Luce d'Eramo: dai bombardamenti di Roma a quelli di Magonza. Un percorso di autodefascistizzazione (I parte) (CRITICA LETTERARIA) ~ di Viviana Agostini-Ouafi - TeclaXXI
CRITICA LETTERARIA
Viviana Agostini-Ouafi
Luce d’Eramo, dai bombardamenti di Roma a quelli di Magonza –
Un percorso di auto-defascistizzazione
PARTE PRIMA
La Seconda Guerra mondiale segna nella vita della scrittrice Luce d’Eramo (Reims 1925- Roma 2001) due date fondamentali: il 19 luglio 1943, come studentessa del GUF, si porta volontaria a Roma per aiutare gli sfollati dopo il bombardamento avvenuto al mattino (1400 morti, 6000 feriti) e il 27 febbraio 1945, allorché resta gravemente ferita in Germania, dove è ricercata dai nazisti e si nasconde sotto falso nome da vari mesi, in seguito al bombardamento di Magonza (1209 morti). A partire dal bombardamento di Roma inizia in lei una dolorosa presa di coscienza (dapprima della realtà della guerra e poi del fascismo. A causa del bombardamento di Magonza, resterà agonizzante quasi un mese (gli anglo americani liberano la città il 22 marzo) e poi per sempre paralizzata dalla vita in giù.
Due suoi testi, i più autobiografici, raccontano entrambe le esperienze: il racconto Il 25 luglio, scritto quasi a caldo nell’agosto 1943 (ma pubblicato solo nel 1999 e riedito in Tutti i racconti da Elliot edizioni nel 2013), e il romanzo Deviazione (uscito nel 1979 e riedito nel 2012). In Deviazione Luce d’Eramo narra la sua esperienza traumatica della Germania nazista dal febbraio 1944 - quando fugge di casa, in contrasto col padre che lavora nell’ufficio propaganda della RSI a Salò, e va volontaria in Germania come operaia - al ritorno in Italia nel 1945, e poi riflette sulle molteplici difficoltà incontrate dal 1953 al 1977 per scrivere le sue memorie.
Il 25 luglio è il racconto dello svelamento delle menzogne su cui la diciottenne Lucia ha costruito la sua esistenza, assecondate fin dall’infanzia dalla madre, ma personificate dalla legge del padre che già nel 1927 è segretario del fascio di Reims e poi, verso la fine anni Trenta a Roma, addetto alla propaganda nell’Aeronautica Militare. L’adolescente affronta, a partire dal luglio 1943, un rapporto sempre più conflittuale col padre e che resterà per certi aspetti irrisolto (non ci sarà mai tra loro un vero chiarimento): il racconto mostra come una solida e serena educazione fascista si incrina di fronte agli eventi del luglio 1943. La ragazza comincia a dubitare delle verità che le sono state trasmesse nel suo ambiente familiare e si innesca in lei un processo drammatico e irrefrenabile di auto-defascistizzazione che la porterà 6 mesi dopo a scappare in Germania per verificare di persona se suo padre le mente sul nazifascismo. Gli eventi scatenanti sono dapprima il bombardamento di San Lorenzo e le sue conseguenze, poi l’arresto di Mussolini, “il tripudio” popolare per la caduta del fascismo, ma anche e soprattutto la paura, il sospetto indotti dalla dittatura nella gente comune e nei contadini che incontrerà sul trenino da Alatri a Roma il 27 luglio mattina. Si tratta di un viaggio che si può definire iniziatico, giacché la persona che scende dal treno non è più la stessa che vi era salita, indossando in forma di sfida l’uniforme di studentessa fascista. La giornata passata a Roma farà poi il resto.
Deviazione ci mostra invece nella sua forma sconnessa cronologicamente e tormentata la difficoltà di raccontare l’esperienza vissuta dei lager tedeschi al ritorno in patria: la testimone è una giovane fascista andata nei campi di lavoro di sua spontanea volontà e ritornata antifascista invalida.
I temi che tratta come donna sono «scomodi» o non centrali, non solo nell’immediato dopoguerra, ma anche in tutta la seconda metà del Novecento: non censura la questione degli stupri di guerra o fascisti, della prostituzione nei campi di lavoro e nei lager, tratta temi che non sono stati oggetto di grande attenzione storiografica nel secondo Novecento, ma lo divengono nel nuovo millennio, come le deportazioni dei lavoratori in Germania e i bombardamenti delle città.
Il primo racconto di Luce d’Eramo è narrativamente già una prova matura: inizia con un quadretto notturno poetico (la luna, Leopardi e il frinire delle cicale) in cui irrompe l’annuncio dell’arresto di Mussolini fattole da una coetanea che le grida gioiosamente «Evviva la libertà!», mentre una delle sue zie commenta: «Allora l’hanno ammazzato quel tiranno farabutto?» L’amica e la zia, con sua grande sorpresa, si sono tolte la maschera fascista! I rumori più incredibili su Mussolini sono ora fatti circolare dalla folla che è come ubriaca di gioia e questa desacralizzazione la stupisce (Mussolini sarebbe impazzito per la sifilide e ossessionato dalle donne...). Nel momento in cui l’amica evoca i genitori di Lucia che sono a Roma, entra in scena come un flashback il bombardamento del 19 luglio, una parentesi narrativa che equivale a una sospensione temporale, quasi fosse un pensiero trasognato. In verità, questa dimensione sembra anche surreale nella misura in cui i pochi giorni che Lucia è rimasta a Roma per occuparsi degli sfollati è stata felice, si è potuta muovere in autonomia, sperimentare la sua capacità di azione, la sua efficacia operativa. Senza chiedere il permesso ai genitori, si è presentata alla sede del GUF a Palazzo Braschi per rendersi utile: le hanno affidato una bicicletta e una cinquantina di sfollati in una scuola del Testaccio. Ma il 24 mattina suo padre, rimproverandola per la sua incoscienza, l’ha rimandata ad Alatri dalla nonna: «La mia felicità aveva durato solo 4 giorni». Si era occupata di trovare viveri, vestiti, distribuire pacchi, spazzare, cullare i bambini dei suoi senza tetto... Una piccola mamma fascista altruista. Siccome le donne in stato di gravidanza avanzata dormivano per terra come tutti gli altri sfollati, il segretario del GUF, un certo G. (lettera puntata che si ritrova anche altrove nel testo e pure in Deviazione, ma con funzioni censorie diverse), asseconda la sua idea di cercare materassi per queste donne incinte, ma nessuno degli indirizzi che le dà le sarà utile. Trova invece i materassi, grazie a un amico rumeno antifascista (con cui ha una storia d’amore) nella Casa dello Studente che è stata in parte bombardata: «Mentre il cielo si striava di rosa, giungemmo a San Lorenzo e fummo accolti dai contorni discordi e sofferenti dei muri fratturati. Una puzza di bruciato, dovunque in terra schegge di mobili, lembi sfrangiati di stoffe e mucchi di cenere. [...] Passando davanti al [cimitero] del Verano fummo investiti da miasmi nauseanti. Anche le tombe erano state colpite. La meravigliosa chiesa di San Lorenzo era distrutta, disossata, giaceva. Fu il mio primo contatto corporeo con la guerra» (p. 28). Questo è il solo passaggio in cui la morte aleggia nel racconto e non a caso il rapporto è corporeo. Torneremo su questa sensibilità tipica della narratrice che si può definire «fenomenologica».
Ritornata alla sede del GUF dopo aver trovato i materassi, non vogliono rilasciarle un buono per ritirarli. Ma lei prende di nascosto la carta intestata e un timbro del GUF e parte con una camicia nera che guida un camion. Telefona poi verso mezzanotte alla sede per far sapere che porta i materassi alla scuola del Testaccio, e là trova il segretario G. con un paio di dirigenti universitari. La narratrice dice allora: «[Volevano] presiedere la distribuzione dei miei materassi. Mi vergognai per loro. Mi sembrava una solennità inopportuna. Bisticciai pure perché volevano dare qualche materasso a persone diverse da quelle alle quali li avevo destinati [...] e feci chiamare le mie donne incinte». (p. 29). Lucia vorrebbe il giorno dopo recuperare altri materassi per darli a vecchi e bambini, ma suo padre alle tre di notte l’attende all’uscita della scuola... Prima di partire Lucia ha però avuto «il piacere di vedere le donne dal ventre gonfio e teso e dal respiro rapido e faticoso distese supine sui materassi» e dice: «Alcune dormivano, altre mi scorsero e mi sorrisero ammiccando» (ibid.). La solidarietà nei confronti delle donne in stato di gravidanza è prioritaria ai suoi occhi: solo la sensibilità di una donna poteva forse concepirla, ma anche nelle sue attività fasciste c’erano opere a favore di orfani di guerra e di ragazze madri (p. 31). Grazie alla sua caparbietà esce vittoriosa anche dallo scontro con il segretario del GUF (tipo indolente, incompetente e, constateremo poi, anche codardo). Costui, dopo averla con altri fascisti del GUF ostacolata nel cercare i materassi, è pronto ora a raccogliere i frutti del lavoro altrui. Il flashback termina così con l’amica che le dice «Sei caduta in trance?» L’inserzione nella narrazione del lungo racconto del bombardamento costituisce quindi una digressione temporale, rispetto al racconto principale, che potrebbe essere durata anche meno di un minuto...
Poi, nella notte insonne, turbata dal trauma della caduta del fascismo, incapace di piangere, Lucia rivede tutti i documenti che attestano il suo ineccepibile percorso fascista: le sue dieci tessere di Piccola Italiana (dall’età di 4 anni), il diploma di Croce al merito, i certificati dei Littorali vinti, la nomina del GUF di Roma a segretaria della sezione dei Rumeni ecc. Medita sulla legge del Duce e del padre che incombe su di lei e decide che è suo dovere andare a Roma. Aspettando che giunga l’ora del primo treno del mattino per recarsi nella capitale, ripensa alla sua vita in Francia con i genitori che si occupavano degli immigrati italiani. Si sente totalmente in sintonia con loro: fascista per eredità, educazione e affettuosa riconoscenza. Parte infine verso la stazione di Alatri vestita con la divisa fascista: la sahariana di lana nera, la gonna a pieghe, il fazzoletto azzurro con lo stemma nizzardo.
VIVIANA AGOSTINI-OUAFI
BIONOTA
Viviana Agostini-Ouafi è professore associato di lingua, civiltà e letteratura italiana all’università di Caen Normandia. Si occupa di storia, teorie e pratiche della traduzione: Dante in Francia, Proust in Italia, archivi di traduttori. Co-dirige un sito web plurilingue di memorie di guerra e la rivista Transalpina.
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