Una settimana in giro per il Portogallo - II parte (REPORTAGE) ~ di Jacqueline Spaccini - Tecla XXI
REPORTAGE
Una settimana giro per il Portogallo
di Jacqueline Spaccini
*Tutte le foto, salva diversa indicazione, sono di jacquelinespaccini©2025
**La prima parte è stata pubblicata il 24 ottobre 2025 (clicca qui)
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(Séguito del giorno 4, siamo a COIMBRA)
Mi preparo per l’attesissima visita alla biblioteca settecentesca
che prende il nome dal re João (Giovanni) V che la fece costruire durante il suo
regno.
Duprà diventerà il pittore ufficiale della corte reale. La Biblioteca Joanina è ancora oggi un luogo di ricerca per molti studiosi. Pensare che su questo sito un tempo c’era la prigione reale! I libri sono merce preziosa e si dice che vivano qua dentro almeno 3 pipistrelli per cibarsi degli insetti che li rovinano. Ma Luigi, il nostro accompagnatore, ci avverte che è ormai leggenda.
Intanto io sbircio la bibliotecaria incaricata di indicizzare 30.000 volumi. La guardo con invidia, confesso.
La biblioteca si trova nella zona in alto, quella
universitaria, che tanto mi ricorda gli esterni della Sapienza, giacché lo
stile è quello. Infatti, se l’università è antica, se la creazione della
facoltà di Lettere è del 1911 (ma i corsi esistevano da prima), la costruzione
dell’attuale edificio è del 1951, in pieno salazarismo. È evidente l’influenza
dell’architettura razionalista (con un ritardo di almeno 20 anni), tipica di un
certo modo dittatoriale di concepire i luoghi, gli spazi, le statue.
Pereira (chi non conosce
il personaggio cui Mastroianni dette le sembianze?) pensa spesso agli anni in cui faceva
l’università a Coimbra, e vi si reca brevemente per andare a trovare Silva, un
suo compagno di studi: «Quando Pereira arrivò alla stazione di Coimbra sulla
città c’era un tramonto magnifico, sostiene». E infatti il Pereira di
Tabucchi non potrebbe aver compiuto altrove i suoi studi letterari. Si pensa
che il personaggio debba avere tra i 50 e i 60 anni, giacché gli studi all’università
a Coimbra non potrebbe averli fatti prima del 1910-1911. Ricordo, se non erro,
che Pereira racconta al dott. Cardoso di scrivere articoli di letteratura
francese, uno dedicato alla novella Honorine (1843) di Balzac e di voler
tradurre i Contes du Lundi di Alphonse Daudet, mentre si trova a Cascais
per una cura talassoterapica a base di alghe.
«Sogno spesso la Granja, confessò Pereira. È una donna?, chiese
il dottor Cardoso. È una località, disse Pereira, una spiaggia vicino a Oporto,
ci andavo da giovane quando ero studente a Coimbra
[…]».
Per Pereira Coimbra è la
giovinezza, evocata dal suono di musiche di quella ormai nel tempo lontana
città, con «la musica dolce e malinconica, di chitarre di Coimbra»...
Le colline di Coimbra [Autori: 1) Miguel LS e 2) Emanuel Bento] Free Domain CC0
Scrive la narratrice di Tabucchi in un suo testo incompleto:
[…] non avevamo altri termini di paragone, nessuno di noi era mai
stato all’estero, l’unica idea di paese, di paesaggio, di persone, era il
nostro. Però, a pensarci bene, quel Portogallo faceva una tenerezza alla quale
era impossibile opporsi, perché era tutto così innocente, e così vero. Non mi
prendere per una nostalgica, non ho mai avuto nostalgia per una società
contadina di cui so la ferocia della vita, niente di tutto questo, è che…
insomma, era così verde la mia vallata, capisci?, perché queste valli di
Coimbra erano davvero dolcissime, e le colline erano in fiore, siamo in piena
canzone, me ne rendo conto, e i fiumi scorrevano come devono scorrere i fiumi,
e i ruscelli, e Inês de Castro…[1]
Coimbra m’è parsa la città più strana. Più «frastagliata».
Come avvolta in un riccio di castagna. Come l’ostrica nel suo
guscio. Come se non si fosse ancora ripresa dalla desapropriação (o desapropriamento?) del suo
ruolo di capitale culturale del Portogallo. Non ho avuto il tempo di scoprirla,
nemmeno di percepirla, Coimbra. Di essa ho amato il fiume, il Mondego (dal Munda
romano, immagino che doveva essere pulito e trasparente per avere un nome così),
che ho fotografato qui di seguito:
il fiume Mondego
Strade in salita e discesa, come d’abitudine nella terra lusitana, una scritta sul muro per ricordo: Le notti senza dormire generano grandi idee o grandi mostri. Sarà così?Ci sarebbe da dire delle divise degli studenti «veterani»
dell’università (ne riparlo più in là), della Cattedrale Sé Veha (riprenderò il
discorso dei luoghi sacri in una sezione apposita), degli organi di chiesa
settecenteschi, verticali e orizzontali, più tardi.
Ho ancora da affrontare la breve deviazione a Costa Nova con
le sue casette colorate a righe (palheiros) – un tempo magazzini per
l'attrezzatura da pesca o per la salatura delle sardine, ora trasformati in
residenze sulla spiaggia, poste sull’estuario della ria de Aveiro, di fronte all’Oceano.
Belle, tutte ordinate; un po’ stucchevoli, alla lunga.
Ma basta, ci attende Porto od Oporto, come un tempo si diceva
in italiano. Oporto conviviale, colorata, con il suo Douro (suo per un terzo
del tragitto – i restanti 2/3 sono in Spagna e lì il fiume si chiama Duerte), che
si unisce all’Oceano proprio qui, incoronato dai suoi sei ponti che ben presto
diverranno sette (l’ultimo, esclusivamente attraversato dalla metropolitana).
Ribeira
Il quartiere è Ribeira. Allegro, festante. Mi ha ricordato la bella folla dei Navigli milanesi. Qui ci imbarchiamo per una minicrociera per cogliere l’attimo in cui il sole tramonta, dandoci l’illusione che si inabissi nell’oceano. Bella l’aria, belli gli spruzzi, bello l’odore, siamo tutti come dei bimbi festanti, scrutando il cielo che all’orizzonte muta di colore.Ecco le foto che ho scattato via via (sono in sequenza):
Felici e contenti, ceniamo Chez Lapin ed è una cena
che ci riconcilia con il mondo – e me con la cucina portoghese che ho scoperto
non apprezzare così tanto. Ringrazio il vino meraviglioso di questa terra,
bianco o rosso che sia. Siamo tutti un
po’ brilli.
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GIORNO 5: PORTO/OPORTO.
Questa giornata è interamente dedicata alla città.
Non immaginavo che i ponti sui fiumi esercitassero su di me
un tale fascino. Addirittura, più dei luoghi sacri e secolari.
E allora mi soffermo un attimo sui ponti di questa città. Quello
forse più importante per via del fatto che è anche percorribile a piedi è il
ponte ferroviario Dom Luis I (1886).
È di ferro, opera dell’allievo belga di Gustave Eiffel, Théophile Seyrig (poi socio), e rimanda inevitabilmente alla Tour parigina. Eiffel doveva fare anche questo, ma poi ci fu un litigio, non ricordo bene e alla fine mi pare che il belga portò tutto a termine lui. Seyrig aveva aiutato Eiffel nella costruzione dell’altro ponte (il primo sul Douro), il Maria Pia (in onore della regina del Portogallo, 1877) che è ormai dismesso dal 1991. Somigliantissimo al D. Luis I. Si riconosce per il fatto che non ha la parte bassa percorribile a piedi e in auto.
Tra gli altri, ci sono ancora due ponti belli da vedere: il De Arrabida (riservato al traffico automobilistico), inaugurato nel 1963 su un progetto del 1952 e quello terminato nel 2003, il ponte Infante Dom Henrique (veicolare e pedonale).(continua)
La terza parte sarà pubblicata L'11 dicembre 2025
JACQUELINE SPACCINI























Bellissimo reportage che fa vivere tra parole e immagini il Portogallo e ne coglie gli aspetti più intimi
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