SCHMARRN, LO STRAORDINARIO «RICETTARIO» DI LAURA MARCHIG di Roberto Dedenaro (critica letteraria)
CRITICA LETTERARIA
Roberto Denenaro
Schmarrn, lo straordinario “ricettario” di Laura Marchig
Schmarrn, o Schmarren, una parola un po’ difficile da
pronunciare, forse ancora più conosciuta nella versione accresciuta da qualche
quarto di nobiltà di Kaiserschmarren (lo Schmarren dell’imperatore) è infatti,
una deliziosa e ipercalorica montagnola di frittatine dolci accompagnate da
sciroppi, salse di frutta, panna montata, di origine austriaca o centroeuropea
che dir si voglia. Trovate la sua ricetta anche in quell’incredibile libro che
è La cucina triestina di Maria Stelvio, una bibbia culinaria locale, con dosi e
quantità e procedure che sembrano pre-industriali e spesso un po’ cervellotiche
ma alla fine efficaci, qui riportata come Schmarrn e italianizzata in
Sminuzzata (orrore). Un simbolo insomma di quella Mitteleuropa culinaria che le
nostre nonne conoscevano bene insieme alle Snitte, Koch, Gries e via
ricordando, niente a che vedere con i moderni contorcimenti della cucina fluida
o ibrida, buoni, certo, ma che non hanno il sapore del tempo, degli affetti e
cosa più importante, cosa c’è di più intimo, personale e sentimentale al tempo
stesso del cibo condiviso? Cerchiamo, adesso, però, di dare un po’ di ordine a
queste riflessioni: innanzitutto Laura Marchig, per chi non la conoscesse è una
poetessa, scrittrice, attrice e drammaturga che ha rivestito importanti
incarichi nella Comunità italiana di Fiume, questo Schmarrn, che è un
libro particolare, fatto di tante cose, definito dalla stessa autrice un
romanzo ibrido, segue di qualche anno Snoopy polka, un libro che mi era
piaciuto tantissimo, un noir surreale scritto in modo sublime, in cui, al di là
della trama, crime, appunto, emergevano una serie di riflessioni sulla
contemporaneità, sulla condizione della cultura della minoranza italiana dell’Istria,
sul rapporto con il passato che ritroviamo anche in questo libro sviluppati, invece,
su un tessuto di memorie e di ricordi personali. Va comunque anche detto che
questo, che pure è un testo pieno di fantasmi, guarda al passato con sguardo
certo affettuoso ma non di rimpianto nostalgico, come se Marchig ci tenesse a
dire se sono arrivato fino a qui, e non è assolutamente male, lo devo anche a
tutto ciò che sta alle mie spalle, persone, amori, affetti legati a luoghi che
sono anche me. Quindi potremmo dire che è un libro che mette un po’ alle spalle
il passato facendosene carico, soprattutto è uno scritto pieno di gioia di
vivere che supera un po’ certe atmosfere obbligatoriamente depresse che
ritroviamo in tanta scrittura degli esodati e dei rimasti. Rimasti a cui Marchig
si sente, comunque, di appartenere, la sua madrelingua è l’italiana, ma
l’italianità diviene, nella sua visione, una possibilità, un’apertura piuttosto
che una chiusura in un gruppo che lentamente si rimpicciolisce, una lingua che
conosce più possibilità, che dall’italiano standard tracima nel fiumano E’ il
senso anche della postfazione di Milan Rakovac, scrittore croato, una delle
anime del Forum Tomizza, frequentatore lui stesso di una lingua spuria romanza
croata come a ribadire la difficoltà a riconoscersi nel mondo senza diversità,
particolarità, scrive Rakovac: “Ci troviamo di
fronte ad un’opera straordinaria, l’urlo lucido di un’autrice di prim’ordine,
poetessa e scrittrice…perché l’idea del parlare del pane dei nostri morti
assume una forza e un vigore enorme in quanto ha la capacità di evocare i tempi
andati, quando a Rijeka-Fiume si parlavano quattro lingue…” aggiungo,
dentro di me, ma questa, in parte, è anche la Rijeka-Fiume del presente, lo
vediamo in queste pagine e non credo di essere
troppo visionario se questo sarà anche il mondo del futuro. L’appartenenza alla cultura italiana non
richiama però per Laura Marchig, solo un fattore linguisticamente isolato ma
l’appartenenza, piuttosto a quella che è stata una delle più importanti tradizioni
culturali europee, quella di Dante, Petrarca e Boccaccio, per capirci, che dà
le chiavi per capire il mondo, per resistere alla volgarità di un mondo di
consumatori che tutto travolge. Se una coscia di tacchino deve durare una
settimana, è il padre che cucina quando la madre non lo può fare per i turni di
lavoro all’ospedale, e dà i tempi delle sue preparazioni, ma se tanto deve
durare una coscia quanto può durare la lettura di alcuni libri, quelli più
amati, come L’amante di Lady Chatterley, letto e riletto fino in punto
di morte, “So che la lettura era passione in questa casa travolta dai libri,
alcuni consumati, sbriciolati a forza di leggerli…Un giorno mi hai detto: ‘Ormai
non posso più leggere, perché mai continuare a vivere?’ Una casa piena di
parole in inglese francese, frasi lette e piena di dolcezze. Le donne
suggeriscono dolci quelli antichi, mitteleuropei della nonna, come gli Smarrnen,
e gli gnocchi ripieni di susine, dolci in tutto il mondo meno che a Trieste,
dove si mangiano tradizionalmente come primo piatto, in questo mondo alla
rovescia che sa essere a volte la città sul golfo.
Schmarrn è tante cose: prosa e
poesia, lingua e dialetto, italiano e croato, abbiamo già detto che l’autrice
lo considera un romanzo ibrido, si potrebbe definire un prosimetro, ma al di là
di trovare definizione più calzante, ciò che attira l’interesse è il
superamento, come già in Snoopy Polka, della forma narrativa del romanzo tradizionale,
il tempo scorre in più direzioni e le lingue seguono questo girovagare, guidato
anche da una forte accento sentimentale. C’è il pane dei morti ma anche quello
dei vivi, le liriche d’amore bellissime: è ottobre amore raccolgo i pomodori/la
canapa profuma di proibito/e l’anguria matura/ accanto al mandarino, fatti solo
per me e per te, mio compagno naufrago e amante… Ci sono gli amici scomparsi, Marko Sosič, a cui è dedicata una poesia
struggente, l’archeologa Radmila Matejčić, lo storico dell’arte Branko
Fučić, con le loro ricette, emergono come dei punti fermi nella formazione di Laura
Marchig, protagonisti della sezione
intitolata Studi sul territorio in un libro che si può dividere in tre
parti come nota Corinna Gherbaz Giuliano nella sua bella postfazione. Non
mancano come in un prosimetro che si rispetti -Vita Nova docet - le
autoriflessioni sul proprio ruolo e sulla propria scrittura, ci sono un’ampia
lettera di Loredana Bogliun a cui si risponde e le già citate postfazioni. A
completare il percorso va ricordato che la stessa Marchig ha realizzato come
regista e scenografa un video di media lunghezza La musica unisce/ Il mio
mondo in un piatto, che andrebbe visto per amor di completezza ma che debbo
confessare non sono riuscito ancora a visionare. Come ho già avuto modo di dire
questa molteplicità è uno degli elementi, lingue e dialetti, scrittura e
visualità. prosa e poesia danno la cifra dell’originalità del percorso
artistico di Laura Marchig, il suo appartenere ad una ricerca che si sarebbe
detta d’avanguardia un tempo, fatto credo, che dimostri ancora una volta, oltre
ovviamente al valore dell’autrice, la vitalità della produzione letteraria
della minoranza italiana dell’Istria e di Fiume, a cui sarebbe necessario anche
dare maggiore attenzione entro i confini, veri o immaginari, della nostra
vecchia Italia.
Roberto Dedenaro, docente triestino, ha pubblicato tre raccolte in poesia, e l'antologia bilingue Sintetiche siepi, ostinate infiorazioni. Ha collaborato a con la sede regionale della Rai e con Radio Capodistria. Suoi articoli sono apparsi su riviste e giornali. Ha organizzato e pubblicato gli atti del convegno Per Roberto Bazlen (Udine 1995), e curato varie antologie su poeti triestini. È redattore de L'almacco del Ramo d'oro.
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