ZIG-ZAG - Conversazioni di Antonio Tabucchi di Alessandro Iovinelli (critica letteraria)

 CRITICA LETTERARIA


Alessandro Iovinelli


Zig-zag – Conversazioni di Antonio Tabucchi con Carlos Gumpert e Anteos Chrysostomidis



Il 25 marzo del 2012 ci lasciava Antonio Tabucchi, il grande scrittore italiano, nonché uno dei maggiori della letteratura europea contemporanea. Nel settembre dell’anno precedente aveva compiuto 68 anni e, nonostante fosse da tempo malato, la morte lo colse mentre era ancora in piena attività: nel 2009 era uscita una sua stupenda  nuova raccolta di racconti, Il tempo invecchia in fretta; seguita da altri due altri volumi (rispettivamente nel 2010 e 2011), il primo dei quali raccoglieva i testi nei quali aveva narrato i suoi viaggi, Viaggi e altri viaggi (a cura di Paolo Di Paolo), mentre nel secondo avevano trovato posto i suoi scritti sull’arte, la fotografia e il cinema, Racconti con figure (a cura di Thea Rimini). E non possiamo dimenticare che nel 2011 Tabucchi aveva finalmente permesso una nuova edizione del Piccolo naviglio, il secondo romanzo che, dopo essere uscito nel 1978, non era stato mai più ripubblicato per sua volontà.


Negli anni successivi alla morte di Tabucchi, la sua opera non è scomparsa dall’orizzonte di attesa dei lettori. Dobbiamo infatti ricordare che grazie alla vedova, Maria José de Lancastre (la Zé evocata con tante dediche nei suoi libri, nonché la coautrice delle traduzioni di Pessoa raccolte nei due volumi adelphiani, Una sola moltitudine) abbiamo potuto leggere taluni testi rimasti inediti, tra i quali spicca uno in particolare: Per Isabel – Un mandala (2013), il romanzo nel quale tornano alcuni suoi personaggi, come lo Xavier di Notturno indiano, il Tadeus di Requiem (benché ridotto a un ectoplasmatico pulsar) e soprattutto la mitica Isabel, vale a dire il più tragico dei suoi personaggi femminili, ripreso sempre da Requiem. Ma Isabel era stata all’interno di quel romanzo un autentico paradosso narrativo, in quanto climax assente nello spazio rappresentato, come un buco nero – alla maniera del Godot di Samuel Beckett o, se si preferisce, dell’Alice del Gatto del Cheshire.


Nel caso di Zig-zag non si può parlare però di inediti in senso vero e proprio, giacché entrambi i due dialoghi erano già apparsi nei paesi degli intervistatori, quanto piuttosto di un vuoto, di una lacuna, di una mancanza, cui è stato posto termine, consentendo così anche al lettore italiano di conoscere dei testi fondamentali, là dove Tabucchi parla diffusamente di sé e dei propri libri.

Il libro edito ora Feltrinelli è diviso in due parti. La prima è intitolata: Sabati d’inverno.  Si tratta delle conversazioni di Tabucchi con Carlos Gumpert (svoltesi inizialmente nella primavera del 1991, poi tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992, nonché riprese e completate alcuni anni dopo, allorché Gumpert aveva tradotto in spagnolo diverse opere di Tabucchi). Nella seconda parte si trova Una camicia piena di macchie, cioè il testo con le conversazioni di Antonio Tabucchi con Anteos Chrysostomidis (svoltesi tra il 1998 e il 1999). La conversazione con Gumpert è tradotta da Clelia Bettini, mentre la seconda con Chrysostomidis da Maurizio De Rosa.

La posizione di traduttori tabucchiani consente sia a Gumpert che a Chrysostomidis uno scandaglio delle profondità (anche nascoste) delle sue opere, sulle quali l’autore è interrogato e viene chiamato a fornire ulteriori spiegazioni. Più che il coté biografico ed esistenziale (dal quale non giunge nulla di nuovo rispetto a quanto di sé Tabucchi ha raccontato in altre sedi), è proprio su questo secondo terreno che si registrano gli spunti più interessanti delle conversazioni – si pensi alle sue risposte su Notturno indiano o Il filo dell’orizzonte, ovvero sull’Angelo nero e Sostiene Pereira,

Da non dimenticare la suggestiva introduzione che apre il libro: Una storia da raccontare a firma di Anna Dolfi, vale a dire la prima degli studiosi italiani, la quale fin dagli anni Novanta si è dedicata alla conoscenza e all’interpretazione dell’opera tabucchiana (la sua è una vera ermeneutica), non soltanto con gli (imprescindibili) saggi critici (cfr. tra gli ultimi: Gli oggetti della saudade – Le storie inafferrabili di Antonio Tabucchi nel 2010), ma anche curando il volume di scritti postumi (cfr. Di tutto resta un poco, il volume del 2013 che riunisce i suoi scritti sparsi su letteratura e cinema).

Non bisogna necessariamente risalire ai dialoghi tra Goethe ed Eckermann, il suo biografo ufficiale, per avallare l’importanza dell’intervista come genere letterario di forte capacità chiarificatrice e divulgativa di un autore e la sua opera. Basterebbe menzionare la collana editoriale della Laterza negli anni Settanta (della quale si avvalse anche Renzo De Felice per diffondere le sue ricerche storiografiche sul fascismo). E, per tornare alle biografie degli scrittori, si pensi alla Vita di Moravia di Alain Elkann (1990), in realtà un altro libro-intervista, nel quale l’autore degli Indifferenti rispondeva a domande sulle sue opere (e la loro genesi) e sulla sua vita privata (anche più intima).

Forse non mostrano la stessa spietata franchezza di Moravia (il quale confidava a Elkann perfino una relazione extraconiugale di sua moglie, Elsa Morante, con Luchino Visconti), ma anche le notizie fornite da Tabucchi 

ai suoi interlocutori possiedono tutti i crismi di una rivelazione folgorante per il lettore. 
Mi riferisco alla scoperta che esiste un Tabucchi narratore prima di Piazza Italia, cioè quella che è universalmente considerata la sua opera prima, pubblicata nel 1975. Si tratta di tre racconti usciti su una rivista, Il Caffè, nel 1965. Di essi parla con un misto di ironia e understatement, definendoli in termini musicali: «divertimenti». I primi due (dal titolo Cena con Federico e Mittwoch), li considera «racconti "esistenzialisti", influenzati da Camus», aggiungendo però che «avevano anche radici molto italiane, un sapore felliniano e al tempo stesso una dimensione provinciale». Del terzo, viene indicato l'argomento: «un dizionario di macchine che avevo definito "probabili"».

NON HO MAI SCRITTO POESIE...

Non bastasse una siffatta rivelazione, il lettore tabucchiano sussulta sulla sedia, leggendo quest’altra confidenza. In risposta alla domanda di Gumpert se avesse tentato, almeno agli inizi, la strada della creazione poetica, Tabucchi afferma: «No, non ho poesie segrete nel cassetto, non ho mai scritto poesie». Sembrerebbe tutto risolto, se non fosse che poi aggiunge in aperta contraddizione: «Una volta ho scritto una specie di poemetto che si chiamava La bicicletta di Don Chisciotte, ma non era una vera poesia, piuttosto una specie di cantilena, simile a quelle dei bambini. Era scritta in versi liberi, naturalmente senza alcuna metrica». Segue il commento autoironico in guisa di clausola: «Non mi intendo particolarmente di metrica, mi pare chiaro».  Insomma, Tabucchi ci conferma che quel che sappiamo di lui non può che essere espresso nel paradosso che apre un suo racconto: la frase che segue è falsa, la frase che precede è vera (da I volatili del Beato Angelico) . 




BIONOTA Alessandro Iovinelli, direttore scientifico di TeclaXXI 
Alessandro Iovinelli (Roma, 1957) ha conseguito la laurea in lettere (Roma, La Sapienza) e il dottorato di ricerca in “Culture et Societé en Italie du Moyen-Age au XXème siècle”, (Parigi, La Nouvelle Sorbonne).
È poeta, narratore, critico e regista teatrale.
Ha pubblicato libri di poesia, racconti, saggistica, nonché tre romanzi.


















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