ISOLE E COLONIE AGLI ANTIPODI TRA VENEZIA E VIENNA (teatro&opera lirica) I parte - di Camillo Faverzani
TEATRO – OPERA LIRICA
Camillo Faverzani
Isole e colonie agli antipodi tra Venezia
e Vienna
Prima parte
Dramma
giocoso per musica di Caterino Tommaso Mazzolà (1745–1806), intonato da Antonio
Salieri (1750–1825)1 e inscenato presso il Burgtheater di Vienna il 13 gennaio
1795, Il mondo alla rovescia presenta varie situazioni inerenti al topos
del viaggio: viaggio a monte da parte di un popolo alla ricerca della libertà,
viaggio in fieri di prigionieri in fuga, viaggio di naufraghi arenatisi su
un’isola delle vicinanze, viaggio di un comandante scrupoloso che tenta di
ritrovarli e soprattutto viaggio metaforico tra i sessi, in quel capovolgimento
dei ruoli caratteristico dell’opera: il mondo alla rovescia.[1] Tradizionalmente
catalogato come adattamento del Mondo alla roversa, dramma
bernesco.[2] di Carlo Goldoni
(1707–1793), andato in scena il 14 novembre 1750 nel Teatro Tron di San
Cassiano, per la musica di Baldassarre Galuppi (1706–1785),[3] è invece la riconduzione
di un vecchio progetto per Venezia, considerato dai due autori nel 1779 e
abbandonato a causa della morte dell’impresario.[4] Ma, con il titolo L’isola
capricciosa, il libretto di Mazzolà, già dramma giocoso, vede la luce
durante la stagione di Carnevale del 1780, sempre a Venezia, al Teatro Grimani
di San Samuele, sulle note di Giacomo Rust (1741–1786).5 Dopo una breve
puntualizzazione storica, per presentare il contesto della composizione delle
opere, gli interpreti e la fortuna, ci prefiggiamo di analizzarne dapprima i
personaggi e la trama in ottica comparatistica, in modo da farne risaltare
l’evoluzione da una versione all’altra, di cui studieremo poi le partiture,
sempre parallelamente, e la metrica, soggetta agli imperativi dell’adattamento
operistico, e ci interrogheremo in ultimo sul valore del viaggio nelle sue
varie sfaccettature.
Il potere delle donne, «le donne che
comandano»,[5]
come precisa il sottotitolo del 1750, è un soggetto che perennizza una
tradizione riconducibile all’Antichità, e più particolarmente al periplo degli
Argonauti e alla loro prima tappa sull’isola di Lemno, abitata solo da donne
guerriere, che la maledizione di Afrodite ha indotto a sterminare tutti gli
uomini,[6] 7finché Giasone e compagni
non vengano a liberarle dal sortilegio, come racconta, fin dal III secolo a.C.,
Apollonio Rodio, nel primo volume delle Argonautiche, quindi ripreso da Gaio
Valerio Flacco, nel I secolo d.C. Ma non dimentichiamo il precedente meno
cruento dell’Ecclesiazuse di Aristofane, del 391 a.C., i cui sviluppi
sembrano annunciare certi comportamenti dei nostri drammi, principalmente nelle
due versioni di Mazzolà.[7]8 E, a noi più vicini, il Livre
de la Cité des dames (1405) di Christine de Pizan e, nel Settecento, L’île
des esclaves (1725) e, più significativa per il nostro discorso, La
Nouvelle Colonie (1729) di Marivaux, poi modificata nella Colonie,
pubblicata proprio nel 1750, e soprattutto l’Issipile (1732) di
Metastasio, già dramma per musica destinato in primo luogo a Francesco
Bartolomeo Conti, la quale adatta al gusto settecentesco l’episodio di Giasone
e dei compagni (cfr. anche PC, 44). Transitando per i versi cinquecenteschi,
proprio le farse burlesche di Francesco Berni, e la cantata di Giulio Cesare
Croce, da cui Goldoni attinge il titolo, pur in prospettiva diversa (cfr. pure
MGI, 15– 17), l’argomento non è esente da nessi con la Gerusalemme liberata del
Tasso, di cui si ricorda il drammaturgo veneziano con intento caricaturale, in
particolare per il modo in cui certi personaggi e certe situazioni si
riflettono negli eroi e negli episodi del giardino di Armida (MGI, 19, 22). E
probabilmente l’isola capricciosa del 1780 ha anche qualcosa a spartire con
l’isola di Alcina del Boiardo e dell’Ariosto.
Nel 1750, al Teatro di San Cassiano, la
compagnia è composta da Angela Conti (Rinaldino), Agata Sani (Tulia), Serafina
Penni (Cintia), Annunciata Manzi (Aurora), Girolamo Piani (Giacinto), Giovanni
Leonardi (Graziosino), Anastasio Massa (Ferramonte). L’opera inizia così una
gloriosa carriera che da Milano, l’anno seguente, in un arco di almeno due
decenni, la conduce a Torino e Trieste, Padova e Bassano, Brescia e Cittadella,
Firenze e Modena, Roma e Bologna e, all’estero, a Barcellona, Lubiana, dove
diventa L’impero delle donne, Monaco di Baviera, Mosca, Amburgo,
Amsterdam, Braunschweig, Dresda, Lipsia, Praga, Bruxelles, talvolta per varie
stagioni.[8] Nel Novecento, ricompare a
Venezia e a Rovigo nel 1978, a Lugano nel 2000, e la resurrezione si protrae a
Weimar nel 2002, a Oxford nel 2009, ad Avignone e a Parigi nel 2019. Ne
esistono due testimonianze sonore.[9]
Trent’anni dopo, al San Samuele, gli
interpreti sono Maddalena Mori dalla Casa (Colonnella), Bortolomeo Schiroli
(Conte Gozzoviglia), Francesco Cavalli (Generala), Giuseppe Antonio Farinello
(Amaranto), Giovanni Battista Nardi (Damigello), Giulietta Bolzani
(Marchesina), Vincenza Cesari (Alfiera), Gaspero Angiolini (Citerio). Non
sembra che L’isola capricciosa sia stata ripresa dopo le prime rappresentazioni
veneziane del 1780. È forse uno dei motivi che hanno indotto Mazzolà e Salieri
a rimettere mano al vecchio progetto, probabilmente nella speranza di rinnovare
i fasti goldoniani in tutta Europa. La sera della prima viennese i cantanti
sono Pietro Mazzoni (Generala), Irene Tomeoni (Colonnella), Maria Anna Gassmann
(Aiutanta), Therese Gassmann (Marchesa), Giovanni Prada (Amaranto), Carlo
Angrisani (Conte), Felice Angrisani (Comandante), Gaetano Lotti (Girasole). È
un fiasco, gli incassi vanno sempre più scemando e dopo sette recite l’opera
viene tolta dal cartellone e scompare definitivamente (JAR, 546). Secondo il
parere del conte Zinzendorf,[10] non sarebbe stata capita
dalla società del tempo. Riappare a Verona nel 2009 per una serie di
rappresentazioni che sono servite da base per la sola registrazione oggi
disponibile.[11]
Nelle pagine dedicate al Mondo alla
rovescia di Salieri, John Rice afferma che il libretto di Mazzolà è diverso
da quello di Goldoni (JAR, 537). Questo vale già per il testo intermedio dell’Isola
capricciosa. E numerosissime sono le varianti tra le due stesure di
Mazzolà. Per quanto riguarda la struttura delle opere, il dramma bernesco è
suddiviso in tre atti, rispettivamente di undici, dodici e otto scene, mentre i
due drammi giocosi sono articolati in due atti, di ventisei e venti scene nel
1780, di ventidue e ventitré nel 1795. Divergono inoltre sensibilmente fin
dall’attribuzione delle parti. Se gli attori del 1750 sono solo elencati, senza
caratterizzazione particolare, al San Samuele vengono identificati meglio,
poiché il Conte Gozzoviglia è definito come «Europeo bizzarro»,[12] mentre il libretto non ne
riprende mai il patronimico, la Generala è «vecchia», Amaranto è «nipote della
Generala putto capricciosetto», Damigello è «Vedovo, custode dei putti», la
Marchesina ha pure un nomignolo posticcio «Verde-Mar, giovane amabile, che fu
vagheggiata in Europa da molti amanti», l’Alfiera è «confidente della Generala»
e Citerio, personaggio quasi inesistente, è un secondo «Nipote della Generala».
A cui si uniscono il Gran Colombo e la Grande Sacerdotessa, assente però dalle
dramatis personæ. A Vienna, le indicazioni sono più clementi per la Generala,
che è solo «di età avanzata»,[13] la Colonnella è «amante
di tutti», l’Aiutanta diventa «maggiore», il Conte viene «vagheggiato dalla
Generala», Girasole è «modista» e il Comandante capitaneggia le «navi europee»,
mentre Amaranto conferma le prerogative di Venezia. Se risulta piuttosto semplice
individuare i corrispettivi tra i due libretti di Mazzolà, è più arduo
stabilirli per il testo goldoniano. Tuttavia, considerando la personalità di
ciascuno, possiamo proporre la seguente tabella, da corroborare con
l’evoluzione della trama:
Il
mondo alla roversa |
L’isola
capricciosa |
Il
mondo alla rovescia |
Tulia
Cintia
Aurora
Rinaldino
Giacinto
Graziosino
Ferramonte |
Colonnella
Generala
Alfiera
Amaranto
Damigello
Citerio
Conte
Gozzoviglia Marchesina
Gran
Colombo |
Colonnella
Generala
Aiutanta
Amaranto
Girasole
Conte Marchesa
Gran
Colombo Comandante |
Le «mutazioni di scena» mostrano invece
una certa continuità che, a prima vista, potrebbe apparire sorprendente.
Notiamo innanzitutto che l’azione si situa sempre su un’isola, «una Isola degli
Antipodi» al San Cassiano, «nell’Isola di Pignecandro» al San Samuele e «in
un’isola» imprecisata al Burgtheater. Quindi, nel primo caso, passiamo da un
«Atrio Magnifico», poi meglio circoscritto come «Cortile Spazioso» (I, 1), a
una «Camera» (I, 6) degli «Appartamenti Nobili del Palazzo delle Femine
Dominanti», da una «Camera preparata per il Feminile Consiglio» (II, 1) a un
«Giardino delizioso alla riva del Mare» (II, 3), leggermente abbreviato nelle
disposizioni iniziali, e a un altro «Luogo Magnifico, e Delizioso» (III, scena
ultima). Nel secondo, la scena si sposta da una «Camera con gelosie sulle
finestre» (I, 1) a «Bagni diroccati» (I, 4), a quanto pare delle terme antiche,
da una «Sala terrena, sostenuta da sublimi colonne di marmo» (I, 9), assente
dalle prime legende, agli «Appartamenti destinati al Conte» (I, 13), poi
«destinati all’Europeo» (II, 4), dai «Giardini» (I, 19) all’«Atrio nel luogo
de’ Vestali» (I, 24), dal «Tempio» (II, 16) alla «Spiaggia con mare in
distanza» (II, 18), questi ultimi due luoghi pure evitati dalle didascalie
introduttive. Nel terzo, lo spettatore va da uno «Stanzino terreno ornato di
buon gusto» (I, 1) a una «Piazza» (I, 4) e a una «Magnifica sala
dell’abitazione della Generala» (I, 9), dalla «Piazzetta dell’Arsenale» (II, 1)
alla «Camera della Generala» (II, 7), e ritrova il «Giardino» (I, 13; II, 12),
l’«Atrio nel ritiro de’ Casti Colombi» (I, 20), i «Bagni diroccati» (II, 13) e
la «Spiaggia di mare» (II, 21). Rarissimi sono invece i cardini temporali,
nessuno in Galuppi, uno in Rust, «Notte» (II, 11), due in Salieri, «Notte, e
luna» (II, 13; 21), almeno per le mutazioni, talvolta corroborate dai versi.
Vista la diffusione del Mondo alla
roversa e del Mondo alla rovescia, soprattutto tramite le
registrazioni, il riassunto è facilmente reperibile in varie forme.[14] E anche se L’isola
capricciosa ha conosciuto una sorte meno fortunata, ci sembra possibile
procedere direttamente allo studio in parallelo dei libretti, soffermandoci più
a lungo su quello del 1780, se necessario. Le opere cominciano tutte e tre in
modo piuttosto simile, dato che in Goldoni il sipario si apre sulla Piazza in
cui Tulia coordina il lavoro di uomini incatenati, canalizzandoli in funzione
dei bisogni, verso il cucito, il giardinaggio o la cucina (I, 1), mentre al San
Samuele, in una stanza, è Damigello ad assecondare i compagni nelle fatiche del
ricamo (I, 1) e al Burgtheater, in luogo esiguo, spetta ad Amaranto introdurre
la materia (I, 1). Ma la situazione cambia sensibilmente fin dalla scena
seguente, poiché al San Cassiano l’attenzione si focalizza sulle tre donne,
Tulia, Cintia e Aurora, in conversazione circa il miglior modo di mantenere gli
uomini soggetti, con Cintia più favorevole all’uso della forza (I, 2) e Tulia
partigiana della prudenza (I, 3), allorché nel 1780 il dialogo tra l’Alfiera e
Damigello porta su questioni più futili, come il carattere troppo volubile di
Amaranto e il nuovo tentativo di rapimento, subito da parte di una «Ufficiala»
smodatamente intraprendente (I, 2), facendo concludere al vedovo che lo
sferruzzare è il miglior destino dell’uomo onesto (I, 3), e nel 1795 la
discussione tra Amaranto e Girasole verte sulla corte assidua della Colonnella
nei confronti del nipote della Generala (I, 2). Segue l’incontro di Amaranto
con la Colonnella, che non manca di corteggiarlo (I, 3), come già in Rust, ma
dopo una mutazione scenica che conduce lo spettatore nei bagni diroccati,
quando nel 1750 il quadro corrispettivo viene attribuito ad Aurora e Graziosino
(I, 4), con gran gioia del giovane (I, 5). In una camera, l’idillio sboccia
pure tra Giacinto et Cintia (I, 6), non senza una buona dose di cinismo di
costei che deve poi sorbirsi i rimproveri di Tulia (I, 7), mentre al San
Samuele spetta a Damigello biasimare il comportamento di Amaranto (I, 5).
A partire da questo momento, le due trame
di Mazzolà si allontanano ancora di più dal precedente goldoniano, pur
presentando varianti non trascurabili tra di loro. Le scene di seduzione si
susseguono al San Cassiano, con il tenero intervento di Tulia presso Rinaldino
(I, 8), benché costui temi sempre per il proprio onore (I, 9). Probabilmente
deluso dal rigore di Cintia, Giacinto sta per soccombere al corteggiamento di
Aurora (I, 10), ma Cintia li sorprende e le due donne si concertano per
redarguire il fanciullo (I, 11). Introdotto da un inno alla libertà, l’atto II
archetipo si apre sul quadro del Consiglio e sulla proposta di Tulia di
istaurare un regime monarchico, la cui sovrana sarebbe eletta (II, 1): una alla
volta, Tulia, Aurora e Cintia si candidano, senza mai venir elette. Subentra la
determinazione di Tulia nel voler soddisfare la propria sete di potere (II, 2).
È forse il passo più istituzionale del libretto, il cui equivalente, fatte le
debite proporzioni, in Mazzolà si ritrova nella scena del ritorno della
Generala, sebbene la superiorità di costei sia incontestata. Nel 1780 è
l’Alfiera ad annunciare lo sbarco, suscitando le apprensioni del nipote, che ne
conosce la severità (I, 6); giunge con due prigionieri europei. Eppure, prima
del suo ingresso, assistiamo ancora a un tentativo dell’Alfiera di sedurre
Damigello (I, 7), possibile corrispettivo, nel modello, delle attenzioni di
Tulia per Rinaldino. L’ingresso della Generala avviene in un’ampia sala dalle
colonne di marmo, con il mare all’orizzonte, e il personaggio avvisa che, come
ricompensa all’ultima vittoria, aggiungerà un ventiquattresimo marito al
proprio serraglio (I, 9), cioè l’ostaggio, il Conte, cui si interessano anche
l’Alfiera e la Colonnella (I, 10), la quale, fonte di gelosia, viene
immediatamente inviata in mare per una nuova missione. La Marchesina è
meravigliata da una situazione così inedita e si ripromette di far rinnamorare
il compagno di sventura (I, 11). La Generala rimprovera alla preda un
comportamento sconsiderato e gli dichiara un sentimento che l’interlocutore
finge di condividere (I, 12). Nel 1795, la scena è molto più stringata:
Girasole interroga l’Aiutanta circa il ritorno della Generala, occasione per
illustrare gli insoliti usi degli europei (I, 4). Un colpo di cannone ne
conferma l’arrivo (I, 5) e si procede direttamente all’espulsione della
Colonnella, ma le effusioni con il Conte sono ora molto più esplicite e, dopo
essere stata allontanata, la rivale si dice assai determinata a ritrovare
l’amato (I, 6). Similmente, le osservazioni della Generala (I, 7) anticipano la
riflessione della Marchesa (I, 8). Al Burgtheater il quadro degli appartamenti
del Conte è pure più conciso di quello del San Samuele: quando Amaranto e
Girasole aspettano lo sposo novello (I, 9), le allusioni del secondo al
comportamento della Colonnella suscitano la gelosia del primo, allorché la
stessa scena del 1780 (I, 13) si protrae nella richiesta d’intercessione
all’Alfiera, affinché la Generala non venga informata del tentativo di rapimento
subito dal nipote (I, 14). Mentre stanno scegliendo l’abbigliamento adeguato
(I, 10), il Conte e Girasole sono interrotti dalla visita della Marchesa,
giunta a chiedere al compagno di viaggio di trovare un mezzo per fuggire (I,
11–12), quando in Rust la stessa situazione è preceduta da un altro alterco tra
la Generala e il promesso, sempre in merito alla Colonnella (I, 16), e la
commiserazione della Marchesina si riversa maggiormente sulla differenza di
costumi tra l’isola di Pignecandro e l’Europa (I, 17), lasciando filtrare un
più vivo sentimento nei confronti del Conte (I, 18).
Soltanto nella scena del giardino
possiamo ritrovare un vago punto di contatto con la fonte goldoniana. In estasi
innanzi alla bellezza dei fiori (II, 3), Rinaldino, Giacinto, ora Giacintino, e
Graziosino assistono all’approdo di una nave e allo sbarco dei marinai (II, 4),
e il capitano, Ferramonte, viene subito intrattenuto da Cintia e da Aurora (II,
5). L’europeo interroga quindi Rinaldino, ne apprende la condizione e lo
incoraggia a emanciparsene (II, 6). Rimasto solo, il giovane deve ammettere la propria
inferiorità (II, 7). Tuttavia, nel 1780, è con il Conte che discute Amaranto,
sempre minacciato dalla zia di essere rinchiuso in convento (I, 19). E lo
sbarco accadrà più tardi, cedendo per ora il passo alla Colonnella, vestita da
giardiniera, venuta all’appuntamento con il Conte (I, 20); sono interrotti
dalla Generala, a sua volta travestita da villana, in agguato per sorvegliare
la fedeltà del futuro sposo (I, 21); la Marchesina incontra l’Alfiera (I, 22),
indi Damigello, che comunica loro la decisione di 6 rinchiudere il Conte e
Amaranto (I, 23). Nel 1795, lo stesso quadro si apre sui rimpianti della
Marchesa (I, 13) e il Conte interviene per dissuadere l’Aiutanta dall’arruolare
la Marchesa (I, 14). L’incontro tra i due spasimanti è più particolareggiato,
poiché il Conte finge dapprima di sognare e manifesta poi il proprio scontento
(I, 15), e non è più la Generala a sorprenderli ma Amaranto (I, 16), seguito da
Girasole, che annuncia l’arrivo della zia (I, 17), la quale fa pur sempre
arrestare i due uomini e convoca la Colonnella (I, 18–19). Durante la cerimonia
dei vestali, le due versioni di Mazzolà procedono in modo abbastanza simile,
nell’atrio dei «Casti Colombi» in Salieri, «Colombi riveribili» in entrambi i
casi, come comunica Amaranto al Conte (I, 24; I, 20); fonte di preoccupazione
per la Colonnella, cui si congiungono ora l’Alfiera e la Marchesina (I, 25),
ora Girasole (I, 21), il rito viene sviluppato meglio a Vienna, ove la funzione
del Gran Colombo assume più spessore nel denunciare la profanazione (I, 26; I,
22). In Goldoni, l’azione si focalizza invece sull’aspirazione delle tre donne
al potere. In camera sua, con la spada sguainata, Cintia ordina a Giacinto di
uccidere cento donne; costui accetta (II, 8), ma vi rinuncia non appena deve
affrontare Aurora, che gli carpisce il segreto (II, 9) e decide di vendicarsi,
chiedendo a Graziosino di colpire a sua volta Cintia (II, 10); pur esitando, il
giovane accetta (II, 11). Quando le due coppie si incontrano, Graziosino
vorrebbe pugnalare Cintia, ma Giacinto lo ferma e le rivali si insultano,
invocando vendetta (II, 12).
Assai differenti ed autonomi sono gli
epiloghi del terzo atto di Goldoni e del secondo della due stesure di Mazzolà.
Nel primo, ritroviamo Rinaldino, in abito da guerriero, che confida a
Ferramonte la propria determinazione a riscattarsi (III, 1); sopraggiunge
Tulia, disposta e rinunciare al potere (III, 2); l’europeo si dice soddisfatto
del cambiamento, pur mettendo in guardia il fanciullo (III, 3), rimasto
dubitativo (III, 4). Da parte sua, Graziosino si ribella contro Aurora, la
quale ammette a sua volta che le donne non son fatte per comandare (III, 5).
Meno scontato, il mutamento di Cintia transita dapprima dal furore, cui assiste
Giacinto, che la crede impazzita (III, 6) e la vede esitare a cedere le proprie
prerogative, ma è giocoforza constatare che il regno delle donne è ormai finito
(III, 7). È il solo vero punto comune con i libretti di Mazzolà, perlomeno con L’isola
capricciosa, in cui, in un giardino, Damigello interrompe la Marchesina e
l’Alfiera, che considerano la possibilità di far uscire il Conte dalla
«Colombaia» (II, 1), l’atrio dei venerabili colombi, per informarle della
demenza della Generala, che vorrebbe rapire l’amato (II, 2), il quale sarebbe
disposto ad accettare a condizione che si renda a tutti la propria libertà,
alle donne come agli uomini. Però la riappacificazione delle coppie procede
molto più lentamente che nel 1750. Nella scena seguente, la Marchesina tenta di
corrompere Damigello con un anello (II, 3): potrebbe esserle utile, dato che ha
libero accesso al serraglio, ma i due finiscono col bisticciare. Mentre nel
Mondo alla rovescia, le trattative del Conte sono riferite da Girasole (II, 2),
che irrompe all’arsenale (II, 1), e direttamente enunciate alla Generala: per
ora, si limitano alla sola liberazione della Marchesa (II, 3). Sopraggiunge la
Colonnella per annunciare l’arrivo della nave (II, 4), il cui Comandante è
immediatamente ammesso presso la Generala: viene a reclamare il Conte e la
Marchesa, minacciando, in caso di rifiuto, di bombardare la città (II, 4). La Colonnella
vorrebbe combattere, ma la Generala la rimanda in missione (II, 5). L’Aiutanta
prevede la vittoria della Colonnella, della gioventù sulla vecchiaia (II, 6).
Si avvia così un ingranaggio che deve condurre alla rappresentazione della
battaglia, cui rinuncia la versione del San Samuele, verosimilmente per
l’assenza di risorse tecniche che probabilmente, quindici anni dopo, si può
permettere il Burgtheater. In effetti, in Rust assistiamo ad una serie di qui
pro quo e di tentativi evitati da Salieri. Negli appartamenti del Conte, la
Generala aspetta il promesso sposo e con Damigello appresta un piano per
discreditare la Colonnella (II, 4); costui non esita ad assolversene non appena
rientra il Conte con la Marchesina e l’Alfiera (II, 5). Rimasto solo (II, 6),
Gozzoviglia è sospettoso, ma accetta di rivedere la Colonnella e, dopo varie
digressioni circa l’amore mentale, l’amore profano, l’amore perfetto e l’amore
platonico, gli spasimanti si giurano reciproco amore, 7 benché condizionato dal
mutuo rispetto (II, 7). In un’altra sala, la Marchesina organizza la partenza
in compagnia di Amaranto (II, 8), che però continua ad indugiare: gli fissa un
appuntamento in un villino in riva al mare. La Marchesina si congeda dal Conte,
che a sua volta si dispone a fuggire con la Colonnella (II, 9), dando intera
soddisfazione all’interlocutrice (II, 10). Di notte, in giardino, la Generala è
in agguato e vede due navi pronte a salpare (II, 11). Sentendo avvicinarsi
gente, si nasconde nel villino assieme a Damigello: sorprende allora le due
coppie e fa imprigionare la Marchesina e Amaranto (II, 12). Il Conte chiede
venia (II, 13), ma la Generala minaccia la Colonnella di condannarla a morte
(II, 14) e la rinchiude nel villino (II, 15). Infine, sono liberati tutti i
prigionieri e nel tempio fervono i preparativi per le nozze (II, 16).
Nonostante un’ultima esitazione del Conte, si procederebbe all’unione con la
Generala, se non fosse che lo sposo nega la propria purezza (II, 17): il
matrimonio è interrotto, Gozzoviglia arrestato e destinato ad essere gettato in
mare. Sulla spiaggia, la Colonnella dispera (II, 18), mentre il Conte si
rallegra per la liberazione dell’amata (II, 19); si sta per eseguire l’ordine
della Generala, quando accosta una nave in provenienza dall’Europa: dopo un
breve scontro, il Conte viene rilasciato, la Generala arrestata e crolla il
regno delle donne (II, s.u.). Un po’ come in Goldoni, il cui epilogo convoca
tutti gli attori in un luogo delizioso, ove si constata la fine dell’impero
delle donne e si riformano le coppie Tulia–Rinaldino, Aurora–Graziosino,
Cintia–Giacinto (III, s.u.).
A Vienna, la conclusione è molto più
rapida e assume tutt’altre dimensioni. La liberazione di Amaranto e del Conte
avviene a monte, nella camera della Generala (II, 9), che riesce a estorcere al
favorito la promessa di matrimonio, quando dall’esterno si ode una serenata: è
un’astuzia della Colonnella per allontanare la Generala e ritrovare brevemente
l’amante (II, 10). In giardino, la Marchesa constata amaramente i preparativi
del matrimonio e informa Amaranto che al largo è stata avvistata una nave europea
(II, 12). Cala la notte; al chiarore della luna, presso i bagni diroccati, si
ritrovano le due coppie in procinto di lasciare l’isola (II, 13), ma sono tutti
sorpresi dalla Generala, che fa nuovamente arrestare Amaranto e la Marchesa
(II, 14). La Colonnella spera almeno di rivedere un’ultima volta il Conte (II,
15). L’Aiutanta predispone le soldatesse per il rito (II, 16). Il Gran Colombo
avvia la cerimonia, perturbata da qualche cannonata (II, 17). La Colonnella
conferma che vengono bombardate dagli europei (II, 18). Si grida all’armi (II,
19), mentre Amaranto invoca la pace (II, 20). Dalla spiaggia si vedono le
fiamme invadere sia le navi sia le mura (II, 21), quando il Conte e la Marchesa
interrompono la battaglia e rivendicano la libertà di scelta: la Generala e il
Comandante acconsentono (II, 22); la scena si illumina a giorno, le trombe
intonano un inno di pace; il Comandante accoglie la Marchesa e il Conte.
Amaranto chiede pietà (II, 23); il Conte intercede in suo favore; la Generala
lo congeda; il Conte rimane, ma dà la mano alla Colonnella, nonostante la
delusione della Generala.
(Le note dopo la presentazione dell'autore)
Ordinario di letteratura italiana (Université Paris 8), Camillo Faverzani anima il seminario
«L’Opéra narrateur» (Laboratoire d’Études Romanes). Autore di numerosi saggi sulla storia
del melodramma, collabora con riviste e istituzioni operistiche («L’Avant-scène Opéra»,
l’Opéra national de Paris). Dirige la collana «Sediziose voci. Studi sul melodramma» (LIM).
Recensisce per Première Loge (https://www.premiereloge-opera.com/).
[1] Non è questo il luogo per fornire
schede biografiche su questo o quell’autore; enciclopedie e dizionari dedicati
alla musica e alla lirica assolvono egregiamente il compito in varie lingue e
diversi paesi, sia in cartaceo sia online; a maggior ragione per simili
personalità; ricordiamo comunque che Salieri ha musicato un altro poema d
Mazzolà: La scola de’ gelosi (1778), talvolta ripreso col titolo L’amore
in contrasto.
[2] 2 Riferendosi alla tradizione
satirica avviata da Francesco Berni nella prima metà del Cinquecento, senza
essere tra le più ricorrenti, la definizione non è un’eccezione sul
frontespizio dei libretti d’opera italiani del Settecento; sull’uso, unico in Goldoni,
cfr. anche l’ottima tesi di MICHELE GEREMIA, “Il mondo alla roversa o sia Le
donne che comandano” di C. Goldoni–B. Galuppi: introduzione storica ed edizione
critica, vol. I, Università degli studi di Padova, Padova s.d. [2015], p. 15
(in seguito rimanderemo al saggio con la sigla MG, seguita dal rinvio al volume
e alla o alle pagine).
[3] Data la fama di Goldoni e di
Galuppi, paragonabile almeno a quella di Mazzolà e di Salieri, ci limitiamo a
rievocare i libretti del primo per il secondo, perlopiù di stampo giocoso: Gustavo
I re di Svezia (1740), Oronte re de’ Sciti (1741), Bertoldo,
Bertoldino e Cacasenno (1749), L’Arcadia in Brenta (1749), Arcifanfano
re dei matti (1750), Il mondo della luna (1750), Il
paese della cuccagna (1750), La mascherata (1751), Il conte
Caramella (1751), Le virtuose ridicole (1752), La calamita de’
cuori (1753), I bagni d’Abano (1753), Il filosofo di campagna
(1754), Il povero superbo (1755), Le nozze (1755), La diavolessa
(1755), Le pescatrici (1756), Il re della caccia (1763), La cameriera spiritosa
(1766), Il cavaliere della piuma (1770), oltre alla farsetta La
cantarina (1756), all’oratorio L’oracolo del Vaticano (1758), agli
intermezzi La ritornata di Londra (1759) e al pastiche La donna di
governo (1764). Si aggiunga che nel 1774 Salieri musica la propria versione
della Calamita de’ cuori di Goldoni, ma nella versione rivista da Giovanni De
Gamerra, e che prende in esame due volte Il talismano, dapprima in
collaborazione con Giacomo Rust, che ne compone gli atti II e III, nel 1779,
quindi in una versione completa, nel 1788, nella revisione di Lorenzo Da Ponte;
in ultimo, esiste pure un adattamento della Locandiera, del 1773, ma con testo
di Domenico Poggi.
[4] Cfr. anche IGNAZ VON MOSEL, Über
das Leben und die Werke des Anton Salieri, Wallishausser, Wien 1827, pp.
66–67, RUDOLPH ANGERMÜLLER, Antonio Salieri. Sein Leben
und seine weltlichen Werke unter besonderer Berücksichtigung seiner ‘grosses’
Opern, Teil I, Katzbichler, München 1971, pp. 54–55, 193,
223 e JOHN A. RICE, Antonio Salieri and the Viennese opera, The
University of Chicago Press, Chicago–London 1998, p. 537 (sigla JAR).
[5] IL MONDO|ALLA ROVERSA|O SIA|LE
DONNE|Che Comandano.|DRAMMA BERNESCO|PER MUSICA|DI POLINESSO FEGEJO PASTORE
ARCADE|Da rappresentarsi nel Teatro|TRON di S. CASSIANO.|L’AUTUNNO DELL’ANNO
MDCCL.|IN VENEZIA, MDCCL.|Presso Modesto Fenzo.|CON LICENZA DE’ SUPERIORI.,
edizione cui rimandiamo per tutte le citazioni ulteriori, indicando gli atti
con numeri romani e le scene con numeri arabi. 7 Al riguardo, cfr. pure PAOLO
CATTELAN, Dandula. L’ultimo sorriso di Mozart, Marcianum, Venezia 2013, p. 44
(PC).
[6] Al riguardo, cfr. pure PAOLO
CATTELAN, Dandula. L’ultimo sorriso di Mozart, Marcianum, Venezia 2013,
p. 44 (PC).
[7] Sulle allusioni mitologiche, pur
con approccio diverso, cfr. anche MGI, 20–22.
[8] Sulla fortuna del titolo e sulle
varianti dei libretti, cfr. MGI, 23–69. 1
[9] Cfr. BALDASSARRE GALUPPI, Il
mondo alla roversa, Bongiovanni, Bologna 1997 (GB2230/32–2) e BALDASSARE
GALUPPI, Il mondo alla roversa, Chandos, Colchester 2001 (CHAN0676).
[10] «Sot opera», benché ne apprezzi la
partitura: «Belle musique» (Tagesbuch des Grafen Johann Karl Chr. H.
Zinzendorf. Original-Manuskript in französischer Sprache, 1761–1813, in data 13
gennaio 1795, citato da JAR, 545).
[11] Cfr. ANTONIO SALIERI, Il mondo
alla rovescia, Dynamic, Genova 2010 (CDS 655/1-2). 13.
[12] L’ISOLA|CAPRICCIOSA|DRAMMA
GIOCOSO|PER MUSICA|DA RAPPRESENTARSI|NEL NOBILE TEATRO|DI SAN SAMUELE|IL
CARNOVALE DELL’ANNO|1780|IN VENEZIA, |MDCCLXXX.|Presso MODESTO FENZO. |CON
LICENZA DE’ SUPERIORI., p. 3.
[13] Ricorriamo all’edizione
disponibile online: CATERINO TOMMASO MAZZOLÀ–ANTONIO SALIERI, Il mondo alla
rovescia (http://www.librettidopera.it/monrove/monrove.html).
[14] 5 Per il titolo goldoniano, cfr.
il riassunto assai particolareggiato di MGI, 9–14; per quello di Mazzolà, cfr.
JAR, 537–543, e, in quattro lingue, sull’opuscolo allegato alla registrazione
di ANTONIO SALIERI, Il mondo alla rovescia, pp. 12–15.
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