Luce d'Eramo: dai bombardamenti di Roma a quelli di Magonza. Un percorso di autodefascistizzazione (II parte) (CRITICA LETTERARIA) ~ di Viviana Agostini-Ouafi -TeclaXXI

 CRITICA LETTERARIA

 

 

Viviana Agostini-Ouafi

 

Luce d’Eramo, dai bombardamenti di Roma a quelli di Magonza –

Un percorso di auto-defascistizzazione

PARTE SECONDA

N.B. La prima parte è stata pubblicata da TeclaXXI il 25 aprile 2025 qui



Il percorso in treno è però una doccia fredda, ci sono braccianti agricoli, piccoli commercianti, borsari neri, uno di loro dice «Quel puzzone è finalmente caduto in trappola», un altro aggiunge «Dopo averci buggerati tutti quanti per vent’anni, a zozzone!», e un terzo conclude «chi di vigliaccate ferisce, di vigliaccate perisce...» (p. 37). Sentendosi in territorio così ostile, pensa alla mamma che non si è mossa da Roma perché per una donna è pericoloso viaggiare da sola, e lei è oltretutto in divisa. La festa intorno a Lucia aumenta con clamori gioiosi e questo la tortura. Inizia finalmente a piangere pensando che accorrono tutti a Roma per accertarsi che il fascismo è caduto, «per partecipare al tripudio. Quale tripudio, quand’era nato tutto quel livore?» Siccome parlano della guerra e dicono che è finita, Lucia prova sollievo: si dice che è per questo dunque che sono contenti, per la fine della guerra. Ma due uomini benvestiti di fronte a lei elencano «i delitti e gli orrori del fascismo con un’acredine che [la lascia] di stucco» (p. 39). Non sono come i contadini euforici o contenti, ma preoccupati. Poi la gente la nota e comincia a temerla: «È una spia, a Roma ci denuncerà», «I Tedeschi ci aspettano alle Vicinali per deportarci in Germania, è tutto pianificato...». Capisce che la sua divisa incute loro terrore. Ma uno dei due uomini ben vestiti osserva che «tutti i popoli incolti hanno bisogno di un periodo di dittatura. La libertà si conquista con la civiltà, altrimenti degenera in disordine» e l’altro conclude: «E ricompare il manganello» (p. 40). Lucia si domanda com’è possibile che tutti possano pensare in quel vagone che una ragazza ben educata come lei possa essere «una delatrice senza scrupoli», «che un regime durato più di vent’anni [abbia] generato un tale terrore nella povera gente» e afferma a voce alta singhiozzando «Comunque io non vi avrei mai denunciati».

Il treno si è nel frattempo fermato in aperta campagna, davanti a un campo di addestramento estivo DUX, quello dei battaglioni M. (battaglioni Mussolini, battaglioni della Morte) è circondato da poliziotti e carabinieri armati per impedire disordini. La gente tratta i giovani fascisti issati sul muro del campo di «scervellati», qualcuno corregge gridando loro «SCELLERATI». C’è chi li ammonisce, chi si preoccupa e vorrebbe aiutarli, e certe donne danno loro sigarette. Lucia pensa: «Forse le donne hanno più cuore veramente» e senza pensarci apre il finestrino e sventola il fazzoletto nizzardo. Il suo gesto, riconosciuto dai giovani, provoca un moto che rischia di destabilizzare la situazione, un poliziotto le ingiunge di scendere, la gente in treno l’allontana dal finestrino e le fa schermo mentre il treno riparte. La gente nel vagone le dice che «la vita non è come si legge sui libri, ci vuole molta prudenza», che «Riflettere, ponderare, fa parte della vita». Qualcuno la definisce «una fanciulla smarrita». Allora Lucia comincia a singhiozzare e articolando con difficoltà, domanda in cosa si possa ormai credere, che cosa sia vero: «Quello che dicevano prima o quello che dicono ora?». «Quello che dicono ora», le viene risposto. E uno soggiunge: «La miseria che la circonda non le dice niente? Le donne con le cioce ai piedi e le ceste in testa al tempo della radio e degli aerei intercontinentali, dopo vent’anni d’un presunto governo in difesa dei proletari, non le aprono gli occhi?» (p. 42).

C’è poi un post-scriptum del 1999, in cui Luce d’Eramo spiega che non ha più trovato il resto del racconto ma spiega, in sintesi, che la sede del GUF era occupata dai carabinieri: uno di loro l’aveva portata fuori fingendo di arrestarla e l’aveva spinta in un bar dicendole, riferito alla divisa, di togliersi «quella pagliacciata». E aveva aggiunto: «Ma te voi svejià?». Lei aveva telefonato al segretario G. (Garrone) che le aveva detto di non averla mai vista né conosciuta. Commento di Luce: «Tutti i giovani fascisti a cui telefonai se la facevano sotto». L’amico rumeno le portò una gonna di ricambio, e lei nascose in un sacchetto la sahariana, la gonna a pieghe, la cravatta e il fazzoletto nizzardo. Poi lui l’accompagnò al treno. Scrive in conclusione Luce d’Eramo: «La mia odissea era finita».

In verità, la sua tragica odissea comincerà il 2 febbraio 1944. E ci saranno molti bombardamenti che accompagnano il suo soggiorno di lavoratrice, poi di prigioniera e infine di clandestina in Germania, tutti con connotati diversi: quello, per esempio, inizio giugno 1944 che sabota suo malgrado lo sciopero generale nel Lager di Frankfurt-Höchst della fabbrica IG Far ben organizzato dai partigiani francesi, dai deportati russi e polacchi e da Lucia (Nel Ch 89, 1975, p. 234-241) e per il quale verrà arrestata. Rimandata in Italia dopo aver tentato il suicidio, si fa arrestare a Verona dalle SS il 2 agosto 1944 ed è deportata nel campo di concentramento di Dachau, da qui tre mesi dopo riuscirà invece a fuggire proprio grazie a un bombardamento che avviene mentre lavora con le squadre esterne che ripuliscono le fogne della città di Monaco, conosce poi un giovane normanno, come lei ormai clandestino, che durante i bombardamenti ne approfitta per rubare nelle case. In uno dei racconti di guerra, scritto nel 1956, fuggita da un campo di lavoro della BMW (dove lavorava sotto falso nome) si ritrova in centro a Monaco e subisce come gli abitanti i violenti bombardamenti del 18 dicembre 1944. Ma finora era sfuggita indenne a questi bombardamenti. A Magonza invece, il 27 febbraio 1945, quando ormai la liberazione della città è alle porte, per salvare dei tedeschi che si pensa siano rimasti intrappolati in cantina, un muro le cade addosso e si ritrova gravemente ustionata dalle bombe al fosforo, con spalla slogata, molte costole rotte, bacino fratturato, trauma cranico e soprattutto paralizzata dalla vita in giù. («Finché la testa vive», p. 108). Ricostruirà la sua storia solo nel 1961 partendo dalla memoria percettiva, dalle sensazioni provate sulla propria pelle in senso proprio, non figurato, con un approccio quindi eminentemente fenomenologico.

Lungi da qualsiasi manipolazione ideologica o obbiettivo egocentrico, Luce d’Eramo trasforma un’esperienza di morte (resterà 20 giorni nell’obitorio di fortuna dell’ospedale in mezzo ai morenti) in un’esperienza iniziatica di sopravvivenza. La sua scrittura svela il potere terapeutico e sacralizzante della letteratura. Se la giovane Lucia scrive Il 25 luglio attuando una ricerca stilistico-poetica per esprimere il trauma da lei vissuto nello scoprire le menzogne dei suoi genitori sulla natura del regime fascista, la scrittrice adulta sopravvissuta agli orrori della guerra è mossa da una necessità o da un imperativo esistenziale e etico. L’empatia che Luce/Lucia prova nei confronti di tutte le vittime della Seconda Guerra mondiale la obbliga fin da giovane a scelte, che vanno controcorrente e che pagherà a caro prezzo. La sua auto-defascistizzazione costituisce ai nostri occhi un doloroso e onesto processo di presa di coscienza e di responsabilizzazione, cognitiva e umana, che la scrittrice è riuscita a verbalizzare facendo dei traumi subiti un messaggio pieno di vita, creatività e saggezza.

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[Il testo riprende una conferenza inedita, che è stata presentata all’Università di Siena l’11 aprile 2024 nella giornata di studi: «Guerra, Resistenze, Liberazione. Sguardi di genere».

 

Bibliografia

Opere citate:

- Luce d’Eramo, Il 25 luglio, in Id., Racconti quasi di guerra, Mondadori, Milano, 1999; ora in Id., Tutti i racconti, C. Bello Minciacchi (a cura di), Roma, Elliot Edizioni, 2013, p. 23-42.

- Luce d’Eramo, Deviazione, Mondadori, Milano, 1979; Feltrinelli «Le Comete», 2012.

Studi dell’autrice:

- Viviana Agostini-Ouafi (a cura di), Dossier Luce d’Eramo: des bombardements de Rome à ceux de Mayence (19 juillet 1943-27 février 1945) [introduzione e note a Le 25 juillet (testo integrale, trad. A.-S. Chauvet, V. Agostini-Ouafi) e a «Sous les pierres» (da Le détour, trad. C. Lucas, Parigi, Denoël, 1979, p. 95-110)], in Sous la glace et les débris du temps. Front de l’Est et bombardements en Europe, C. Bérenger, V. Agostini-Ouafi (a cura di), Parigi, Indigo et côté femmes éditions, 2017, p. 307-358.

- Viviana Agostini-Ouafi, «Verità narrativa e vissuto esistenziale nel «(meta)romanzo» autobiografico Deviazione di Luce d’Eramo», in Luce d’Eramo. Un’opera plurale crocevia dei saperi, M. P. De Paulis, C. Lucas Fiorato, A. Tosatti (a cura di), Roma, Sapienza Università Editrice, 2019, p. 209-225.

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VIVIANA AGOSTINI-OUAFI


BIONOTA

Viviana Agostini-Ouafi è professore associato di lingua, civiltà e letteratura italiana all’università di Caen Normandia. Si occupa di storia, teorie e pratiche della traduzione: Dante in Francia, Proust in Italia, archivi di traduttori. Co-dirige un sito web plurilingue di memorie di guerra e la rivista Transalpina.

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