I caffè storici di Milano tra costume, arte e letteratura (LUOGHI STORICI) ~ di Giovanna Romanelli - TeclaXXI

 I CAFFÈ STORICI


I caffè storici di Milano tra costume, arte e letteratura

di Giovanna Romanelli





Parlare dei caffè storici di Milano è impresa ardua poiché la città, già prima dell’Unità d’Italia, ne era riccamente popolata e la loro diversa storia segue percorsi complessi di trasformazione, anche nella nomenclatura.

   Il più antico di tutti è considerato il Caffè dell’Orto poi Caffè degli Artisti presente già prima del 1797 in Piazza del Gran Teatro; si pensi, ad esempio al Caffè delle Sirene (prima dei Virtuosi, poi dei Pompieri) situato ai primi dell’Ottocento tra Piazza del Gran Teatro e angolo Case Rotte, frequentato dai coristi della Scala. Il più famoso caffè scaligero ha assunto nel tempo diversi nomi: Caffè del Teatro o della Scala, Cambiasi, Martini, Cecchina, Du Jardin alla Scala. Vale la pena ricordare tra gli altri il Caffè Sanquirico (già Caffè Armeno) frequentato da Stendhal, il Caffè Cappello, in contrada Cappello (divenuto poi nel 1841 Caffè Peppina), che fu luogo d’incontro dei cospiratori contro il regime austro-ungarico.  

   Dell’importanza dei caffè milanesi ci parla anche la famosa rivista «Il Caffè», fondata dai fratelli Pietro e Alessandro Verri, simbolo dell’Illuminismo lombardo. È la prima rivista che dà risalto al caffè come bevanda ma anche come luogo di incontro e scambio di idee. 

In genere questi caffè sono luoghi in cui si incontrano e dialogano, ma anche si scontrano sul piano politico persone distanti tra loro: nobili e imprenditori, scapigliati, giornalisti e bohémien.

   Al tempo della Restaurazione la vita politica si fa più discreta: a Milano prevalgono i cospiratori, come ricorda Massimo D’Azeglio, quando nei caffè si potevano riunire gruppi antiaustriaci: il Caffè della Peppina era il luogo di incontro dei cospiratori democratici e repubblicani, il Caffè del Teatro era invece frequentato dai gruppi anarchici.

   Dopo l’unità d’Italia la città, che aspirava al ruolo di “capitale morale”, viveva altre preoccupazioni, cercava di ammodernarsi ma spesso questa tendenza sfociava in vere e proprie speculazioni edilizie.

Nei caffè si tornò allora a parlare di cultura fino a quando l’omicidio del re Umberto I, a Monza, non animò un nuovo dibattito, quello sull’interventismo e l’irredentismo. Carlo Carrà ne La mia vita racconta che al Caffè Campari, in Galleria Vittorio Emanuele II, la sala superiore era il quartier generale degli esuli trentini e degli irredentisti, e qui spesso si poteva incontrare Cesare Battisti.

Nella Galleria De Cristoforis si trovava un importante caffè, che ancora oggi gode di grande prestigio per la sua storia e i suoi eccellenti prodotti: si tratta del Caffè-pasticceria dei fratelli Marchesi.  Vi furono tre botteghe: nel 1890 fu aperta la pasticceria di via Santa Maria alla Porta, attiva ancor oggi e molto apprezzata per i suoi raffinatissimi prodotti, in particolare i panettoni farciti - vere e proprie opere d’arte - decorati con antica sapienza, esportati non solo in molti paesi europei ma anche in Cina e negli Emirati arabi. 

                                     esterno pasticceria Marchesi ©Giovanna Romanelli   

Nel 1895 fu aperta la pasticceria di Corso di Porta Romana. Era un ambiente elegante ed accogliente. Qui nacquero il gruppo pittorico del “Novecento” e la “Bottega di Poesia”; qui, ogni giorno, Funi, Marussig, Sironi, Carrà, Bucci discutevano le nuove tendenze della pittura.

La storia dei Caffè vive un nuovo forte impulso quando viene costruita la Galleria Vittorio Emanuele, che richiese due anni di impegnativi lavori (fu inaugurata il 15 settembre 1867).  

Provenendo dalla piazza del Duomo, il primo caffè che si incontrava era il Caffè Campari. Nei suoi sotterranei il signor Gaspare si dedicava alla preparazione dei liquori, in particolare, il Fernet Campari e il Bitter Campari universalmente diffuso. Questo è il Caffè che Boccioni raffigura nel dipinto Rissa in Galleria. Lo frequentavano personaggi illustri tra cui il re Umberto I, Puccini, Boito, Giacosa, Illica. Oggi non esiste più, resta invece, sul lato opposto dell’arco trionfale della Galleria, un bar nominato allora Camparino oggi noto come Zucca. Allora non c’erano tavolini ma solo un bancone in stile art nouveau che ancora oggi fa bella mostra di sé. Nel 1916 il Caffè fu rimodernato e vi furono aggiunte le sale del piano superiore.

La costruzione della Galleria Vittorio Emanuele II trasformò in modo decisivo l’aspetto di Milano: molti caffè, osterie, case vennero demolite per far posto ad un’opera adeguata a rappresentare il nuovo e moderno volto di Milano.  La prima pietra della Galleria fu posta da Vittorio Emanuele II il 7 marzo 1865, due anni dopo lo stesso re presenziò all’inaugurazione solenne della stessa. Qui sorgeranno alcuni dei più importanti caffè milanesi, centri di vita culturale, che oggi hanno, in parte, dimenticato il loro glorioso passato per essere solo simboli di lusso ed eleganza, luogo di attrazione per gente di spettacolo.

   Venendo da piazza Duomo il primo caffè che si incontrava era il Caffè Campari, il salotto privilegiato di Milano per lungo tempo. 

Una posizione di particolare privilegio era quella occupata dal Caffè Biffi, agli inizi del Novecento, era il più grande della Galleria e ne occupava l’Ottagono. Fu uno dei ritrovi più frequentati dalla borghesia milanese. Ai suoi tavolini sedevano impresari, tenori affermati, critici temuti, celebri musicisti. 

Di fronte al Biffi, verso via Ugo Foscolo, vi era Il Savini, che divenne ben presto il ritrovo preferito dei letterati e degli artisti. Filippo Tommaso Marinetti, scrittore e fondatore del Futurismo, aveva fatto del Savini il proprio rifugio. Si racconta che dopo le turbolente serate futuriste, Marinetti si rifugiava in quel luogo per festeggiare con i suoi amici il successo delle sue provocazioni nei confronti del pubblico. Divenne dunque il salotto artistico per eccellenza e ne furono frequentatori assidui Mascagni, Giordano, Puccini, Arrigo e Camillo Boito, Giacosa.


                               Caffè Savini oggi photo di ©Giovanna Romanelli

Al Savini si recavano tra gli anni Cinquanta e Sessanta vere e proprie celebrità e la loro presenza in quel luogo era una sorta di consacrazione nel mondo dell’alta borghesia milanese; sono gli anni del mito, quando ai tavoli del Savini si potevano ammirare la principessa Grace, la Callas e Onassis oppure la famiglia Falck. Ancora oggi i turisti possono vedere nella sala del primo piano il tavolo numero sette, quello riservato a Maria Callas.

                                  Caffè Savini, tavolo n. 7 al primo piano, riservato alla Callas


Caffè Cova (interno)


Anche il Caffè Cova ha una lunga storia: il primo Cova, fondato da Antonio Cova nel 1817, si chiamava Caffè Giardino che fu uno dei centri della mondanità cittadina fino al 1910, quando fu poi trasformato in ristorante. In grande ascesa era il Caffè Biffi-Scala (inaugurato il primo febbraio del 1932), più noto come il Caffè alla Scala per la sua vicinanza al Teatro. Collocato sotto i portici, di fianco al celebre Tempio della lirica, continuò la tradizione del Cova. Si racconta che qui, il sovrintendente Antonio Ghiringhelli convinse Maria Callas a tornare sul palcoscenico della Scala per la prima della stagione 1960-61. 

                                                        Caffè Cova (esterno)


                                                       Caffè Maldifassi 

 Storia artistica e particolarissima è quella del Caffè Giamaica che sorge al numero 32 di via Brera, proprio accanto all’Accademia di Belle Arti, luogo bohémien per eccellenza. Infatti parlare del Giamaica è parlare della storia di Brera ma anche dell’arte italiana del Novecento.



BAR JAMAICA ©Giovanna Romanelli

Inaugurato nel giugno del 1921, dotato di telefono e di macchina per il caffè espresso, fu luogo di incontro di intellettuali e artisti, ma in quegli anni il frequentatore più assiduo del Caffè era Benito Mussolini, allora direttore del giornale il «Popolo d’Italia». Si racconta che ogni mattina si recava al Giamaica a bere il cappuccino della signora Lina, la proprietaria storica, ma si narra anche che nel 1922 egli sparì senza pagare il conto, inaugurando così la lunga lista dei debitori. 

Il proprietario era Carlo Mainini che nel 1928 sposa la signora Adele Rossini, che diventerà la famosa “mamma Lina”, l’anima di quel luogo. Sarà allora che il locale, che prima si chiamava Fiaschetteria de mec (il riferimento è alla milanesissima “michetta” di pane), diventerà Il Giamaica grazie all’idea del musicologo Giulio Confalonieri che scelse il nome esotico ispirandosi al film di Hitchcok per contrastare il diffuso grigiore delle giornate milanesi. 

Il Giamaica fu frequentato, fin dal suo sorgere, da studenti e modelle, ma gli artisti diventano gli avventori più assidui a partire dal 1948, quando Elio Mainini attirò al Giamaica gli esponenti più importanti non solo della vita culturale milanese ma anche di quella nazionale. Divenne così il “Caffè degli artisti”. Giunsero al Giamaica artisti quali Pietro Manzoni e Lucio Fontana, Quasimodo e Bianciardi. Il giovane proprietario inaugurò allora un metodo di scambio interessante: quadri in cambio di cibo, macchine fotografiche prese a prestito, il tutto sotto la supervisione di “mamma Lina”, vera e propria mecenate. Giunsero poi i fotoreporter che, come pittori e scultori, volevano essere considerati degli artisti: erano Ugo Mulas, Mario Dondero, Alfa Castaldi, Carlo Bavagnoli e molti altri. Non mancavano scrittori, poeti e letterati, tra questi ricordiamo Germano Lombardi e Nanni Balestrini, Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo.

   Oggi di quel fervore artistico e letterario non resta più traccia ma solo qualche memoria di un tempo culturalmente vivace e pieno di pieno di nuove prospettive. Possiamo tuttavia pensare, con l’antropologo Marc Augé, che questi caffè restano testimonianze importanti attraverso le quali oggi possiamo «reimparare a sentire il tempo per riprendere coscienza della storia». 


                                              Interno pasticceria Marchesi ©Giovanna Romanelli

                                                              

GIOVANNA ROMANELLI


BIONOTA

Giovanna Romanelli laureata in Lettere classiche presso l’Università Cattolica di Milano, ha conseguito la specializzazione in critica letteraria e artistica e ha collaborato col progetto IRIDE presso la medesima università. Ha insegnato presso la Sorbonne (Paris III), è stata membro del comitato scientifico della Fondazione Cesare Pavese e presidente della giuria del Premio Letterario che dello scrittore porta il nome.


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