momento di portare in salvo anche lui. Se ne occupò lo stesso Adriano, portandolo a casa dei Levi a Torino.  Poi, alle otto di sera del 7 dicembre con due auto (nella prima auto Adriano Olivetti e Ferruccio Parri facevano da staffetta per verificare se non vi fossero posti di blocco della polizia, nella seconda auto Carlo Rosselli e Filippo Turati), percorrendo strade impervie ingombre di neve tra l’appennino ligure e le Alpi marittime, viaggiarono verso l’imbarco di Vado Ligure dove Sandro Pertini aveva organizzato l’espatrio con il motoscafo pilotato da De Bove e Oxilia.

 

“Mi interessava quella giovane personalità già così sicura di sé, piena di dominio di sé anche di fronte al pericolo: ne avremmo avuto bisogno nella lotta clandestina che si veniva iniziando… Suo padre aveva bisogno di lui, l’azienda aveva bisogno di lui… il suo destino era un altro. Ci salutammo la mattina a Savona, io ero un poco deluso”.

 

Ma l’antifascismo in casa Olivetti era già stato in parte punito quando, nella notte tra il 20 ed il 21 luglio del 1924, le squadracce fasciste irruppero nella sede torinese del giornale “Tempi nuovi” devastandolo. Il giorno successivo al discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, lo stesso giornale fu costretto a cessare le pubblicazioni.

Il controllo della famiglia Olivetti da parte del Regime era iniziato da parecchio e derivava già da dossier che provenivano dal sistema di polizia dello Stato Liberale antecedente al fascismo e che aveva schedato il padre Camillo nel periodo del biennio rosso. La prima schedatura di Adriano invece si trova nel dossier della questura di Aosta. L’intestazione del dossier dice: “Olivetti Adriano di Camillo. Classifica: Sovversivo”. Però, chi pensasse che ciò derivi dal suo coinvolgimento nella fuga di Turati si sbaglierebbe.   Invece questo suo ipotetico sovversivismo nacque prima di tutto dal suo viaggio negli Stati Uniti d’America. La prima informativa nel dossier è la copia di una lettera che Adriano scrive ad uno zio (Ottavio Revel) che abita a Santa Barbara in California. Era il 26 dicembre del 1925. Certo il regime fascista il passaporto continuerà a concederglielo, ma dovrà essere “…predisposta nei confronti del medesimo cauta e opportuna sorveglianza allo scopo di meglio accertare l’attività politica del medesimo”. D’altra parte, il controllo puntuale della corrispondenza che Adriano avrà con il padre, soprattutto durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, permetterà alla questura di leggere le battute sferzanti su Mussolini e sul fascismo di cui sono costellate le sue lettere. Cose che emergeranno successivamente anche nei rapporti ed i legami con l’organizzazione di Giustizia e Libertà.

Siamo in una fase particolarmente repressiva del regime. Anche l’azienda sta rischiando. Il momento peggiore è quando al confine con la Svizzera viene fermata un’auto, dove all’interno i doganieri trovano manifesti a firma “Giustizia e Libertà”. Siamo a Ponte Stresa è l’11 marzo del 1934 e vi è un controllo della polizia al valico stradale che confina con la Svizzera. Un giovane fermato riesce a divincolarsi ed a buttarsi in un fiume, attraversarlo a nuoto, è salvato da doganieri svizzeri. Il giovane era Mario Levi, fratello di Gino e di Paola, che da un anno lavora anch’egli in Olivetti. Il compagno di questo giovane fuggiasco è arrestato, si chiama Sion Segre e, probabilmente sotto una qualche forma di tortura (se non fisica, sicuramente psicologica) confesserà il nome del complice. Partono gli arresti e viene smantellata la cellula torinese di Giustizia e Libertà. In carcere finiranno Carlo Levi, il fisico Mussa Ivaldi e Leone Ginzburg, il futuro marito di Natalia Levi. Così si viene a scoprire che proprio attraverso l’azienda era possibile far viaggiare all’estero Mario Levi e farlo incontrare con i centri clandestini dell’organizzazione antifascista. Siamo dunque nei primi mesi del 1934. Mentre a Camillo Olivetti viene ritirato il passaporto, l’azienda si salva solo per il fatto che Adriano Olivetti dal 31 luglio del 1933 risulterà iscritto al Partito Nazionale Fascista. Ma chi pensasse ad una adesione convinta al regime, anche in questo caso si sbaglierebbe. La sua fu principalmente una azione consapevole a difesa dell’azienda paterna. Lo riporta un documento della stessa polizia politica:

 

“Si ha piuttosto l’impressione che egli abbia chiesta la iscrizione per evidenti ragioni di opportunità avendo un’azienda che ha necessità di essere tutelata e sostenuta dal governo” .

 

Un particolare controllo da parte della Polizia Politica su Adriano avvenne anche per il viaggio che fece insieme ad altri industriali nell’estate del 1931 in Unione Sovietica a visitare le Industrie.

Adriano giudicherà gli sforzi sovietici positivamente ritenendo un notevole sviluppo quantitativo, anche se sarà critico sull’efficienza.

Non sarà quindi un amore per il regime fascista. Sarà invece un’adesione ragionata legata principalmente all’opportunità di salvare l’azienda. Mentre, invece, ci sarà un suo convincimento verso il corporativismo economico. Ora, giudicare il corporativismo con i nostri occhi moderni potrebbe essere fuorviante per la comprensione di quello che era questa idea economica all’epoca. Era finita l’epoca del liberismo economico e sembrava necessario cambiare il sistema economico di riferimento. Anche se il regime fece sue le idee del corporativismo ai fini del controllo del potere, bisogna tener presente che la riflessione degli economisti italiani sostenitori di questa tesi, non sempre assunse una adesione o affiancamento di questi al regime, ma piuttosto la loro era una radicale opposizione al pensiero economico tradizionale.  È di quegli anni l’amicizia con due particolari architetti del periodo razionalista, Luigi Figini e Gino Pollini i quali aderirono al Partito Nazionale Fascista. Negli anni 30 vi è il maggior consenso da parte degli intellettuali verso il regime. Il dirigismo in economia dopo la crisi del 1929 ha sostituito il liberalismo. Nel 1933 si fonda l’IRI. E sembra per la prima volta che sia inaugurata una nuova era di pianificazione economica e urbanistica. È il periodo nel quale tutti gli architetti e gli urbanisti italiani sembrano propendere per una adesione al regime₁₀.

Ma il regime non ama Adriano, come non ama l’Olivetti. Nel suo viaggio ad Ivrea del 19 maggio 1939 Mussolini stesso, decide di non visitare l’azienda.

Fu un vero atto politico, in quanto il Duce riteneva da tempo che quello potesse essere un covo sovversivo₁₁.

La sensibilità dimostrata da Adriano sui problemi sociali del lavoro e del rapporto con il territorio si tradussero nella realizzazione fra il 1934 ed il 1943 in imponenti progetti di intervento urbanistico concepiti in una azione di politica assistenziale delle maestranze. E questo non piacque al sindacalismo fascista.

Adriano dovrà uscire dall’Italia, ma ciò avverrà solo nel periodo della guerra, quando vivrà come esule in Svizzera. Ma la sua azienda, che lui dirigerà da lontano, continuerà a essere uno dei centri del secondo antifascismo italiano, quello che realizzerà il periodo resistenziale. Già nel 1942 si costituì in fabbrica un gruppo antifascista, protetto dalla dirigenza aziendale, cui faceva capo una rete clandestina di distribuzione della stampa GL.

 Dopo l’8 settembre del 1943, con l’occupazione tedesca, la Direzione aziendale fu costretta a consegnare agli occupanti tutta la produzione industriale, peraltro intenzionalmente ridotta per non favorire i tedeschi. Così facendo però riuscirono a difendere gli impianti. Poi, nei giorni successivi, all’interno della fabbrica e in modo clandestino si organizzò un comitato interpartitico composto da diversi operai e da Dirigenti dell’azienda (fra questi l’ingegnere meccanico Willy Jervis, membro del Partito d’Azione che morì partigiano, fucilato a Villar Pellice il 5 agosto del 1944). Fu il primo nucleo del CLN di fabbrica che si formò definitivamente nel giugno del 1944 e che nei giorni della liberazione divenne il CLN cittadino. Nel corso della guerra di liberazione saranno 24 gli operai Olivetti che cadranno in combattimento nelle formazioni partigiane.

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₁ Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, Einaudi, Torino 1963.

₂ Anna Moiseevna Rozenštein, meglio conosciuta con il suo pseudonimo di Anna Kuliscioff.

₃ Ferruccio Parri, L’utopista positivo, in “Il Mondo”, Roma, 15 marzo 1960

₄ Fino al dopoguerra, la città di Ivrea e parte della zona del Canavese erano ritenuti provincia di Aosta, la modifica e la sua collocazione nella provincia di Torino avvenne solo con il decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1945 n. 545.

₅ Lettera Divisione Affari Generali e riservati, sez. seconda, Roma, 30 maggio 1931, indirizzata a S. E. il Prefetto di Aosta.

₆ Rapporto dell’O.V.R.A. – Giustizia e Libertà. Notizie sull’organizzazione di Torino, 19 dicembre 1933.

₇ Promemoria dell’O.V.R.A. -Ing. Adriano Olivetti, presso l’Archivio Centrale dello Stato, 12 maggio 1934.

₈ Documento scritto da Adriano Olivetti dal titolo; L’organizzazione industriale in Unione Sovietica, agosto 1931. 

   Dattiloscritto presso l’archivio Silvia Olivetti Martinoli, Banchette d’Ivrea.

₉ Renzo De Felice, “Gli anni del Consenso” – Einaudi

₁₀ Anche il grande Le Corbusier nel 1934 presente a Roma, si offre come tecnico a Mussolini al fine di cambiare il volto delle città.

₁₁ Il primo no venne espresso da Mussolini già per una mostra sul “Piano Urbanistico della Valle Aosta” ed il segretario del P.N.F. Pavolini chiede al Duce di inviare all’inaugurazione un membro del Governo. – Appunto del Duce, 3 luglio 1937, Archivio di Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, anni 1937-39, fasc. 7-1-2/1644



RICCARDINO MASSA

BIONOTA

Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.

 

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