ISOLE E COLONIE AGLI ANTIPODI TRA VENEZIA E VIENNA (teatro&opera lirica) II parte - di Camillo Faverzani
TEATRO – OPERA LIRICA
Camillo Faverzani
Isole e colonie agli antipodi tra Venezia
e Vienna
Seconda parte
Per far risaltare meglio tanto i rari
momenti di convergenza tra i tre libretti quanto la loro autonomia, possiamo
visualizzarne la trama nella seguente tabella:
Il
mondo alla roversa |
L’Isola
capricciosa |
Il
mondo alla rovescia |
Atto
I — piazza Tulia
dirige i lavori degli uomini (I, 1) Cintia vuole sottomettere gli uomini (I,
2) Tulia è più prudente (I, 3)
Aurora
corteggia Graziosino (I, 4) Gioia di Graziosino (I, 5) camera Cintia
corteggia Giacinto (I, 6)
Tulia
rimprovera Cintia (I, 7)
Tulia
ama Rinaldino (I, 8) esitazioni di Rinaldino (I, 9) Aurora corteggia Giacinto
(I, 10) Cintia li sorprende (I, 11) Atto II — camera
vana
elezione della sovrana (II, 1) Tulia vuole prendere il potere (II, 2)
giardino vicino al
mare
Rinaldino,
Giacinto e Graziosino assistono allo sbarco di Ferramonte (II, 3–4) Cintia
e Aurora incontrano Ferramonte (II, 5) Ferramonte
interroga Rinaldino (II, 6) Rinaldino
riflette sulla sua sorte (II, 7) camera Cintia
ordina a Giacinto di uccidere cento donne (II, 8) Aurora
fa confessare Giacinto (II, 9) Aurora chiede a Graziosino di uccidere Cintia
(II, 10) Graziosino
esita (II, 11) Giacinto
impedisce a Graziosino di colpire Cintia che affronta Aurora (II, 12)
Atto
III — camera Rinaldino
riprende le armi (III, 1) Tulia vuole cedere il potere (III, 2) Ferramonte
allerta Rinaldino (III, 3) Rinaldino dubbioso (III, 4) Graziosino si ribella
a Aurora che rinuncia a comandare (III, 5) Graziosino crede Cintia impazzita
(III, 6) |
Atto
I — camera
uomini
al lavoro (I, 1)
tentativo
di rapimento di Amaranto (I, 2) Damigello
è felice della sua condizione (I, 3) bagni diroccati
Colonnella
corteggia Amaranto (I, 4)
Damigello
rimprovera Amaranto (I, 5) Alfiera
annuncia il ritorno di Generala (I, 6) Alfiera
corteggia Damigello (I, 7–8)
sala ritorno
di Generala (I, 9) Generala
vuole sposare Conte e allontana Colonnella (I, 10) Marchesina sorpresa (I,
11) rimproveri di Generala a Conte (I, 12
appartamenti
di Conte
Amaranto
e Girasole aspettano Conte (I, 13) Amaranto
chiede aiuto a Alfiera (I, 14) arrivo
di Conte (I, 15) rimproveri
di Generala a Conte (I, 16) Marchesina critica gli usi dell’isola (I, 17)
Marchesina
si pente del suo atteggiamento (I, 18) giardino
Conte
discute con Amaranto (I, 19) appuntamento di Colonnella e Conte (I, 20) Generala
li sorprende (I, 21)
Marchesina
incontra Alfiera (I, 22) arresto di Conte e di Amaranto (I, 23) atrio ammissione
di Conte e di Amaranto (I, 24) inizia
la cerimonia (I, 25) Conte
insulta Gran Colombo (I, 26) Atto II — giardino
Generala
vuole liberare Conte (II, 1)
|
Atto
I
— stanzino uomini
al lavoro (I, 1)
Colonnella
vuole seduire Amaranto (I, 2)
Colonnella
corteggia Amaranto (I, 3)
Piazza
annuncio
del ritorno di Generala (I, 4–5)
ritorno
di Generala (I, 6) Generala
vuole sposare Conte e allontana Colonnella (I, 7) Marchesa
sorpresa (I, 8) rimproveri di Generala a Conte (I, 7) appartamenti
di Conte Amaranto
e Girasole aspettano Conte (I, 9)
Girasole
veste Conte (I, 10)
Marchesa
vuole fuggire (I, 11–12) giardino Marchesa
si pente del suo atteggiamento (I, 13)
Conte
evita l’arruolamento di Marchesa (I, 14) appuntamento di Conte con Colonnella
(I, 15) Amaranto li interrompe (I, 16) Girasole annuncia Generala (I, 17) arresto
di Conte e di Amaranto (I, 18–19) atrio ammissione
di Conte e di Amaranto (I, 20) inizia
la cerimonia (I, 21) Conte
insulta Gran Colombo (I, 22) Atto II — arsenale
lavori
alla fucina (II, 1) |
Cintia
cede a Giacinto (III, 7)
luogo delizioso
si
riformano le coppie e crolla l’impero delle donne (III, s.u.) |
Conte
chiede la libertà per tutti (II, 2) Marchesa vuol corrompere Damigello (II,
3)
appartamenti
di
Conte Generala
vuol discreditare Colonnella (II, 4) Damigello
discredita Colonnella (II, 5)
Conte
e Colonnella si ritrovano (II, 7)
sala Marchesa
vuole fuggire con Amaranto (II, 8) Conte sta per fuggire con Colonnella (II,
9) giardino
Generala
e Damigello si nascondono nel casino (II, 11) Generala
sorprende le coppie in fuga e fa arrestare Marchesina e Amaranto (II, 12) Conte
chiede scusa (II, 13) Generala
minaccia Colonnella (II, 14) Colonnella rinchiusa nel casino (II, 15) tempio preparativi
per le nozze (II, 16) Conte
è condannato a morte (II, 17) spiaggia disperazione
di Colonnella (II, 18)
Conte
felice di vederla salva (II, 19) sbarco di una nave europea e fine del regno
delle donne (II s.o.) |
Conte
chiede di liberare Marchesa (II, 2)
sbarco
di una nave (II, 3) Comandante cerca Conte e Marchesa (II, 4) Colonnella
vuole combattere (II, 5) Aiutanta pensa che vincerà Colonnella (II, 6) camera di Generala
Amaranto
e Conte sono liberati (II, 8) Conte accetta le nozze con Generala (II, 9) Colonnella
ritrova Conte (II, 10) Generala e Conte scelgono la canzone per le nozze (II,
11) giardino
nave
europea al largo (II, 12) bagni diroccati
le
coppie si preparano alla fuga (II, 13) Generala
li sorprende (II, 14)
disperazione
di Colonnella (II, 15)
inizia
la cerimonia (II, 16)
scoppio
di cannoni (II, 17) l’isola
è bombardata (II, 18) grida
all’armi (II, 19) invocazione di pace (II, 20) spiaggia
battaglia
(II, 21) Conte
e Marchesa chiedono la libertà di scelta (II, 22) Amaranto
parte con Marchesa; Conte rimane con Colonnella (II, 23) |
Una simile situazione lascia presagire
anche una grande diversità nelle partiture. Proviamo a confrontarle, in modo da
individuarne le caratteristiche ed eventuali punti di contatto. La partitura di
Rust è andata perduta,[1] ma possiamo tentare di
ricostruirla a partire dal libretto. Per quanto riguarda le voci, la compagnia
di Galuppi prevede due soprani (Tulia e Rinaldino, en travesti), due contralti
(Aurora e Cintia), due bassi (Graziosino e Giacinto) e un tenore (Ferramonte).
In Rust, le dramatis personæ del San Samuele non ci sono di grande aiuto,
perché indicano solo parti buffe, la Colonnella prima buffa, il Conte primo
buffo mezzo carattere, la Generala, Amaranto e Damigello primi buffi caricati,
la Marchesina seconda buffa e l’Alfiera terza buffa. Mentre in Salieri abbiamo
due soprani (la Colonnella e la Marchesa), un mezzosoprano (l’Aiutanta), un
basso buffo (la Generala) e un basso (il Conte), due baritoni (il Comandante e
il Gran Colombo) e due tenori (Amaranto e Girasole). Non ci pare che una
siffatta ripartizione possa rimettere profondamente in causa la precedente
tabella della correlazione
tra i personaggi, dato che la caratterizzazione sembra primeggiare sulla
tipologia vocale. Quindi, riconsiderando gli stessi corrispettivi, otteniamo il
seguente quadro sinottico delle partiture:
Il
mondo alla roversa |
L’isola
capricciosa |
Il
mondo alla rovescia |
Atto
I n°
1: sinfonia n°
2: introduzione (Tulia, Cintia, Aurora, coro)
n°
3: aria Tulia n°
4: aria Aurora n°
5: aria Graziosino n°
6: aria Giacinto n°
7: aria Giacinto n°
8: aria Cintia
n°
9: aria Tulia
n°
10: aria Rinaldino
n°
11: finale I (Giacinto, Aurora, Cintia)
Atto
II n°
12: introduzione (Tulia, Cintia, Aurora, coro) n°
13: aria Tulia n°
14: terzetto Rinaldino–Giacinto– Graziosino n°
15: marcia n°
16: aria Ferramonte
n°
17: aria Rinaldino
n°
18: aria Cintia |
Atto
I n°
1: sinfonia n°
2: introduzione (Damigello, coro) n° 3: aria Alfiera n°
4: aria Colonnella n°
5: aria Damigello n°
6: aria Conte n°
7: aria Colonnella n°
8: duetto Generala–Conte n°
9: aria Amaranto n°
10: aria Generala n°
11: aria Conte n°
12: aria Marchesina n°
13: finale I (Conte, Amaranto, Colonnella, Generala, Marchesina, Alfiera,
Damigello, Gran Colombo) Atto II n°
14: aria Alfiera n°
15: duetto Damigello–Marchesa n°
16: aria Generala n°
17: duetto Conte–Colonnella n°
18: aria Amaranto n°
19: aria Conte n°
20: sestetto Generala– Damigello–Colonnella–Conte– Amaranto–Marchesina n°
21: aria Generala |
Atto
I n°
1: sinfonia n°
2: introduzione (coro) n°
3: aria Girasole [n° 3a: cavatina Colonnella][2] n°
4: duetto Amaranto–Colonnella n°
5: aria Aiutanta n°
6: quintetto Conte–Colonnella– Marchesa–Generala–Aiutanta n°
7: aria Colonnella n°
8: duetto Conte–Generala n°
9: aria Marchesa n°
10: aria Amaranto n°
11: aria Conte n°
12: aria Conte n°
13: finale I (Marchesa, Aiutanta, Conte, Colonnella, Amaranto, Girasole,
Generala, Gran Colombo) Atto
II n°
14: introduzione (coro) n°
15: quartetto Comandante– Generala–Colonnella–Aiutanta n°
16: aria Aiutanta n°
17: serenata n°
18: duetto Colonnella–Conte n°
19: duetto Generala–Conte [n°
19a: cavatina Amaranto] n°
20: aria Marchesa [n°
20a: duetto Marchesa–Amaranto] n° 21: quintetto Colonnella–Conte–
Amaranto–Marchesa–Generala |
n°
19: aria Giacinto n° 20: aria Aurora n° 21: aria Graziosino n° 22: finale II
(Cintia, Giacinto, Aurora, Graziosino) Atto III n°
23: aria Tulia n°
24: aria Ferramonte n°
25: aria Rinaldino n°
26: aria Aurora n°
27: aria Cintia n°
28: aria Graziosino n°
29: duetto Cintia–Giacinto17 n°
30:
finale III (coro)
|
n°
22: duetto Alfiera–Marchesina n°
23: sestetto Generala–Conte– Amaranto–Marchesina–Alfiera– Gran Sacerdotessa n°
24: duetto Colonnella–Conte n°
25: finale II (Generala, Colonnella, Marchesina, Alfiera, Conte)
|
n°
22: aria Colonnella
n°
23: finale II (Aiutanta, Girasole, Marchesa, Gran Colombo, Generala,
Colonnella, Conte, Comandante, Amaranto, coro) |
Ne
deduciamo la difficoltà di trovare una qualsiasi concordanza, persino tra Rust
e Salieri, i quali hanno in comune solo un librettista, i cui poemi sono ben
diversi. Constatiamo che la partitura del 1750 si compone di ventinove numeri
dopo la sinfonia, quella del 1780 di ventiquattro e quella del 1795 di
ventidue, venticinque se aggiungiamo i tre pezzi supplementari. Dalla
precedente tabella risaltano anche le priorità vocali e, nonostante il regno
delle donne, dobbiamo riscontrare che ben relativo è il primato delle donne, in
tutte e tre le partiture. In Galuppi, solo Cintia può competere con i due
bassi, Giacinto e Graziosino, e l’altro contralto, Aurora. In effetti, l’eroina
si avvale di sei prestazioni, cioè un’aria in ogni atto, l’andante «Se gli Uomini
sospirano» (I, 7), l’andante «Che cosa son le Donne» (II, 8) e la cavatina «Il
Capo mi frulla» (III, 6), compare nei finali I e II, rispettivamente nel
terzetto, allegro molto «Venite, o ch’io vi faccio» (I, 11), con Aurora e
Giacinto, e nel quartetto, allegro assai «È questa la promessa» (II, 12), con
gli stessi e Graziosino, e condivide un duetto con Giacinto, l’andantino
«Eccomi al vostro piede» (III, 7). Viene però superata da Giacinto, che, con
sette interventi, canta a sua volta tre pezzi solistici, due arie consecutive
nell’atto I, il largo «Madre natura» (I, 6) e il sostenuto «In quel volto siede
un nume», e una terza nell’atto II, l’allegro assai «Al bello delle Femine»
(II, 9), oltre al terzetto con Graziosino e Rinaldino, andante «Queste rose porporine»
(II, 3), al duetto con Cintia e ai finali I e II. Graziosino, agli stessi
terzetto e quartetto, somma tre arie, l’allegro «Quando gli augelli cantano»
(I, 5), il presto «Son di Coraggio armato» (II, 11) e l’allegro «Giuro… Signora
sì» (III, 6), per cinque prove. Proprio come Aurora, che interpreta pure tre
arie, l’andante «Quegl’occhietti si furbetti» (I, 4), l’allegro «Quando vien la
mia Nemica» (II, 10) e l’allegro «Che bel regnar contenta» (III, 5), e i finali
I e II. Seguono Tulia e Rinaldino con quattro pezzi, tutti individuali per
l’una, il presto «Fiero Leon, che audace» (I, 3), l’andante «Cari lacci, amate
pene» (I, 8), l’aria «Fra tutti gli affetti» (II, 2) e l’allegro «Fino ch’io
viva vi adorerò» (III, 1), tre solistici per l’altro, l’andante «Gioje care, un
cor dubioso» (I, 9), l’andante spiritoso «Nochier, che s’abbandona» (II, 7) e
l’allegro «Chi troppo ad Amor crede»(III, 4), e il terzetto con gli altri
uomini. Ultimo viene Ferramonte con due arie, entrambe allegro, «Quando le
Donne parlano» (II, 6) e «Le Donne col cervello» (III, 3).
Dalla nostra ricostruzione della
partitura di Rust risulta che il Conte detiene un primato incontestabile con
dieci interventi. In effetti, egli ha tre arie, due nell’atto I, «Esser parmi
la civetta» (I, 10) e «Per amor io sospirai» (I, 17), una nel II, «Quando
acceso, e pien d’amore» (II, 9), tre duetti, uno con la Generala, «Io sognai,
che in un serraglio» (I, 12), due con la Colonnella, «Spenta resti in voi la
brama» (II, 7) e «Infelice! In quale stato» (II, 19), e partecipa ai due
sestetti dell’atto II, rispettivamente «Veder parmi un non so che» (II, 12),
con la Colonnella, la Generala, Damigello, Amaranto e la Marchesina, e «Amor,
che intorno voli» (II, 17), con la Generala, Amaranto, la Marchesina, l’Alfiera
e la Gran Sacerdotessa, che ha qui il suo unico impiego, e ai due finali, il
primo con tutti gli attori, avviato dal duetto con Amaranto, «Cosa migliore //
Cosa peggiore»[3]
(I, 19), il secondo, «Presso a morte, indegno, ancora» (II, s.u.), con la
Colonnella, la Generala, la Marchesina e l’Alfiera. Le donne gli danno comunque
il cambio, la Generala in testa, ovviamente, con otto numeri, tre arie, «Del
destin non vi lagnate» (I, 16), «A questa amica, e a quella» (II, 4) e «Aura,
che intorno spiri» (II, 15), cui si aggiungono il duetto, i sestetti e i
finali. Seguono la Colonnella e la Marchesina, con sette presenze, tra cui due
arie, «Bella vita, bel piacere» (I, 4) e «Se sì vaghi e sì vezzosi» (I, 10), i
duetti con il Conte e il primo sestetto, per l’una, l’aria «Voi, che al natio
paese» (I, 18), due duetti con Damigello, «Saran vostre l’occhiatine» (II, 3),
e con l’Alfiera, «Udir parmi di lontano» (II, 16), e i due sestetti, per
l’altra, i due finali per entrambe. Oltre a questi pezzi, al duetto con la
Marchesina e al secondo sestetto, l’Alfiera canta due arie, all’inizio di ogni
atto, «Quando l’amor ne stuzzica» (I, 2) e «Tutto il dì la cascamorta» (II, 2),
con sei prestazioni. Amaranto ne ha cinque: il finale I e i due sestetti, e le sue
due arie, «Girandole le femmine» (I, 14) e «Un tal foco mi va per le vene» (II,
8). Mentre Damigello ne ha quattro: lo stesso finale, il duetto con la
Marchesina, il primo sestetto e l’aria «Cogli uomini in beltà» (I, 7).
L’apparizione nel finale I è la sola prova rilevante del Gran Colombo.
In Salieri, la Colonnella condivide il
primo posto con il Conte, entrambi con nove numeri, cioè il duetto comune «Il
più felice istante»[4]
(II, 10), la mutua partecipazione ai quintetti dell’atto I, «(Esser parmi la
civetta» (I, 6), e dell’atto II, «Non vi seconda Amore» (II, 14), e ai finali I
e II, «Voi che invano notte, e giorno» (I, 13) e «Udir parmi di lontano» (II,
16), e, per la prima, due arie solistiche, «A trionfar mi chiama» (I, 6) e
«Aura che intorno spiri» (II, 15), un secondo duetto con Amaranto, «Pietà,
perdono» (I, 3) e il quartetto «Voi nemico mi volete?» (II, 4), con l’Aiutanta,
la Generala e il Comandante, per il secondo, le due arie dell’atto I, «Il
labbro è di cinabro» (I, 10) e «Per amor io sospirai» (I, 11), e i duetti con
la Generala, «Io sognai che in un serraglio» (I, 7) e «Alle nozze questa sera»
(II, 11). Ben lungi dalla supremazia che le attribuiamo nell’Isola capricciosa,
costei non ha nessuna aria, ma può vantare sette prove, i due duetti con il
Conte, i due quintetti, il quartetto e i finali I et II. Mentre l’Aiutanta
condivide il numero di sei presenze con la Marchesa, di cui due individuali,
una per atto, rispettivamente «Là corrono gli uomini» (I, 4) e «Cosa giova
l’aver spirito» (II, 6), e «Che farò? Che sarà mai?» (I, 8) e «Quando più irato
freme» (II, 12), cantano entrambe nel primo quintetto e nei due finali, la
prima nel quartetto, la seconda nell’altro quintetto. In quest’ultimo pezzo,
come nei finali, ritroviamo anche Amaranto, che prima ha un’aria, «Non temer
ch’io sia sdegnato» (I, 9), oltre al duetto con la Colonnella. Girasole
interviene solo nell’aria «Girandole le femmine» (I, 2) e nei finali, in cui il
Gran Colombo ha pure le sue sole prestazioni. Il Comandante compare solamente
nell’atto II, dapprima nel quartetto, quindi nel finale dell’opera.
La struttura dei numeri musicali può
permettere, a sua volta, di ravvicinare le partiture, almeno quelle di Galuppi
e di Salieri. Notiamo, per esempio, che la prima aria di Aurora fa seguire
all’andante «Quegl’occhietti si furbetti» (I, 4) l’allegro «(Ei gode tutto»,
l’allegro di Graziosino «Quando gli augelli cantano» (I, 5) si apre nel
larghetto «Oh che piacer amabile!», il sostenuto di Giacinto «In quel volto
siede un nume» (I, 6) si proietta nell’allegro «E frattanto vivo in pianto»,
come il finale I, iniziato con l’allegro molto «Venite, o ch’io vi faccio» (I,
11), viene ad articolarsi in due allegri, «Quest’è un imbroglio» e «Ecco
ritorno», e nel larghetto, «La vostra tirannia», il terzetto passa dall’andante
«Queste rose porporine» (II, 3) all’allegro «A terra, a terra» (II, 4), e il
duetto dell’andantino «Eccomi al vostro piede» (III, 7) all’allegro «Ma questo
mai non fia» e all’andante «Caro il mio bambolo».
Così le due arie della Colonnella
dall’allegro maestoso «A trionfar mi chiama» (I, 6) e dall’un poco andante
«Aura che intorno spiri» (II, 15) si prolungano nel presto «Vo allestirmi, la
tema calmate» e nell’allegro assai «Da mille smanie», quella di Amaranto
dall’allegretto agitato «Non temer ch’io sia sdegnato» (I, 9) nell’allegro «Ah
se l’avessi», i due duetti del Conte e della Generala dall’andante un poco
cantabile «Io sognai che in un serraglio» (I, 7) e dall’allegretto «Alle nozze
questa sera» (II, 11) nell’allegretto «Ma cosa mancavi?» e nell’allegro
maestoso «Canarino in gabbia chiuso», seguito dall’allegretto «Di gioia e di
contento», e il secondo quintetto dall’un poco lento «Non vi seconda Amore»
(II, 14) nell’allegro vivace «Pria di tormi il caro oggetto». Il finale I di
Vienna, dall’allegro della Marchesa «Voi che invano notte, e giorno» (I, 13)
procede verso il più mosso «Pure alfin l’ho ritrovata» con l’Aiutanta,
l’allegro «Ardir s’avanzi il piede» (I, 15) tra il Conte e la Colonnella, il
loro allegro assai con Amaranto, «Brava, bravissima» (I, 16), l’andante con la
Generala, «Se siamo veduti» (I, 18), l’andante con Amaranto e Girasole, «Dove
siam… Che luogo è questo?» (I, 20) e l’andante maestoso con il Gran Colombo e
l’Aiutanta, «Questo canto sì devoto» (I, 21). E il finale II, dall’allegro
maestoso «Udir parmi di lontano» (II, 16) tra Girasole, l’Aiutanta e la
Marchesa, si sviluppa nell’andante maestoso tra il Gran Colombo e la Generala,
«Conservator del mondo» (II, 17), nell’allegro presto tra la Colonnella, la
Generala, il Conte, la Marchesa e l’Aiutanta, «Dagli europei» (II, 18), quindi
nell’allegro assai «Fermate, fermate!» (II, 22), in cui il Comandante si
avvicenda con l’Aiutanta, nell’allegro assai dello stesso con la Marchesa e la
Generala, «Liberi or siete» (II, 22), nell’allegro assai con Amaranto,
Girasole, il Conte, la Colonnella e l’Aiutanta, «Pietà, signora» (II, 23), poi
nell’allegro «Senza tema or fo palese».[5]
In Rust, possiamo procedere solo per
deduzione, basandoci sul cambiamento della misura del verso all’interno dello
stesso pezzo musicale, e questo si concretizza per la Marchesina, il cui «Voi,
che al natio paese» (I, 18) si concatena con «Qual cambiamento!», per il Conte
con «Quando acceso, e pien d’amore» (II, 9), seguito da «Eppur a poco a poco»,
e per la Generala: «Aura, che intorno spiri» (II, 15) e «Che barbara sorte», su
testo diverso rispetto alla versione per Salieri. Il fenomeno si conferma nel
duetto tra la Generala e il Conte, «Io sognai, che in un serraglio» (I, 12) e
«Non sono amabile?», ancora modificato a Vienna, e nel secondo sestetto, «Amor,
che intorno voli» (II, 17), prolungatosi ne «Il sacro pecchere» e ne «Il
matrimonio è sciolto». L’inizio del finale I, «Cosa migliore // Cosa peggiore»
(I, 19), in forma di
duetto tra il Conte e Amaranto, si riversa in «Ma quale a noi
vicino?...», e prosegue come terzetto, «Garofani, rose» (I, 20), con la
Colonnella, mentre Amaranto cede il passo alla Generala, «Ma donde, cospetto»
(I, 21), per introdurre poi un nuovo duetto tra la Marchesina e l’Alfiera, «Non
son più la bella» (I, 22), che sfocia nel terzetto con Damigello, «È nato un
gran disordine» (I, 23), per concludersi con il sestetto «Dove siam!.. Che
luogo è questo! ...» (I, 24) e il settimino «Il vestito, che vi metto» (I, 26).
Dal quartetto tra la Generala, l’Alfiera, la Colonnella e la Marchesina, «Qual
freddo tremito!» (II, s.u.), articolatosi in «Ah qual suono sen viene dal
mare!», il finale II si conclude nel sestetto «Siete nostre prigioniere», con
il Conte e un ufficiale della nave europea.
Piuttosto parco è il ricorso al coro,
soprattutto nelle due versioni veneziane. In effetti, in Galuppi lo
riscontriamo solo nelle introduzioni degli atti I, «Presto, presto, alla
catena» (I, 1), in presenza di Tulia, Cintia e Aurora, ripreso nell’atto II
dopo la marcia (II, 5), e II, «Libertà, libertà» (II, 1), sempre con i tre
personaggi femminili, cui subentra «Non sò, se meglio sia» alla fine della
scena dell’elezione, e nel finale dell’opera, «Pietà, pietà di Noi» (III,
s.u.), con tutte le donne. La situazione è simile in Rust con il coro
dell’introduzione, «Vergine intatto Nume» (I, 1), accompagnato da Damigello,
l’inno in onore della Generala, «Prode guerriera» (I, 9), incoraggiato dalla
Colonnella e dall’Alfiera, prima della sortita del Conte, e con il coro delle
soldatesse, «Copri, o Notte, col manto di tenebre» (II, 19), precedente
l’ultimo duetto della Colonnella senza noia» (I, 1), in compagnia di Amaranto,
introduce il ritorno della Generala, «Viva il fulmine di guerra» (I, 6),
conclude l’aria del Conte, «Ei fa onor al suo vestito» (I, 10), con Girasole,
dà corpo alla cerimonia dei casti colombi, «Colombon, che qui presiedi» (I,
22), nel finale I, caratterizza la scena dell’arsenale, «Sull’incudine sonora»
(II, 1),[6] alimenta la barcarola,
«Tranquilla e placida» (II, 13), e ritma il finale II, dal grido della
Colonnella, della Generala e dell’Aiutanta, «All’armi, all’armi corrasi» (II,
19), allo scoramento di Amaranto, «Occhio immortal, che vedi» (II, 20), dal
reciproco spavento che si incutono soldatesse e soldati, «La fiamma vorace»
(II, 21), all’invocazione alla pace, «Pace pace che ci chiama» (II, 22), e ai
rallegramenti finali, «Marte applaude al nume arciero» (II, 23).
In ultimo, tra i due libretti di Mazzolà
è interessante rilevare che la prima aria di Amaranto del 1780, «Girandole le
femmine» (I, 14), ricompare fin dalle scene iniziali del 1795 (I, 2), in bocca
a Girasole (I, 2), e che i versi della sortita del Conte, a Venezia, «Esser
parmi la civetta» (I, 10), modellano l’inizio del quintetto di Vienna (I, 6),
oltre al persistere del solo duetto tra la Generala e il Conte, al San Samuele,
«Io sognai, che in un serraglio» (I, 12), nel primo incontro degli stessi personaggi
al Burgtheater (I, 7), delle due arie del Conte «Per amor io sospirai» (I, 17 ;
11) e della Generala «Aura, che intorno spiri» (II, 15) e di parte del finale
I, «Dove siam!.. Che luogo è questo! ...» (I, 24). Nell’avvicendarsi degli
autoprestiti, rammentiamo pure, con Rice e Biggi Parodi, che frammenti della
musica del Mondo alla rovescia di Salieri attingono a titoli anteriori, come Don
Chisciotte alle nozze di Gamace (1771), Europa riconosciuta
(1778) e Semiramide (1782), come alla cantata La sconfitta
di Borea (1775), e che la sinfonia viene poi ripresa per L’Angiolina
(1800) (JAR, 545; EBP, 146–149).
Nel privilegiare versi brevi,
essenzialmente settenari e ottonari, la metrica è il solo vero e proprio punto
di contatto tra i poemi, fenomeno per altro affatto sorprendente nei libretti
d’opera. In Goldoni, primeggia il settenario con diciassette frequenze. Compare
fin dalla prima aria di Tulia «Fiero Leon, che audace» (I, 3), nell’allegro di
Graziosino «Quando gli augelli cantano» (I, 5), nell’andante di Cintia «Se gli
Uomini sospirano» (I, 7), nella sortita di Ferramonte «Quando le Donne parlano»
(II, 6), proparossitoni gli ultimi tre, nell’andante spiritoso di Rinaldino «Nochier,
che s’abbandona» (II, 7), nell’andante di Cintia «Che cosa son le Donne» (II,
8), nell’allegro assai di Giacinto «Al bello delle Femmine» (II, 9), pure
sdrucciolo, nel presto di Graziosino «Son di Coraggio armato» (II, 11),
nell’allegro di Ferramonte «Le Donne col cervello» (III, 3), negli allegri di
Rinaldino e di Aurora, «Chi troppo ad Amor crede» (III, 4) e «Che bel regnar
contenta» (III, 5), nell’allegro di Graziosino «Giuro… Signora sì» (III, 6),
ossitono, come pure nell’allegro molto, «Venite, o ch’io vi faccio» (I, 11), e
nel larghetto, «La vostra tirannia», del finale I, nell’allegro
assai «È questa la promessa» (II, 12) del finale II, nel duetto tra Cintia e
Giacinto, tanto nell’andantino «Eccomi al vostro piede» (III, 7) quanto
nell’allegro «Ma questo mai non fia», e nei cori «Non sò, se meglio sia» (II,
1), in apertura dell’atto II, e «Pietà, pietà di Noi» (III, s.u.) del finale
III. Lo stesso coro dell’atto II è preceduto da un ottonario, «Libertà,
libertà» (II, 1), quaternari accoppiati ossitoni, che ritroviamo fin
dall’introduzione, «Presto, presto, alla catena» (I, 1), nell’andante del
terzetto degli uomini, «Queste rose porporine» (II, 3), nell’andante di Aurora,
«Quegl’occhietti si furbetti» (I, 4), nell’aria di Giacinto, sia nel sostenuto
«In quel volto siede un nume» (I, 6) sia nell’allegro «E frattanto vivo in
pianto», negli andanti di Tulia, «Cari lacci, amate pene» (I, 8), e di
Rinaldino, «Gioje care, un cor dubioso» (I, 9), nell’allegro di Aurora «Quando
vien la mia Nemica» (II, 10), per otto ricorrenze. Osserviamo inoltre che
l’ottonario dell’andante della prima aria di Aurora si muta in quinario
nell’allegro seguente, «(Ei gode tutto» (I, 4), così come nel finale I, per i
due movimenti centrali, «Quest’è un imbroglio» (I, 11) e «Ecco ritorno», il
terzetto «A terra, a terra» (II, 4) e l’andante del duetto, «Caro il mio
bambolo» (III, 7), nel largo di Giacinto, «Madre natura» (I, 6), e in qualche
verso del larghetto di Graziosino (I, 5), assieme a settenari, per sei
presenze. Oltre a due senari, nella terza aria di Tulia «Fra tutti gli affetti»
(II, 2) e nella cavatina di Cintia «Il Capo mi frulla» (III, 6), e a un
decasillabo, nell’allegro di Tulia «Fino ch’io viva vi adorerò» (III, 1),
quinari accoppiati.
Nell’Isola capricciosa, si impone
l’ottonario con quindici utilizzi, nelle arie della Colonnella, «Bella vita,
bel piacere» (I, 4) e «Se sì vaghi e sì vezzosi» (I, 10), del Conte, «Esser
parmi la civetta» (I, 10), «Per amor io sospirai» (I, 17) e «Quando acceso, e
pien d’amore» (II, 9), della Generala, «Del destin non vi lagnate» (I, 16),
dell’Alfiera, «Tutto il dì la cascamorta» (II, 2), nei duetti della Generala e
del Conte, «Io sognai, che in un serraglio» (I, 12), di Damigello e della
Marchesina, «Saran vostre l’occhiatine» (II, 3), del Conte e della Colonnella,
«Spenta resti in voi la brama» (II, 7) e «Infelice! In quale stato» (II, 19),
dell’Alfiera e della Marchesina, «Udir parmi di lontano» (II, 16), nel primo
sestetto, «Veder parmi un non so che» (II, 12), ossitono, e nei finali I, «Dove
siam! Che luogo è questo! ...» (I, 24), e II, «Presso a morte, indegno, ancora»
(II, s.u.) e «Siete nostre prigioniere». Nell’ultima aria del Conte,
l’ottonario convive con il settenario del movimento successivo, «Eppur a poco a
poco» (II, 9), come nel coro che ne precede la sortita, ma assortito a quinari,
e il settenario torna nelle arie dell’Alfiera, «Quando l’amor ne stuzzica» (I,
2), proparossitono, di Damigello, «Cogli uomini in beltà» (I, 7), ossitono, di
Amaranto, «Girandole le femmine» (I, 14), pure sdrucciolo, della Marchesina,
«Voi, che al natio paese» (I, 18), della Generala, «A questa amica, e a quella»
(II, 4) e «Aura, che intorno spiri» (II, 15), nel coro dell’introduzione,
«Vergine intatto Nume» (I, 1), nella seconda parte del duetto tra il Conte e
Amaranto, «Ma quale a noi vicino?...» (I, 19), nel finale I, «È nato un gran
disordine» (I, 23), e nel secondo sestetto, «Amor, che intorno voli» (II, 17) e
«Il matrimonio è sciolto», per un totale di dodici casi. Nello stesso numero,
troviamo pure un quinario, «Il sacro pecchere», che compare anche nella seconda
parte del primo duetto della Generala e del Conte, «Non sono amabile?» (I, 12),
entrambi proparossitoni, e dell’aria della Marchesina, «Qual cambiamento!» (I,
18), e nel finale II, «Qual freddo tremito !..» (II, s.u.), ancora sdrucciolo.
Alla pari con le quattro frequenze del senario, di cui tre nel finale I, i
terzetti «Garofani, rose» (I, 20) e «Ma donde, cospetto» (I, 21), e il duetto
«Non son più la bella» (I, 22), e il probabile 16 allegro dell’ultima aria
della Generala, «Che barbara sorte» (II, 15). Segnaliamo in ultimo tre
decasillabi, nella seconda aria di Amaranto, «Un tal foco mi va per le vene»
(II, 8), nel coro precedente il secondo duetto tra la Colonnella e il Conte,
«Copri, o Notte, col manto di tenebre» (II, 19), proparossitono, e nel finale
II, «Ah qual suono s’en viene dal mare!» (II, s.u.).
Simili ricorrenze si rinnovano nel
rimpasto viennese, ove abbiamo quattordici ottonari. Dal coro
dell’introduzione, «Lavoriam, che senza noia» (I, 1), a quello del quintetto,
«Viva il fulmine di guerra» (I, 6), e al quintetto stesso, «(Esser parmi la civetta»,
dall’attacco del primo duetto tra il Conte e la Generala, «Io sognai che in un
serraglio» (I, 7), all’aria della Marchesa, «Che farò? Che sarà mai?» (I, 8),
dall’inizio dell’aria di Amaranto, «Non temer ch’io sia sdegnato» (I, 9), al
coro successivo alla sortita del Conte, «Ei fa onor al suo vestito» (I, 10),
dalla sua seconda aria, «Per amor io sospirai» (I, 11), al finale I, «Voi che
invano notte, e giorno» (I, 13), tra cui il più mosso «Pure alfin l’ho
ritrovata», l’andante «Dove siam… Che luogo è questo?» (I, 20), il coro
«Colombon, che qui presiedi» (I, 22) e l’andante maestoso «Questo canto sì
devoto» (I, 21), dall’introduzione dell’atto II, «Sull’incudine sonora» (II,
1), al quartetto «Voi nemico mi volete?» (II, 4), dalla seconda aria dell’Aiutanta
«Cosa giova l’aver spirito» (II, 6), qui parossitono, al duetto tra la Generala
e il Conte, sia nell’allegretto «Alle nozze questa sera» (II, 11) sia
nell’allegro maestoso «Canarino in gabbia chiuso», dal secondo quintetto «Pria
di tormi il caro oggetto» (II, 14) al finale II, allegretto maestoso «Udir
parmi di lontano» (II, 16), allegro «Senza tema or fo palese» (II, 23) e cori
«Pace pace che ci chiama» (II, 22) e «Marte applaude al nume arciero» (II, 23).
Segue il settenario, con dieci presenze. Dall’aria di Girasole, «Girandole le
femmine» (I, 2), proparossitono, all’allegro maestoso di quella della
Colonnella, «A trionfar mi chiama» (I, 6), dalla prima aria del Conte «Il
labbro è di cinabro» (I, 10) all’allegro del finale I, «Ardir s’avanzi il
piede» (I, 15), dal duetto della Colonnella e del Conte, «Il più felice
istante» (II, 10), all’allegretto di costui con la Generala, «Di gioia e di
contento» (II, 11), dalla seconda aria della Marchesa, «Quando più irato freme»
(II, 12), all’un poco lento dell’ultimo quintetto, «Non vi seconda Amore» (II,
14), dall’un poco andante dell’ultima aria della Colonnella, «Aura che intorno
spiri» (II, 15), ai cori del finale II, «All’armi, all’armi corrasi» (II, 19),
proparossitono, e «Occhio immortal, che vedi» (II, 20). Viene maggiormente
utilizzato il quinario, dal duetto tra Amaranto e la Colonnella, «Pietà,
perdono» (I, 3), a quello tra il Conte e la Generala, «Ma cosa mancavi?» (II,
11), proparossitono, dall’aria di Amaranto, «Ah se l’avessi» (I, 9), all’allegro
assai del finale I, «Brava, bravissima» (I, 16), dal coro della barcarola,
«Tranquilla e placida» (II, 13), entrambi sdruccioli, all’ultima aria della
Colonnella, «Da mille smanie» (II, 15), e al finale II, l’allegro presto «Dagli
europei» (II, 18) e gli allegri assai «Liberi or siete» (II, 22) e «Pietà,
signora» (II, 23), per sette casi. Notiamo in ultimo due senari, nella prima
aria dell’Aiutanta, «Là corrono gli uomini» (I, 4), proparossitono, e nel
finale II, coro «La fiamma vorace» (II, 21) e allegro assai «Fermate, fermate!»
(II, 22). E un decasillabo, nella prima aria della Colonnella, «Vo allestirmi,
la tema calmate» (I, 6).
Per quanto riguarda la tematica del
viaggio, abbiamo già riscontrato che i tre libretti situano l’azione su
un’isola e che ogni volta abbiamo almeno una nave nelle vicinanze. E non ci è
nemmeno sconosciuta la componente marittima della scenografia. Ricordiamo però
che al San Cassiano è resa esplicita solo nell’atto II, quando viene precisato
che il «Giardino delizioso alla riva del Mare» (II, 3) forma «un seno nel lido
[che] offre comodo sbarco ai piccoli legni». La vista della sala del San
Samuele è «aperta interiormente sul mare» (I, 9) ed è per mare che potrebbe
concretizzarsi il progetto di fuga: «Per la via del Casino / Andremo
inosservati al mar vicino» (II, 8), ove «Due barche pronte sono» (II, 11). Al
Burgtheater, tra le rovine dei «Bagni diroccati» (II, 13), «si vede il mare»,
in cui aspettano pure «Due barche in fondo», e la battaglia avviene su una
«Spiaggia di mare» (II, 21). Si aggiunga l’aria di paragone di Rinaldino, che
ricorre al raffronto del nocchiero in preda alle vicissitudini 17 dell’onda per
spiegare lo stato d’animo dell’innamorato, nella migliore tradizione operistica
settecentesca, ma non solo: «Nochier, che s’abbandona / In seno al mare infido,
/ Quando lo brama, al lido / Sempre tornar non può» (II, 7).
Tuttavia, è incontestabilmente Il
mondo alla rovescia di Salieri a sviluppare la componente in modo più
compiuto. In effetti, la notizia dell’approdo della nave europea viene
annunciata fin dalle prime scene, quando Girasole interroga l’Aiutanta in
merito. All’immagine idealizzata che si fa il giovane degli stranieri, «Popoli
favolosi io li credei» (I, 4), l’interlocutrice risponde che anche gli abitanti
dell’isola sarebbero venuti dallo stesso continente («e se si vuole / alle
storie dar fede / noi pur di là veniamo») e, sforzandosi di contenerne
l’entusiasmo («Una vasta contrada / bel fanciullo, è l’Europa»), gli fornisce
anche la spiegazione dell’esodo: Narran le storie, che numerosa schiera
d’ardite donne stanche di servile catena dieder le vele al vento e in
quest’isola giunte poser quel giogo all’uom, ch’egli alle donne fa in Europa
portar. Quindi si pone immediatamente la questione di un’altra migrazione,
quella dei costumi. D’altronde, alla domanda di Giransole («All’uom soggette /
son le donne in Europa?»), l’Aiutanta lascia trasparire qualche rimpianto («E
però più felici / affabili, cortesi / son con esse gli uomini europei»), pur
cogliendo il pretesto per confermare questo tipo di comportamento e corteggiare
il modista: «appunto qual, carino, io vi vorrei». In Goldoni, invece non
ritroviamo nessuna allusione alle origini degli abitanti dell’«Isola degli
Antipodi», come pure nell’Isola capricciosa, in cui però viene immediatamente
enunciata la notizia del ritorno della Generala con «Due giovani Europei» (I,
6) e, se il precedente periplo rimane piuttosto vago, il loro arrivo è a sua
volta l’occasione di precisare il capovolgimento dei ruoli, in un recitativo la
cui materia serve l’aria dell’Aiutanta del 1795 (I, 4): «Gli uomini di que’
paesi / Corron dietro alle donne, / Come le donne in questo / Agli uomini van
dietro». A Vienna, il pubblico viene a sapere che precedentemente il Conte e la
Marchesa erano naufragati su altre rive, per poi diventar la preda della
Generala: «Smarrita nave / li trasse in questi mari / a un’isola vicina…» (I,
6). È un fattore che crea una tappa intermedia prima dello sbarco del
Comandante, preparato dal temporale del finale I, durante il quale tuoni e
lampi vengono a perturbare la cerimonia dei casti colombi, «Quale orrenda notte
oscura / all’intorno si diffonde!» (I, 22): «La passata tempesta a queste
sponde / sospinse ignote vele. Il Comandante / a terra pose il piede / da molti
cinto, e di parlarvi ei chiede» (II, 3), avvisa la Colonnella. L’anticipazione
di simile irruzione dà maggior rilievo al personaggio del Comandante,
preoccupato di ritrovare i compagni di sventura: «Furo due miei compagni / da
voi raccolti, o presi. / Vi piaccia comandar che a noi sian resi» (II, 4).
Allorché in Rust l’Ufficiale ha solo la funzione di deus ex machina: «Si sente
dalla parte del Mare una Sinfonia allegra» (II, s.u.), «La Nave approda, e
sbarcano due Ufficiali Europei con Soldati». In Galuppi, lo stesso episodio
avviene ben a monte, quasi al centro del dramma, «Vedesi dal Mare accostarsi
una Barca ripiena d’Uomini» (II, 4), ma nel 1750 Ferramonte riveste un ruolo
mediano tra il Comandante e il Conte in fieri. Conosciamo la magniloquenza del
finale di Salieri, con la scena della battaglia, durante la quale si incendiano
le navi, «La fiamma vorace / le navi distrugga» (II, 21), lo stesso vascello
che dapprima viene considerato come mezzo di fuga dalla Marchesa: «Da questo
lido / sta non lunge ancorato / un naviglio europeo» (II, 12). Il viaggio che
collega meglio le tre opere è comunque metaforico, quello sconvolgimento delle
abitudini, di ciò che le convenzioni sociali attribuiscono al ruolo della 18
donna e dell’uomo, generando, appunto, un mondo alla rovescia. Lo si percepisce
innanzitutto negli obblighi degli uni e degli altri. Sappiamo che
l’introduzione è unanime in tutte e tre le versioni nel rappresentare quei
grandi ragazzotti nell’atto di assolvere i lavori domestici: in Goldoni, sta a
Tulia distribuire i compiti, «Ite all’opre servili, / E partite fra Voi le
cure, e i pesi. / Altri alla Rocca intesi, / Altri all’Ago, altri all’Orto, o
alla Cucina» (I, 1), mentre le «vittoriose Insegne» della didascalia lasciano
chiaramente capire che sono le donne a detenere le armi; al San Samuele,
primeggia il cucito, «Chi ha dinanzi l’arcoljo, chi un grandissimo cuscino da
merli, chi cuce, e il Damigello sta filando» (I, 1), cui fa eco «un grandissimo
strepito d’armi»; non meno che a Vienna, «chi ricama, chi fa merletti, chi
fila, chi sta disponendo ed annaspando» (I, 1). Graziosino e Damigello sembrano
contenti: «Farò la Cameriera; / Farò la Cuciniera; / Farò tutte le cose più
triviali; / Laverò le Scudele, e gli Orinali» (I, 4), «Dipanare, e cucire /
Agli uomini s’insegni» (I, 3). Il Conte di Venezia si lascia prendere al gioco
e per un po’ finge di abituarvisi: «Donna or son io» (I, 16). Osserviamo
inoltre la cura dedicata da Giacinto alla toeletta: «Questa parucca in vero, /
Questo capel, che colla polve è intriso, / Fa risaltar mirabilmente il viso»
(I, 6).
Un altro aspetto volto ad illustrare gli
usi dell’isola consiste nel timore dei ragazzi di venire rapiti. Si avverte
soprattutto nell’Isola capricciosa, ove, fin dalle prime scene, l’Alfiera e
Damigello compiangono il tentativo subito da Amaranto, «Appunto / Di lui si
tenta il ratto» (I, 2), e, poco dopo, il diretto interessato è preoccupato per
la propria buona reputazione, «Vi par poco esser disceso / Quaggiù con una
donna?» (I, 4), come poi avviene tra Damigello e l’Alfiera, «Mi vede l’onor
mio» (I, 7). Così, quando Amaranto, nel fuggire, si cura del proprio onore, la
Marchesina lo rassicura che «Non perde nulla affatto. / Giunto in Europa il
troverete intatto» (II, 8).
D’altronde, il ribaltamento dei
comportamenti è sottolineato in modo alquanto buffo fin da quell’aria del
catalogo intonata ora da Amaranto ora da Girasole, rispettivamente nel 1780 e
nel 1795:
Girandole
le femmine
Lusingano,
contrattano,
S’aggirano,
s’appiattano,
Subornano,
insolentano,
Si
vantano, s’inventano (I, 14; I, 2; cfr. anche JAR, 538).
In
entrambe le versioni di Mazzolà, la situazione sorprende sia il Conte sia la
Marchesa fin dallo sbarco: «Gonne, gonne, e poi gonne… Ove celata / Sta la
gente bracata?» (I, 10; I, 6), esclama il primo; «(La donna in queste spiagge
all’uom prevale» (I, 10), nota la seconda. A Venezia egli diventa subito
oggetto del corteggiamento tanto della Colonnella («Nel sedersi gli cade il
cappello; la Colonnella lo raccoglie, e glielo presenta») quanto dell’Alfiera
(«cade al Conte il fazzoletto, e l’Alfiera lo raccoglie, e glielo presenta»),
oltre a suscitare le brame della Generala: «E v’alzo al letto mio generalizio».
Allorché a Vienna finge di incoraggiarle: «Esser la mia volete / cavaliera
servente?» (I, 6). E la Marchesa non manca di seguirlo su questa via: «I primi
passi / qui far deve la donna» (II, 12). Perché bisogna pur ammettere, con la
Generala di Rust, che è il «Sesso maschile, imbelle, e debil sesso» (I, 10).
Eppure, in Goldoni, il regno delle donne diventa rapidamente pericolante e agli
occhi di Tulia, la savia, è la loro competizione per la supremazia ad esporlo
troppo: «Prevedo che non molto / Questo debba durar Dominio nostro» (II, 2).
Osserva poi Aurora che «L’invidia, l’ambizione, e l’avarizia, / Faran
precipitare il nostro Regno» (II, 10). Ma è ancora Tulia a cedere per prima,
nel dichiararsi a Rinaldino: «Esser a Voi soggetta, / Rinunciar del comando /
Ogni ragione a Voi» (III, 2). E lascia ad Aurora il compito di constatare la
fine del loro impero, «Il Regno delle Donne / Distruggendo si và» (III, 5), e
di sviluppare in un’aria l’idea che «Noi donne siamo nate / Per essere onorate
/ Ma non per Comandar». E persino Cintia vi 19 accondiscende: «Ma ohimè veggo
distrutta / Questa nostra grand’opra, / E gl’Uomini vuon star a noi di sopra»
(III, 7). Morale: «Le Donne, che Comandano, / E il Mondo alla roversa, / Che
mai non durerà» (III, s.u.). «Alle Donne è tolto il Regno» (II, s.u.),
confermano l’Ufficiale e la Marchesa, ma anche la Colonnella, nell’Isola
capricciosa, in cui la caduta è meno vertiginosa. In effetti, se il un primo
tempo il Conte confida alla Marchesina che «Nel Paese dei Pazzi / Saggezza è la
pazzia» (I, 17) e che di conseguenza si appresta a «ridur la pazzia […] a
sistema», qualche scena dopo, durante un battibecco tra i due viaggiatori, egli
pare voler erigere una simile società a modello: «Ah, se vedete / Mai più donne
Europee, rammemorando / Queste terre straniere, / Loro insegnate ad esser meno
altere» (II, 5). I due personaggi cominciano persino a divertirsi, «A far da
uomo un tratto incominciai» (II, 9), «A far da donna io mi diverto assai», e la
giovane trae dall’esperienza una lezione non trascurabile: «Un bel punto di
vista / È questo, dove siamo, / Per rimirar il mondo».
Se
il viaggio, nel vero senso del termine, è quasi inesistente nel Mondo alla
roversa e se rimane ancora piuttosto secondario nell’Isola capricciosa, esso
assume tutto il proprio peso nel Mondo alla rovescia, in cui, in varie
occasioni, si moltiplicano gli spostamenti, dapprima per gli abitanti
dell’isola, per la Generala in cerca di nuove prede, per gli stessi
prigionieri, che preparano la fuga. E non è questo l’unico punto sul quale
divergono i tre libretti. Abbiamo constatato che la distribuzione dei ruoli non
viene affatto ricondotta tra le due versioni veneziane e che talvolta i
personaggi cambiano nome anche tra le stesure di Mazzolà, alcuni scompaiono,
altri si affermano. La trama subisce una sorte simile e dal 1750 al 1795 rimane
solo il titolo, eccetto qualche furtiva allusione. Tra il San Samuele e il
Burgtheater il poeta procede pure a una serie di aggiustamenti, di
integrazioni, di modifiche e di soppressioni, per un dramma giocoso, in cui si
assiste a nuovi colpi di scena e si afferma lo spettacolo, nonostante l’esito
sfortunato. Così, totalmente autonome compaiono le partiture di Galuppi, di
Rust e di Salieri, le cui rare convergenze sono dovute al caso di un’aria o di
un duetto tra interpreti che rivestono ruoli dal temperamento paragonabile. Lo
conferma in parte l’equilibrio delle ripartizioni canore, alquanto ragionevole
al San Cassiano, meno ponderato nel 1780 e a Vienna, ove si preferisce mettere
in luce un interprete o una coppia, che non è per forza la stessa dall’una
all’altra composizione. E se convergenza abbiamo in campo metrico, ciò è
maggiormente dovuto alle forme poetiche di un comune idioma e più
particolarmente alla lingua operistica, che preferisce versi brevi, settenari e
ottonari, persino quinari o senari, per ovvi motivi di prosodia musicale,
mentre il decasillabo rimane sempre episodico. È allora il viaggio metaforico
tra gli usi e i costumi, tra le convenzioni sociali o ancora tra i sessi, a
collegare tre mondi alla rovescia, in cui gli uomini fanno da mangiare e le donne
la guerra. Ove le fanciulle corteggiano i giovani, i quali temono di venire
rapiti, specialmente in Mazzolà. E perché no? In cui affiorano allusioni
larvate alla politica, principalmente in Goldoni (cfr. pure MGI, 18), in cui
l’ordine sociale viene considerato come capovolto, in cui si dà libero sfogo ad
una sfrenata misoginia (MGI, 9), in cui prende forma la dicotomia tra il
diritto del sangue e il diritto della natura, accompagnata da una satira
anticlericale non trascurabile, particolarmente nella versione di Salieri (EBP,
144). Ma il dramma è giocoso ed è nella gioia che crolla un mondo fantastico,
che altro non fa che imitare il quotidiano, poiché se Aurora si comporta da
uomo, è soprattutto perché «Faccio quello ancor io, che fanno tante» (I, 11) e che
«Così parlano tutte» (II, 12), come risponde l’Amaranto viennese alla Marchesa.
Così fan tutte, così fan tutti.
(Le note dopo la presentazione dell'autore)
Ordinario di letteratura italiana (Université Paris 8), Camillo Faverzani anima il seminario
«L’Opéra narrateur» (Laboratoire d’Études Romanes). Autore di numerosi saggi sulla storia
del melodramma, collabora con riviste e istituzioni operistiche («L’Avant-scène Opéra»,
l’Opéra national de Paris). Dirige la collana «Sediziose voci. Studi sul melodramma» (LIM).
Recensisce per Première Loge (https://www.premiereloge-opera.com/).
SIGLE.
EBP
= ELENA BIGGI PARODI, I drammi giocosi di Caterino Mazzolà e Antonio Salieri:
“La scola de’ gelosi”, “Il mondo alla rovescia”, in Commedia e Musica al
tramonto dell’‘ancien régime’: Cimarosa, Paisiello e i maestri europei (Atti
del Convegno internazionale di studi, Avellino, 24–26 novembre 2016), a c. di
ANTONIO CAROCCIA, Conservatorio di musica “Domenico Cimarosa”, Avellino 2017,
pp. 113–161.
FB
= FRANCESCO BLANCHETTI, Teatralità dell’armonia in Salieri, in Antonio Salieri
(1750–1825) e il teatro musicale a Vienna: convenzioni, innovazioni,
contaminazioni stilistiche (Convegno Internazionale di Studi, Legnago, 18–20
aprile 2000), a c. di RUDOLPH ANGERMÜLLER e ELENA BIGGI PARODI, Libreria
Musicale Italiana, Lucca 2012, pp. 303–326.
JAR
= JOHN A. RICE, Antonio Salieri and the Viennese opera, The University of
Chicago Press, Chicago– London 1998, XX–648 pp.
MG
= MICHELE GEREMIA, “Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano” di C.
Goldoni–B. Galuppi: introduzione storica ed edizione critica, 4 voll.,
Università degli studi di Padova, Padova s.d. [2015], XXVI– 258, 308, 310, 364.
PC
= PAOLO CATTELAN, Dandula. L’ultimo sorriso di Mozart, Marcianum, Venezia 2013,
141 pp
[1] Il manoscritto della sinfonia e
dell’introduzione è però in deposito presso la biblioteca del Conservatorio
Santa Cecilia di Roma (segnatura: Governativo G.Mss.874, Governativo
G.Mss.485). Per la partitura di Galuppi, usiamo l’edizione critica di MGII. Per
quella di Salieri, cfr. ANTONIO SALIERI, Die verkehrte Welt (Il mondo
alla rovescia), Hrsg. von ANNETTE VLADAR und HORST VLADAR, Nœtzel,
Wilhelmshaven s.d. [2017]
[2] I tre pezzi tra parentesi quadre compaiono sulla partitura consultata, ma non corrispondono affatto alla suddivisione del libretto originale
[3] È piuttosto difficile fissare
l’inizio del finale I di una partitura andata perduta. Tuttavia, paragonando il
libretto del 1780 a quello del 1795, propendiamo maggiormente per questo
attacco che non per quello di Salieri, che fa iniziare il suo finale centrale
con l’assolo della Marchesa, «Voi che invano notte, e giorno» (I, 13); anche in
Rust abbiamo l’intervento dello stesso personaggio, ma preferiamo vedervi
un’aria separata, «Voi, che al natio paese» (II, 18), dato che dopo il pezzo
avviene il mutamento scenico, mentre a Vienna esso si compie subito prima.
[4] Sulla precedente serenata, cfr.
anche FRANCESCO BLANCHETTI, Teatralità dell’armonia in Salieri, in Antonio
Salieri (1750–1825) e il teatro musicale a Vienna: convenzioni, innovazioni,
contaminazioni stilistiche (Convegno Internazionale di Studi, Legnago, 18–20
aprile 2000), a c. di RUDOLPH ANGERMÜLLER e ELENA BIGGI PARODI, Libreria
Musicale Italiana, Lucca 2012, p. 311 (FB)
[5] Per un’analisi della partitura di Salieri, cfr. anche ELENA BIGGI PARODI, I drammi giocosi di Caterino Mazzolà e Antonio Salieri: “La scola de’ gelosi”, “Il mondo alla rovescia”, in Commedia e Musica al tramonto dell’‘ancien régime’: Cimarosa, Paisiello e i maestri europei (Atti del Convegno internazionale di studi, Avellino, 24–26 novembre 2016), a c. di ANTONIO CAROCCIA, Conservatorio di musica “Domenico Cimarosa”, Avellino 2017, pp. 149–154 (EBP)
[6] Sugli effetti di questa scena,
cfr. anche FB, 308.
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