JOSEPH BATHANTI: Poems from Sempre fidele - parte prima (POESIA/TRADUZIONE) ~ di Marina Morbiducci e Darcy Di Mona - TeclaXXI
POESIA/TRADUZIONE
Joseph Bathanti
Sempre Fidele
[Traduzioni in Italiano di Marina Morbiducci
e Darcy Di Mona]
PARTE PRIMA
Proper of the Season
It is
not true
the red
pepper is hottest,
but the
slender green,
its
flame a drug for the spleen.
The old
man eats one after another
with
Roman élan.
Brine-sopped
Lupi beans;
eggplant
and Locatelli,
sharp
enough to bloody a cat’s mouth;
wine olives, fennel, baccala;
calamari; smelts,
bone
and gristle;
versicle
and prayer,
whiskey-coaxed.
Eighty-seven
years of fire in his mouth,
anger
left for dirt.
+ + +
Litany
For a
moment he is supplicant,
memory
his hair shirt.
He
recalls the smell of olive blossoms
spreading
the hills of Foggia.
He does
not wish to die in this hemisphere,
but
where the land reckons his death warble.
A man
who leaves his country
is
forever whelped by illusion,
never
knowing whenness from destiny.
Then it
is the old fire
he
threshes. Anathema
prevails
upon the spurious tongue
of
whiskey, throngs the room
like
burning ancestors,
drinks
vendetta.
+ + +
Midnight
It is
his quiet son, my good father,
who
must put him to bed raving
as
Prometheus, stripped of fire and forge,
raved
at each pass of the eagle.
The
women beg him to make Easter Duty.
Shrovetide
approaches.
He
smokes in bed, blasphemes.
The
parish priest is a gavone,
un porco who eats too
much.
One of
his daughters is dying.
In Italia, he would have been a baron;
and I,
the apple of his only eye,
would
cross the Apennines
to the
Mediterranean.
+ + +
Sunday
Dawn,
he sweetens his coffee
with
Anisette. Then to the garden:
exhumes
the fig trees;
slashes
the fox grape;
plants
rows of parsley, basilico,
garlic,
onion, oregano.
I wake.
Hoarfrost
cracks on my window.
I
scrape into its welts my name.
Crows
circle the orchard.
Thunderheads
well.
I find
my grandfather in his shed,
smoking
Parodis, singing
the
same two lines of a canzonetta.
Early
mass bells split the black clouds.
Earth
turns its brown graves to the sun,
the
forgotten woman in the wrong hill.
Playing
between his black shoes,
I watch
that bad eye of his,
some
vision silvered beneath,
a
mirror possessed
by its
own whelmed image.
+ + +
Lullaby
Through
the night, praying for snow,
I have
nightmares in which I’m dead drunk,
but
incorruptible. Women
touch
me and answer my questions.
I wake
to snow,
sure my
novena conjured it.
All
day, flakes big as half-dollars
softening
the world’s angles.
I don’t
want to play, but be alone.
As I
burrow into the white meninx,
there
is a crossing over.
My
blood knots. A strange fealty
for
this element adjures me to sleep.
They
call; but I am drifted over,
outside
them, sovereign.
+ + +
Memento Mori
I sit
between my father and sister,
knees
pressed to our ’56 Plymouth’s heater.
Gumto’s
Greenhouse is warm,
but its
sad smell of flowers turns my stomach.
Marie
can name each genus.
To us,
it is a game:
our
Lenten office at Saint Peter’s,
helping
our father find
his
mother’s moiety of feudal dirt;
her
cantle of America, here in this cemetery
by
mistake, alone among Lutherans;
choked
by catbrier and morning glory.
We
trudge uphill behind him.
I fit
my boot into each print he makes.
Each
year the plot eludes us,
the
trove of bones I imagine loves me.
The old
cross keens, half the name –
Battiante – obscured.
My
father saws the pine strips,
taps in
the nails for me to pound. Marie
letters
upon the new cross the name
of her
namesake: Maria Cristina.
Seedlings
rooted and watered,
my
father does not make us pray.
From a
squat at the steep
grave-head,
he holds us.
We’ve
inherited this land,
his
father’s venial blunder, leering
blasted
from the opaque cornea.
We
watch the Allegheny
pushing
west toward the equinox,
its
surrounding slopes mauled by snow.
Back
down the hill, we find
a dead
pheasant and bury it too.
Left
here, I would never find my way home,
wandering,
forever a child,
in this
odd quarry of unfamiliar ghosts.
I
placate stone in a blaze
of Hail Marys and Glory Bes –
already
sorry for everything.
+ + +
The Feast of The Assumption, 1920
The
Papists are at their sorcery in the streets.
Acolytes
carry Our Lady’s blue banner
tacked
with dollar bills,
censers
seething myrrh and frankincense.
The
band plays.
Immigrants
sing from the stoops:
Ave Maria, Regina Coeli.
Above
them, in a small room,
a woman
is dead to childbirth.
A boy
too young to confess
watches
his mother lifted
from
the cooling board and carried
into
the dancing streets.
The
earth to shudders.
His
mother levitates
above
the gray-gloved bearers.
+ + +
Nunc Dimittis
Running
from my grandfather’s garden,
I catch
in a skein of grape vine
and
crash through the lintel of my world
into
the cherry orchard. Humming O Bambino,
he
comes upon me, shrieks,
Gesu Cristo; then crabs off,
hailing
in his
matrix of English my father
who
comes galloping.
The old
man waits for him to lift me.
For a
moment, they pray
over
me, then together
gently
pick the pits and spalls
of
fruit from my face. My blood
thuds
to earth, a pittance
of
shrift the earth accepts
beyond
provenance and ancestry –
our blood-leaf.
Sempre Fedele
Riti di stagione
Non è vero
che il peperoncino rosso è il più piccante,
ma quello sottile verde,
il cui fuoco esorcizza la tristezza.
Il mio vegliardo se ne mangia a iosa
con slancio latino.
Lupini in salamoia;
melanzane e mozzarella,
così saporite da infiammare il palato di un felino;
olive nere, finocchio, baccalà;
calamari; alici con la lisca intatta,
litanie e preghiere;
il tutto innaffiato al whiskey.
Ottantasette anni di furia in gola,
rabbia lasciata per la cenere.
Litania
Per un istante è supplicante,
ne è testimone la sua camicia ruvida.
Lui ricorda l’odore dei germogli d’olivo
sparsi per le colline del Foggiano.
Vorrebbe non morire in quest’emisfero,
ma dove la terra riconosce il rantolo del suo perire.
Un uomo che lascia il suo Paese
lo partorisce sempre l’illusione,
senza distinguere mai il singolo attimo dal destino.
Allora attizza il suo vecchio fuoco.
L’imprecazione impera sulla lingua spuria
del whiskey, popola la stanza
come avi in fiamme,
ingurgita vendetta.
Mezzanotte
E’ il suo buon figlio, mio padre,
che deve metterlo a letto mentre lui infuria
come un Prometeo, privato di fuoco e forgia,
incollerito ad ogni passo dell’aquila.
Le donne lo implorano d’osservar la Pasqua.
Carnevale si avvicina.
Lui fuma a letto, bestemmia.
Il parroco è un gavone,
un porco che s’abbuffa.
Una delle sue figlie sta morendo.
In Italia sarebbe stato un
blasonato;
ed io, luce del suo unico occhio,
mi sentirei d’attraversare gli Appennini
fino al Mediterraneo.
Domenica
All’alba lui zucchera il caffè
con l’anisetta. Poi va in giardino:
dissotterra gli alberi di fico;
pota l’uva canina;
pianta filari di prezzemolo, basilico,
aglio, cipolla, origano.
Mi sveglio.
La brina scricchiola sul vetro.
Il mio nome incido nei suoi solchi.
I corvi volano a cerchio sopra il frutteto.
Nuvole scure incombono.
Trovo mio nonno nella sua rimessa,
che fuma la sua Parodis, mentre canta
lo stesso ritornello di una canzonetta.
Le campane a messa del mattino fendono le nubi nere.
La terra volge le sue brune tombe al sole,
la donna dimenticata nella collina sbagliata.
Mentre gioco fra le sue scarpe nere,
osservo quel suo occhio orbo,
una visione argentea inglobata,
uno specchio posseduto
dalla sua stessa immagine svanita.
Ninna nanna
Durante la notte, mentre prego che nevichi,
m’assale l’incubo d’essere ubriaco fradicio,
eppure, incorruttibile. Ci sono donne
che mi toccano e rispondono alle mie domande.
Mi sveglio che c’è la neve,
di certo la mia novena l’ha evocata.
Per tutto il giorno, fiocchi grandi come ostie
ammorbidiscono gli spigoli del mondo.
Non ho voglia di giocare, voglio rimanere solo.
Mentre scavo un solco nella membrana nevosa,
trovo un pertugio.
Mi si rapprende il sangue. Una complicità strana
con quest’elemento mi ingiunge di dormire.
Mi chiamano, ma sono trasportato via,
fuori dalla loro presa, sovrano.
Memento Mori
Seduto tra mio padre e mia sorella,
premo le ginocchia sul pannello caldo nella Plymouth del ’56.
Il vivaio dei Gumto ha un bel calore,
ma l’odore mesto dei fiori mi dà il voltastomaco.
Marie conosce il nome di ogni specie floreale.
Per noi, è un gioco:
la nostra visita quaresimale al camposanto di S. Pietro,
mentre aiutiamo nostro padre a rintracciare
l’atavico pezzo di terra di sua madre;
la sua porzione d’America, qui in questo cimitero
per errore, unica tra le tombe luterane;
soffocata dal rampicante e le campanule.
Nel salire dietro a lui arranchiamo.
Ficco il mio piede nelle sue impronte.
Ogni anno il loculo esatto ci elude,
il mucchietto d’ossa che immagino mi voglia bene.
La vecchia croce traballante, il nome
Battiante – mezzo cancellato.
Mio padre sega i rametti di pino,
inserisce i chiodi che io possa battere.
Marie scrive sulla nuova croce il nome
della sua omonima: Maria Cristina.
Le piantine inzollate e annaffiate,
mio padre non ci chiede di pregare.
Accucciato vicino alla tomba
sulla fiancata ripida, ci abbraccia.
Abbiamo ereditato questo lotto,
il peccato veniale di suo padre,
che sbircia maligno dalla sua cornea opaca.
Vediamo il fiume Allegheny
spingersi a ovest verso l’equinozio,
i suoi declivi circostanti sfigurati dalla neve.
Scendendo giù dalla collina, troviamo
un fagiano morto e seppelliamo pure quello.
Se fossi lasciato qui, non troverei mai la via di casa,
vagherei, bambino per sempre,
in questa strana cava di fantasmi a me sconosciuti.
Placo la pietra in un tripudio
di Ave Maria e Gloria -
già dispiaciuto per ogni fatto accaduto.
Festa dell’Assunzione, 1920
I Papisti nelle strade appostati per le loro stregonerie.
Gli accoliti trasportano lo stendardo blu di Nostra Signora
trapunto di dollari,
gli incensieri spargono mirra e incenso.
La banda suona.
Gli immigrati cantano dai gradini di casa:
Ave Maria, Regina Coeli.
Sopra, in una stanzetta, una donna è morta di parto.
Un bambino ancora troppo giovane per la penitenza
guarda sua madre sollevata
dalla plancia mortuaria e il suo corpo portato
a braccio nelle strade in festa.
Anche la terra rabbrividisce.
Sua madre levita
sopra i portatori dai guanti grigi.
Nunc Dimittis
Correndo via dall’orto di mio nonno,
inciampo in un groviglio della vigna
e dalla soglia del mio mondo sprofondo
nel giardino dei ciliegi. Canticchiando O
Bambino,
il nonno mi trova, grida, Gesù Cristo;
poi, a passi sghembi, invoca l’aiuto
di mio padre con quel po’ d’inglese che conosce,
e lui arriva di gran corsa.
L’anziano aspetta che lui mi sollevi.
Per un istante, pregano per me,
poi insieme delicatamente
tolgono dal mio viso i resti
del frutto spiaccicato. Il mio sangue
tonfa a terra, un obolo
che la terra accetta
al di là della provenienza e genealogia –
la nostra genìa foglia di sangue.
MARINA MORBIDUCCI
BIONOTA
PhD, Associate Professor in English Language and Translation at Sapienza University, Rome, lectures at MA and Specialized Translation Master Courses. Her research focuses on translation of contemporary American poetry. She published first Italian editions of works by Robert Creeley, Charles Olson, Kathleen Fraser and Gertrude Stein (Tender Buttons, Last Operas and Plays, Lifting Belly, etc.). She collaborated with the journal of postmodern literature boundary and contributed to How2, a journal of women’s innovative writing. Her first academic publication in American experimental writing dates back to 198, with an anthology on Black Mountain College - poetry and poetics, providing the first Italian translation of “Projective Verse.” Her latest monograph on G. Stein’s notion of time is titled: Gertrude Stein in T/tempo. Declinazioni temporali nell’opera steiniana. (http://www.editricesapienza.it/node/7897, 2019).
Marina Morbiducci, già professore associato, ha insegnato lingua e traduzione inglese presso l’Università Sapienza di Roma, Dip. di Studi Orientali, per vari anni. È traduttrice e curatrice di opere prime in Italia di Gertrude Stein. Si è sempre occupata di traduzione poetica, soprattutto di testi sperimentali. Attualmente si sta occupando di Charles Tomlinson, in particolare della sua opera Renga, composta a Parigi nel 1969.
DARCY DI MONA


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Complimenti per averci fatto conoscere un nuovo autore, tradotto magistralmente. Grazie Tecla!
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