Magie d'Irlanda: divagazioni e rose (MEMOIR) ~ di Gabriella Minarini - TeclaXXI
MEMOIR
Gabriella Minarini
Magie d’ Irlanda: divagazioni e rose
In libreria mi sono trovata tra le mani un
piccolo, delizioso volumetto dal titolo: Rose
d’Irlanda, racconti di
scrittrici irlandesi.[1]
Mi ha colpito la sua copertina con sopra
stampate tre rose rosse su un fondo azzurro come il cielo terso di una giornata
d’inverno. L’ho acquistato! Già la ‘veste’ mi aveva suscitato un’onda di
emozioni: l’Irlanda, le sue donne, le sue rose, il loro profumo.
La trama dei racconti, la crudezza della
vita che svela, la incessante ricerca dell’amore, mi hanno portato alla memoria
quanto le donne hanno lavorato mettendo insieme - stoffe, filati, che poi
prendevano, secondo un loro progetto, svariate forme per varie utilità - così
come cercavano disperatamente di dare un senso alla loro vita per non smarrirne
la gradevolezza! Una forte curiosità ha mosso tutto il mio essere e mi è sorta
spontanea una domanda: ma che cosa pensano le donne quando assorte lavorano, e
da fili e aghi riescono a creare oggetti di sì raffinata bellezza se, ogni
giorno, devono affrontare tanti problemi per vivere! Come fanno a non
‘perdersi’! Molti pensieri si sono sovrapposti, soprattutto quelli dell’ultimo
viaggio fatto in Irlanda.
Mi sono ricordata che mia madre chiamava
‘rose d’Irlanda’ un delicato e piccolo fiore che lei faceva con l’uncinetto,
usando un filo di cotone sottilissimo. Mia madre mi spiegava che quello era un
fiore che si diceva avessero creato le donne di quella terra. Io la guardavo
ammirata per il suo impegno nel creare quella piccola ‘gemma’ ma non capivo,
ero troppo piccola e l’Irlanda per me era tanto, tanto lontana.
Arrivò finalmente il giorno in cui i miei
piedi si posarono su quel suolo, e non ci volle molto tempo perché le cose cominciassero
a farsi più chiare. In Irlanda piove spesso e, alle nostre domande sul tempo i
rassegnati abitanti rispondevano: ‘se uscite a piedi copritevi, in Irlanda in
una giornata possono passare tutte e quattro le stagioni’. Di sicuro di pioggia
ne cade tanta e in modo strano: può cadere una pioggia forte oppure una pioggia
sottile che bagna appena il suolo ma sovente, all’improvviso, sembra di essere
prigionieri di un gigantesco vaporizzatore dagli augelli ‘scombinati’. Tutto è
umido, bagnato, ma niente è mai troppo fradicio. La vegetazione è rigogliosa, i
boschi sono superbi e il muschio, di un verde molto scuro, lucente, mi dava una
vaga sensazione di inquietudine a camminarci sopra. Mi sono chiesta quali
creature abitassero in un luogo così particolare, dove il passo dell’uomo veniva
attutito da un così straordinario tappeto. Camminando per il bosco non mi sarei
stupita nel vedere uno spiritello dispettoso attentare alla tranquillità di un Leprechaun[2]
cercando di portargli via la sua pentola dell’oro.
L’atmosfera era magica, spesso ‘sospesa’
come se tempo e spazio non avessero confini; a questa magia contribuiva l’odore
che la torba emana quando viene messa a bruciare nelle stufe o nei camini. L’odore
acre, tipico della torba, è il risultato di un misto di erbe decomposte in
ambienti acquitrinosi, che si sono accumulate nel corso dei secoli; sembra che
ci siano anche olii e salsedine, come se le terre da cui viene estratta fossero
state un tempo inondate dal mare. I ruscelli, i fiumiciattoli, hanno acque
scure ma trasparenti tanto che si vedono i pesci muoversi. Vicino alle case ci
sono piccoli orti con erbe aromatiche, generalmente colture di patate, cavoli e
cereali. Tutto era commisurato al bisogno familiare perché risulta difficile
lavorare una terra che viene contesa alle pietre (con cui gli irlandesi hanno fatto
chilometri di muretti frangivento) e concimata con la torba.[3]
Tutto in Irlanda è essenziale, sembra non
esserci posto per il superfluo ma, vicino alle case, troviamo sempre le rose.
Piante di rose che con il loro colore si staccano da tutto quello che le
circonda, macchie colorate in mezzo a tanto scuro. La loro bellezza è nell’opulenza
della loro forma. L’acqua che cade le rende carnose, un poco appesantite ma,
proprio per questo, sensuali e sdegnose, come donne che non desiderino di
essere più di tanto guardate. I loro colori sono esaltati da minuscole gocce
d’acqua che, come rugiada, rimangono sospese sui petali e nella notte, al lume
della luna, diventano splendenti come cristalli. È forse per questo che le
donne irlandesi hanno creato quel fiore? Per conservare il ricordo di questa
straordinaria ‘magia’ anche da lontano, una volta emigrate in terre straniere?
o per avere una perenne primavera in una terra che sa essere così scura e dura
nel viverla!
Nella nostra penultima tappa del viaggio, dopo
una giornata passata nel parco, e nel castello di Ballynahinch quasi sommerso tra
le piante in fiore, la sera rientrando a Clifden[4] riflettevo sulla bellezza
dei luoghi: il castello con le maître de pêche, il parco con la sua
flora e la sua fauna, il suono incessante dell’acqua che scorreva intorno, al Pick
Nick offertoci (che si era rivelato essere un pranzo da ‘sovrani’), e su quanta
poca voglia avessi di ritornare alle ‘cose usate’… quando, davanti a una casa seduta
su una piccola panca, ho visto un’anziana donna che lavorava con l’uncinetto
proprio una piccola, deliziosa, rosa d’Irlanda! Le sue mani nodose erano agili
come quelle di una fanciulla, esperte, sicure, si muovevano come se sapessero
tutto da sole. Infatti, la donna, lavorava guardandomi da sopra i suoi
occhialetti, controllando curiosa i miei movimenti e ‘pesando’ il mio
inadeguato e strano abbigliamento. Mi guardava perché io la guardavo; ci
guardavamo cercando di capire! Le ho sorriso arrossendo, come colta a fare
qualcosa di non dovuto, e sono passata oltre per non disturbare la sua quiete.
La donna, sorridendo, ha continuato il suo lavoro. Sono andata a sedermi sui
ciottoli in riva al mare, chiedendomi: ma come fa? come riesce a guardarsi
intorno e a non sbagliare i punti! Cosa penserà? Cosa avrà pensato mentre le
sue mani si muovevano così svelte e sicure; cosa pensano le donne quando, punto
dopo punto, da un filo e un uncinetto creano fiori, oggetti per abbellire la
loro persona e la loro casa! Guardando la donna fare le sue rose non credo più
che il loro pensiero sia rivolto solo a quello che stanno creando ma che, piano
piano, se ne vada un poco più lontano, in un tempo ormai passato per ritrovare,
o anticipare qualcosa, e le mani ormai sanno cosa fare:
“Una maglia bassa, due maglie alte e una
doppia”: il capo pensoso ritorna vicino al lago nero, come in
Irlanda se ne trovano molti;
“Una
maglia bassa, due maglie alte e una doppia”: il lago era mosso da una leggera
brezza, che scompigliava i capelli ma portava anche da lontano la fragranza dei
fiori;
“Una
maglia bassa, due maglie alte e una doppia”: quante corse abbiamo fatto
insieme, quanto riso sulle nostre bocche, felici e ardenti del nostro essere
giovani;
“Una
maglia bassa, due maglie alte e una doppia”: dove ti sei nascosto, fatti
vedere, ascolta come batte il mio cuore;
“Una
maglia bassa, due maglie alte e una doppia”: un canto nella notte, un canto
lento come un dondolio di culla, un canto senza confini;
“Una
maglia bassa, due maglie alte e una doppia”: gli occhi sono rivolti al mare
tempestoso, le piccole barche lottano contro la sua furia per ritrovare il
porto;
“Una
maglia bassa, due maglie alte e una doppia”: il fuoco scoppietta sotto il
paiolo, il suo capo stanco, finalmente, riposa sul suo grembo;
“Una
maglia bassa, due maglie alte e una doppia”: ehm … lenta scorre la vita delle
donne, sempre all’opera per costruire qualcosa, pazienti nel mettere insieme
tanti tasselli, a volte piccolissimi, ma che tutti insieme formano cose
meravigliosamente uniche: le tessere della vita, delle nostre vite, cibo per le
nostre speranze …
Mi sono riunita alla compagnia e ci siamo
incamminati verso il Pub, stasera festeggiano il novantesimo compleanno di un
irlandese emigrato da giovane nelle Americhe, tornato per rivedere la sua terra.
Si fa musica (il festeggiato suona il violino) canti, balli, e di sicuro ‘passerà’
tanta, ma tanta birra per onorare la vita di tutti! Abbiamo lasciato presto la
festa, il giorno dopo partivamo per Dublino! Siamo ritornati con passo lento al
cottage; è quasi notte, tutto è buio, l’anziana donna è rientrata nella sua
casa, le luci sono spente.
Ritornata in Italia mi accorsi che
qualcosa in me era cambiato. Sentivo che la lunga vacanza in Irlanda aveva
lasciato il suo segno; mi aveva fatto vivere esperienze che non avevo vissuto
in altri luoghi e che desideravo mantenere come modo di vivere! Smisi di farmi
il maquillage, di avere problemi se con il vento mi si scompigliavano i
capelli e con la pioggia mi si ‘impataccavano’ le calze.
La cosa più importante, la più profonda
perché è quella che ha cambiato il mio ‘sentire’, fu il desiderio di poter vivere
ogni giorno un poco di ‘vacanza irlandese’! Così mi sono trovata a cercarla
ricavandomi quotidianamente almeno quindici minuti per me, minuti dove non ci dovessero
essere obblighi, assolutamente niente da fare se non riposare il corpo e far
vagare libera la mente. Spesso, durante i miei quindici minuti di ‘niente’ mi
veniva (e mi viene in mente) l’anziana donna che faceva le rose d’Irlanda a
Clifden. Chissà se avrà corso tante altre volte intorno al lago nero!
[1] Rose
d’Irlanda. Racconti di scrittrici irlandesi”, E. O’Brien, C. Boylan, M. Lavin, J. O’Faolain,
E. Bowen, I. Daly, A. Devlin, Roma, Edizioni E/O, 1994, traduttore B.
Edmonda.
[2] Folletto della mitologia irlandese, il ciabattino
dispettoso e guardiano della pentola dell’oro che c’è alla fine
dell’arcobaleno.
[3] La torba irlandese viene usata come
ammendante per migliorare il terreno, apportando sostanza organica che
stabilizza la struttura del suolo e ne aumenta la porosità, favorendo il
drenaggio e l'ossigenazione delle radici.
[4]
Clifden
è un piccolo centro nella costa occidentale dell'Irlanda, nella contea di
Galway. Situato in pieno Connemara, viene considerato la capitale della celebre
regione. Le attività principali sono il turismo e la pesca.
GABRIELLA MINARINI
BIONOTA
Gabriella Minarini ha fondato e diretto l’Atelier della Voce di Firenze per cantanti e musicisti.
Laureatasi a Firenze con Stefano Mazzoni con una tesi su L’allestimento di “Attila” a La Fenice – Venezia 17 marzo 1846 – ha portato avanti la sua ricerca sul teatro di Verdi e su quello di Pacini (con varie pubblicazioni).
Attualmente è impegnata in una ricerca sul Carteggio di Giovanni Pacini con il Teatro la Fenice di Venezia.


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