GIACOMO PUCCINI «IL CRITICATO» DI RICCARDINO MASSA (MUSICA)
MUSICA
Riccardino
Massa
Giacomo
Puccini “Il criticato”
Il
2024 sarà l’anno delle commemorazioni per il centenario della morte del
compositore, scomparso a Bruxelles il 29 novembre del 1924 per le conseguenze
di un cancro. Naturalmente in questo anno sentiremo parlare molto di lui nei
giornali specializzati in musica, ma anche in riviste ed in programmi
televisivi, soprattutto per l’eredità musicale che ha lasciato a noi italiani nel
melodramma di fine Ottocento e di inizio Novecento. Anche le Fondazioni dei
teatri lirici italiani e quelli di tradizione stanno programmando per
quest’anno una rievocazione senza precedenti. La stessa cosa sta succedendo nei
teatri del mondo a riprova dell’internazionalità dell’opera pucciniana. E già
avvengono spontanee manifestazioni in onore del compositore, come lo è stata
l’esecuzione nello scorso mese di gennaio da parte della Chicago Symphony
Orchestra diretta da Riccardo Muti, quando alla fine del concerto nella sala
del Piermarini come bis è stato eseguito l’intermezzo della Manon Lescaut.
Quindi
potrebbe essere superfluo un articolo su TeclaXXI che riguardi Giacomo
Puccini, ma non è così. Benché in quest’anno saranno sviscerati (ce lo
auguriamo) tutti gli aspetti della vita e delle opere del maestro, vi è
sicuramente un aspetto della sua storia personale che ritengo interessante
porre all’attenzione dei nostri lettori, e che difficilmente sarà descritta in
questo clima di rievocazione. Si tratta della reazione dei critici alle sue
opere. Puccini, che oggi amiamo, in verità all’epoca venne massacrato molto
spesso nei giudizi dei critici. Sappiamo bene che sovente i critici sono coloro
che hanno il potere di stroncare o di promuovere un artista al di là di quelle
che invece possono essere le reazioni del pubblico. Anzi la reazione del
pubblico a volte è addirittura contraria a quella del critico musicale. Lungi
da me assumere il ruolo di pubblico inquisitore del critico musicale, ma in
questo caso penso che sia necessario, dopo cento anni, fare giustizia degli impropri
giudizi critici sulla sua arte.
La
più solenne stroncatura la fece il critico Fausto Torrefranca (Vibo Valentia 1°
febbraio 1883 – Roma 26 novembre 1955), che dal 1907 al 1919 collaborò con la
Rivista Musicale Italiana. Una rivista storica che iniziò le pubblicazioni nel
1894 e che ebbe lunga vita (a parte due interruzioni dal 1933 al 1936 e
successivamente per ragioni belliche dal 1943 al 1945) e soppressa nel 2012
dalla Eri Edizioni Rai che ne era diventata la proprietaria. Certo, il
Torrefranca è stato un grande musicologo (Grande conoscitore delle opere
seicentesche e settecentesche), faceva parte di quella generazione di critici
che sostenevano i Casella, i Malipiero, i Respighi e Pizzetti. Se guardiamo
bene sono tutti sinfonisti. Ma soprattutto sono coloro che vennero descritti
come la generazione degli anni Ottanta (dell’Ottocento s’intende) che entrarono
in polemica con il teatro musicale dell’epoca, ponendosi come obbiettivo il
rifondare la musica italiana liberandola dagli schemi del melodramma.
Fausto
Torrefranca era affascinato da questa nuova generazione di musicisti al punto
tale da esprimere un giudizio sbagliato su Puccini.
Una
volta giunse a scrivere: “Puccini ci parve la sola figura che incarnasse con
maggiore compiutezza tutta la decadenza della musica italiana attuale e ne
rappresentasse tutta la cinica commercialità, tutta la pietosa impotenza e
tutta la trionfante voga internazionale”.
La
voga internazionale richiamata dal Torrefranca si riferisce al fatto che
all’inizio del secondo decennio del Novecento (1912 quando venne scritta tale
critica) all’estero si considerava che la cultura musicale italiana consistesse
prioritariamente nell’opera lirica.
Ma
Torrefranca concluse l’articolo in modo ancora più caustico:
Il
Puccini è oggi il tipico eroe musicista, la sua passività artistica, la sua
pigrizia casalinga, la sua mediocrità intellettuale si scorgono soprattutto in
questa considerazione che egli non è un musicista vero e proprio ma solo un
operista”.
Un
giudizio veramente sferzante, come era già successo a Verdi. Infatti, fu
considerato dai critici un po' snob, in quanto (udite, udite) troppo
sentimentale e popolare. Ma Puccini era lui stesso a chiedere ai suoi
librettisti che si introducessero nel libretto pagine commoventi, in quanto lui
stesso riteneva che la commozione fosse uno degli scopi dell’opera d’arte. In
realtà questo giudizio negativo da parte della critica, espresso agli inizi del
secolo scorso su Puccini, continuò ancora per lungo tempo anche dopo il secondo
conflitto mondiale. Oggi la critica si è finalmente addolcita sul personaggio.
Forse, anche per l’amore che il pubblico ha da sempre regalato alle sue opere.
Direi quindi che Giacomo Puccini ha toccato la corda sensibile del pubblico
prima ancora di convincere i critici musicali, che oggi si debbono ricredere e
riscrivere i loro giudizi. Ma si sa che nuove leve di musicologi piano piano,
hanno sostituito le generazioni passate dei Bastianelli e dei Torrefranca che
vedevano l’opera lirica come incapace di darsi una veste di dignitosa
intellettualità. Qui è necessario ricordare il saggio di Ildebrando Pizzetti
del 1909 dove si denunciava “il malvezzo dell’enfasi canora e la mancanza di
disciplina strumentale nell’opera”. Insomma, sembrerebbe che la critica
musicale italiana sentisse l’arte del melodramma italiano come inferiore a
quella scena musicale che stava comparendo in Europa (Bartók, Stravinskij, Schoenberg).
Fortunatamente i tempi sono cambiati, tanto è vero che il 6 dicembre scorso il
canto lirico è stato riconosciuto dall’UNESCO “Patrimonio immateriale
dell’umanità”. Ma torniamo a Puccini, il quale, a dispetto della critica della
sua epoca, è stato un compositore estremamente originale. Certo, ha assimilato
moltissimo dagli altri, ma contemporaneamente è riuscito a costruire uno stile
(Pucciniano) trasformando tutto ciò che aveva assimilato da altri proprio come
era accaduto ne più o meno a Mozart.
Il
vecchio Haydn sosteneva che: “Ogni melodia deve contenere in sé una propria
armonia”. In pratica sosteneva che una melodia in maggiore deve essere
accompagnata da accordi in maggiore e quella in minore accompagnata da accordi
in minore. Ma questo è il mondo musicale settecentesco. Puccini invece
predilige le armonie deboli accostando accordi in minore a melodie in maggiore.
Anche Ravel, del resto, fa lo stesso procedimento attraverso l’intero ottocento
perché l’uso delle armonie forti era andato logorandosi. Puccini però lo fa su
un piano più vasto degli altri compositori della sua epoca.
Non
è un caso che i personaggi principali Pucciniani siano femminili (Tosca,
Turandot e Liù, Minni in Fanciulla del West, Magda in Rondine
ecc.). Puccini predilige nelle sue opere figure di donne sofferenti a cui si
adattano moltissimo le armonie deboli. Uno dei più importanti biografi di
Puccini, Mosco Carner (Vienna 1904 – Londra 1985) scrisse la seguente frase:
“Mentre
il basso fondamentale delle opere di Verdi è un grido di battaglia, quello di
Puccini è un invito all’amplesso”.
Giacomo
Puccini è quindi da considerare quell’anello di congiunzione fra due epoche
musicali. Dopo le due prime opere (Le Villi ed Edgar) raggiunge
il successo con Manon Lescaut nel 1893, drammaticamente meno efficace
dell’opera di Massenet, ma sicuramente superiore dal punto di vista musicale
nonostante occasionali reminiscenze del Tristano, ma si sa che pochi
compositori di quell’epoca riuscirono a sfuggire alle sirene musicali di
Richard Wagner. Ma la fama di Puccini poggia soprattutto sulle tre opere
successive, Bohème (1896), Tosca (1900) e Madama Butterfly
(1904). Puccini arricchì la propria musica con l’apporto dei nuovi sviluppi armonici
del suo tempo. Fu sempre ansioso di inserire nelle sue opere le ultime
scoperte. Un esempio di armonia sorprendente è la serie di tre triadi maggiori
(Si bemolle, La bemolle, Mi naturale) che apre Tosca e continua ad
essere presente nel prosieguo dell’opera in connessione con il personaggio di
Scarpia. E che dire dell’uso di materiale musicale esotico evidente soprattutto
in Madama Butterfly ed in Turandot (Ultima sua opera,
rimasta incompiuta dopo la scena della morte di Liù, e poi completata da Franco
Alfano sulla base dei trentasei fogli di appunti lasciati dal maestro, e
successivamente da altri due musicisti Janet Maguire e Luciano Berio). Puccini
quindi come innovatore, aperto alle nuove esperienze musicali e soprattutto
legato a quella cultura moderna della contaminazione che ha permesso anche alla
musica italiana di aprirsi al mondo esterno. Direi per concludere, che la
critica musicale italiana dell’epoca è stata sicuramente inclemente con questo
compositore, che invece possedeva il requisito principale per un compositore
d’opera. Un grande istinto teatrale. A questo univa la qualità tutta italiana
di saper come si scrive efficacemente per i cantanti, con una attenzione
particolare alle armonie nuove ed a diversificati colori strumentali. Oltre ad
una mente ricettiva al progresso musicale Puccini ha sicuramente dimostrato
quell’immaginazione poetica che ancora oggi, dopo cento anni dalla sua morte
gli è riconosciuta nel mondo.
RICCARDINO MASSA
Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.
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