Una settimana in giro per il Portogallo - II parte (REPORTAGE) ~ di Jacqueline Spaccini - Tecla XXI

 

REPORTAGE

Una settimana giro per il Portogallo

di Jacqueline Spaccini

 II parte**



*Tutte le foto, salva diversa indicazione, sono di jacquelinespaccini©2025


                Il grande piazzale della Biblioteca con al centro la statua dedicata a Giovanni V


**La prima parte è stata pubblicata il 24 ottobre 2025 (clicca qui)

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(Séguito del giorno 4, siamo a COIMBRA)

Mi preparo per l’attesissima visita alla biblioteca settecentesca che prende il nome dal re João (Giovanni) V che la fece costruire durante il suo regno.

 


Qui si trova alfine un esempio di arte barocca. È stata costruita nel XVIII secolo da artisti portoghesi. Il ritratto del re, invece, è attribuito a un pittore italiano, il torinese Domenico Duprà –partito per il Portogallo al seguito dell’architetto messinese Filippo Juvarra (quest’ultimo morirà a Madrid) –. 



Duprà diventerà il pittore ufficiale della corte reale. La Biblioteca Joanina è ancora oggi un luogo di ricerca per molti studiosi. Pensare che su questo sito un tempo c’era la prigione reale! I libri sono merce preziosa e si dice che vivano qua dentro almeno 3 pipistrelli per cibarsi degli insetti che li rovinano. Ma Luigi, il nostro accompagnatore, ci avverte che è ormai leggenda.


Intanto io sbircio la bibliotecaria incaricata di indicizzare 30.000 volumi. La guardo con invidia, confesso.

 

La biblioteca si trova nella zona in alto, quella universitaria, che tanto mi ricorda gli esterni della Sapienza, giacché lo stile è quello. Infatti, se l’università è antica, se la creazione della facoltà di Lettere è del 1911 (ma i corsi esistevano da prima), la costruzione dell’attuale edificio è del 1951, in pieno salazarismo. È evidente l’influenza dell’architettura razionalista (con un ritardo di almeno 20 anni), tipica di un certo modo dittatoriale di concepire i luoghi, gli spazi, le statue.




Pereira (chi non conosce il personaggio cui Mastroianni dette le sembianze?)  pensa spesso agli anni in cui faceva l’università a Coimbra, e vi si reca brevemente per andare a trovare Silva, un suo compagno di studi: «Quando Pereira arrivò alla stazione di Coimbra sulla città c’era un tramonto magnifico, sostiene». E infatti il Pereira di Tabucchi non potrebbe aver compiuto altrove i suoi studi letterari. Si pensa che il personaggio debba avere tra i 50 e i 60 anni, giacché gli studi all’università a Coimbra non potrebbe averli fatti prima del 1910-1911. Ricordo, se non erro, che Pereira racconta al dott. Cardoso di scrivere articoli di letteratura francese, uno dedicato alla novella Honorine (1843) di Balzac e di voler tradurre i Contes du Lundi di Alphonse Daudet, mentre si trova a Cascais per una cura talassoterapica a base di alghe.

«Sogno spesso la Granja, confessò Pereira. È una donna?, chiese il dottor Cardoso. È una località, disse Pereira, una spiaggia vicino a Oporto, ci andavo da giovane quando ero studente a Coimbra […]».

Per Pereira Coimbra è la giovinezza, evocata dal suono di musiche di quella ormai nel tempo lontana città, con «la musica dolce e malinconica, di chitarre di Coimbra»...

 

Le colline di Coimbra  [Autori: 1) Miguel LS e 2) Emanuel Bento] Free Domain CC0

Scrive la narratrice di Tabucchi in un suo testo incompleto:

[…] non avevamo altri termini di paragone, nessuno di noi era mai stato all’estero, l’unica idea di paese, di paesaggio, di persone, era il nostro. Però, a pensarci bene, quel Portogallo faceva una tenerezza alla quale era impossibile opporsi, perché era tutto così innocente, e così vero. Non mi prendere per una nostalgica, non ho mai avuto nostalgia per una società contadina di cui so la ferocia della vita, niente di tutto questo, è che… insomma, era così verde la mia vallata, capisci?, perché queste valli di Coimbra erano davvero dolcissime, e le colline erano in fiore, siamo in piena canzone, me ne rendo conto, e i fiumi scorrevano come devono scorrere i fiumi, e i ruscelli, e Inês de Castro[1]

Coimbra m’è parsa la città più strana. Più «frastagliata».

Come avvolta in un riccio di castagna. Come l’ostrica nel suo guscio. Come se non si fosse ancora ripresa dalla desapropriação (o desapropriamento?) del suo ruolo di capitale culturale del Portogallo. Non ho avuto il tempo di scoprirla, nemmeno di percepirla, Coimbra. Di essa ho amato il fiume, il Mondego (dal Munda romano, immagino che doveva essere pulito e trasparente per avere un nome così), che ho fotografato qui di seguito:

                                                      il fiume Mondego

Strade in salita e discesa, come d’abitudine nella terra lusitana, una scritta sul muro per ricordo:
Le notti senza dormire generano grandi idee o grandi mostri. Sarà così?



Ci sarebbe da dire delle divise degli studenti «veterani» dell’università (ne riparlo più in là), della Cattedrale Sé Veha (riprenderò il discorso dei luoghi sacri in una sezione apposita), degli organi di chiesa settecenteschi, verticali e orizzontali, più tardi.



Ho ancora da affrontare la breve deviazione a Costa Nova con le sue casette colorate a righe (palheiros) – un tempo magazzini per l'attrezzatura da pesca o per la salatura delle sardine, ora trasformati in residenze sulla spiaggia, poste sull’estuario della ria de Aveiro, di fronte all’Oceano. Belle, tutte ordinate; un po’ stucchevoli, alla lunga.

Presto, c’è Aveiro da vedere, la Venezia portoghese (oddio…), con le sue gondole che fanno il giro dei canalini e raccontano sulle prue storie religiose o allusive.

 



Ma basta, ci attende Porto od Oporto, come un tempo si diceva in italiano. Oporto conviviale, colorata, con il suo Douro (suo per un terzo del tragitto – i restanti 2/3 sono in Spagna e lì il fiume si chiama Duerte), che si unisce all’Oceano proprio qui, incoronato dai suoi sei ponti che ben presto diverranno sette (l’ultimo, esclusivamente attraversato dalla metropolitana).

                                                             Ribeira

Il quartiere è Ribeira. Allegro, festante. Mi ha ricordato la bella folla dei Navigli milanesi. Qui ci imbarchiamo per una minicrociera per cogliere l’attimo in cui il sole tramonta, dandoci l’illusione che si inabissi nell’oceano. Bella l’aria, belli gli spruzzi, bello l’odore, siamo tutti come dei bimbi festanti, scrutando il cielo che all’orizzonte muta di colore. 

Ecco le foto che ho scattato via via (sono in sequenza):




Felici e contenti, ceniamo Chez Lapin ed è una cena che ci riconcilia con il mondo – e me con la cucina portoghese che ho scoperto non apprezzare così tanto. Ringrazio il vino meraviglioso di questa terra, bianco o rosso che sia.  Siamo tutti un po’ brilli.

Pronta per Morfeo.


-           GIORNO 5: PORTO/OPORTO.

Questa giornata è interamente dedicata alla città.


Giro panoramico in pullman: bellissimo il ponte Dom Luiz I anche di giorno, la cattedrale e il centro storico.  Sarà per merito del sole, dell’aria primaverile, sarà perché il gruppo è sempre più «collante», sarà perché Oporto mi si confà da subito, la scarpinata che ci attende oggi non mi mette paura.

Non immaginavo che i ponti sui fiumi esercitassero su di me un tale fascino. Addirittura, più dei luoghi sacri e secolari.

E allora mi soffermo un attimo sui ponti di questa città. Quello forse più importante per via del fatto che è anche percorribile a piedi è il ponte ferroviario Dom Luis I (1886).


È di ferro, opera dell’allievo belga di Gustave Eiffel, Théophile Seyrig (poi socio), e rimanda inevitabilmente alla Tour parigina. Eiffel doveva fare anche questo, ma poi ci fu un litigio, non ricordo bene e alla fine mi pare che il belga portò tutto a termine lui. Seyrig aveva aiutato Eiffel nella costruzione dell’altro ponte (il primo sul Douro), il Maria Pia (in onore della regina del Portogallo, 1877) che è ormai dismesso dal 1991. Somigliantissimo al D. Luis I. Si riconosce per il fatto che non ha la parte bassa percorribile a piedi e in auto.

 




Tra gli altri, ci sono ancora due ponti belli da vedere: il De Arrabida (riservato al traffico automobilistico), inaugurato nel 1963 su un progetto del 1952 e quello terminato nel 2003, il ponte Infante Dom Henrique (veicolare e pedonale).(continua)

La terza parte sarà pubblicata L'11 dicembre 2025



[1] Antonio Tabucchi, Et enfin septembre vint, Paris, Chandeigne, 2019, p. 28, 30.


JACQUELINE SPACCINI



 
BIONOTA

Di natura poliedrica, Jacqueline Spaccini è nata in Francia, ma da alcuni anni è tornata a vivere in Italia. Si occupa di contaminazione tra il linguaggio letterario e artistico; scrive poesia multilingue. È traduttrice e autrice di saggi e novelle. Scrive pièces, ha diretto atelier di recitazione; è stata regista e attrice teatrale.

Commenti

  1. Bellissimo reportage che fa vivere tra parole e immagini il Portogallo e ne coglie gli aspetti più intimi

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