Metaverso: immaginare il futuro per trasformare il presente (PENSIERO FILOSOFICO)
PENSIERO
FILOSOFICO
Roberto Zanata
Metaverso:
immaginare il futuro per trasformare il presente
Il presente
contributo intende proporre una riflessione critica sulla condizione ambientale
attuale, segnata da una complessità e gravità tali da rendere necessario un
ripensamento radicale delle strategie globali rivolte alle crisi ecologiche e
sociali. In questo contesto, la tecnologia riveste un ruolo ambivalente: se da
un lato ha contribuito in maniera significativa al degrado ambientale e allo
sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, dall’altro
può configurarsi come leva potenziale per l’elaborazione
di soluzioni sostenibili, a condizione che venga riorientata attraverso un
approccio sistemico e interdisciplinare.
L’urgenza
di un nuovo paradigma tecnologico appare oggi inderogabile, giacché il modello
dominante – fondato su logiche estrattive e consumistiche – si è rivelato non
solo inadeguato, ma anche dannoso. È pertanto imprescindibile avviare un
dialogo strutturato tra saperi tecnico-scientifici e discipline umanistiche, in
grado di arricchire la progettualità tecnologica con valori, narrazioni e
visioni critiche. Tale convergenza tra scienza, arte, letteratura e filosofia
può fornire le coordinate per uno sviluppo più armonico e rispettoso dell’ambiente.
La portata e la
complessità della crisi attuale richiedono un impegno collettivo e
transdisciplinare, che coinvolga non soltanto le istituzioni politiche e le
competenze scientifiche, ma anche il patrimonio culturale e le capacità di
pensiero critico e creativo. È ormai un dato consolidato che la tecnologia, nel
suo impiego massiccio e spesso deregolamentato, abbia avuto un ruolo
determinante nel deterioramento delle condizioni ecologiche: dai cambiamenti
climatici alla perdita di biodiversità, fino all’inquinamento
sistemico. Tuttavia, risulta altrettanto evidente che solo attraverso una sua
profonda rifondazione si potrà delineare una risposta duratura ed efficace.
Questo processo
implica l’adozione di un metodo rigoroso e
multidimensionale, che sappia coniugare la precisione analitica delle scienze
esatte con l’immaginazione critica delle
discipline umane. In tale ottica, il metaverso può costituire un caso
emblematico: se depurato dalle narrazioni dominanti che lo riducono a mera
piattaforma di consumo e intrattenimento, esso può divenire un laboratorio
teorico e pratico per esplorare nuove forme di interazione tra reale e
possibile.
Il discorso qui
proposto si colloca all’interno di
un orizzonte teorico che già trovava fondamento in pensatori come Robert Musil.
Nel suo L’uomo senza qualità, egli
elabora la distinzione tra “senso della
realtà” e “senso della
possibilità”, attribuendo a quest’ultimo una
valenza conoscitiva autonoma. Il senso della possibilità non è fuga dalla
realtà, bensì uno strumento per immaginarla diversamente.
Questa intuizione
è oggi corroborata dalle neuroscienze, le quali dimostrano come le aree
cerebrali coinvolte nell’immaginazione
coincidano in larga parte con quelle attivate durante la percezione sensoriale.
Ne consegue che immaginare e percepire non siano attività antagoniste, bensì
processi neurocognitivamente interconnessi. L’immaginazione
va dunque riconosciuta come una funzione epistemica essenziale, capace di
guidare la progettazione di scenari alternativi e orientare l’azione
trasformativa.
Studi più recenti
hanno inoltre messo in luce il ruolo del default mode network ((in
italiano, rete di modalità predefinita), una rete di aree cerebrali che si
attiva spontaneamente quando la mente non è impegnata in compiti esterni
specifici – ad esempio, quando siamo a riposo, stiamo sognando a occhi aperti,
ricordando il passato, immaginando il futuro o riflettendo su noi stessi. È
stata scoperta nei primi anni 2000 grazie alla risonanza magnetica funzionale
(fMRI), che ha rivelato un pattern di attività cerebrale coerente durante gli
stati di quiete, ossia quando non stiamo svolgendo compiti cognitivi diretti
(come risolvere un problema matematico o osservare uno stimolo visivo preciso).
Tradizionalmente,
l’“inattività” mentale è stata
considerata tempo perso. Ma la scoperta della DMN ha rivoluzionato questa
visione: anche quando non facciamo nulla di apparentemente “produttivo”, il cervello lavora
attivamente in modo creativo, riflessivo e immaginativo. Lungi dall’essere un momento di inattività cerebrale, essa
rappresenta una condizione di elaborazione interna profonda, di “immaginazione vigile”, fondamentale per lo
sviluppo della creatività, dell’empatia e
delle capacità cognitive superiori. Questi risultati offrono una base
scientifica a intuizioni poetiche e filosofiche – come quella shakespeariana
secondo cui “siamo fatti della
stessa sostanza dei sogni” – riconoscendo alla dimensione del possibile una
funzione retroattiva sulla realtà.
A formalizzare
tale concetto, nel secolo scorso, ci pensò il filosofo Ernst Bloch con la sua
nozione di Effekt der Rückwirkung, cioè l’effetto
di retroazione del possibile sul reale, che sottolinea come la possibilità non
sia mera astrazione utopica, ma un motore effettivo di trasformazione. È un
principio secondo cui il futuro (o qualcosa che ancora non è accaduto) può
influenzare il presente e il passato, non in senso cronologico (come se il
tempo scorresse all’indietro), ma in
senso filosofico ed esistenziale. Un esempio visivo di questa dinamica è
offerto dalle opere di M.C. Escher, le cui strutture paradossali mettono in
discussione i codici percettivi consueti, sollecitando una riorganizzazione
dell’immaginario e dell’esperienza
sensibile.
Anche in ambito
letterario si possono individuare anticipazioni di tale inversione prospettica:
in Il ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde attribuisce al ritratto –
tradizionalmente inteso come rappresentazione passiva – una funzione epistemica
attiva, che riflette più fedelmente la verità del soggetto. In chiave
contemporanea, tale inversione trova un corrispettivo concettuale nel digital twin,
o gemello digitale, ovvero modelli virtuali dinamici che integrano dati in
tempo reale per rappresentare e gestire sistemi complessi. Lungi dall’essere una semplice replica della realtà, il gemello
digitale si configura come un dispositivo conoscitivo che amplia la capacità
predittiva e gestionale, estendendola a contesti urbani, industriali e
ambientali.
In questa
direzione si muove anche la riflessione filosofica di Silvano Tagliagambe, per
il quale il gemello digitale rappresenta un paradigma interpretativo, capace di
dar luogo a una “immaginazione
scientifica” rigorosa, fondata su un’interazione
attiva tra rappresentazione virtuale e trasformazione del reale. Il caso di
Virtual Singapore esemplifica questa prospettiva: un’infrastruttura
digitale che consente il monitoraggio continuo e la simulazione predittiva di
dinamiche ambientali, sociali e infrastrutturali, offrendo strumenti
decisionali avanzati e consapevoli.
In conclusione, il superamento delle attuali sfide ambientali e sociali richiede una profonda trasformazione del modo in cui concepiamo e utilizziamo la tecnologia. Tale trasformazione non può essere intesa come mero avanzamento tecnico, ma come un ripensamento interdisciplinare che saldi scienza, cultura e immaginazione in un'alleanza sinergica capace di produrre visioni alternative e più sostenibili. Il metaverso, se liberato da una lettura puramente commerciale, può diventare uno spazio di sperimentazione simbolica e progettuale, in cui realtà e possibilità interagiscono costruttivamente.
Il ruolo dell’immaginazione, supportato dalle evidenze
neuroscientifiche e filosofiche, si rivela pertanto centrale nella costruzione
di un futuro integrato, umano e sostenibile. Solo attraverso un’alleanza
tra sapere tecnico, pensiero critico e sensibilità estetica sarà possibile
orientare consapevolmente il cambiamento tecnologico e contribuire a una
governance più giusta, responsabile e partecipativa del mondo in divenire.
Bibliografia di riferimento:
ROBERTO ZANATA
BIONOTA

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