Adriano Olivetti – Un altro capitalismo era possibile? II PARTE Le esperienze della giovinezza (STORIA) ~ di Riccardino Massa - TeclaXXI
STORIA
Adriano Olivetti – Un altro capitalismo era possibile?
di Riccardino Massa
Il
fatto di essere figlio di un ebreo è stato un handicap per Adriano, anche se il
fascismo tollerò per un periodo la sua presenza visto che era anche figlio di
una valdese. Adriano non ha mai amato parlare della sua biografia, dai ricordi
dei fratelli e in particolare dalla sorella Silvia. Si è sempre sentito figlio
di due minoranze (l’ebraica e la valdese) e che questo fu uno dei motori del
suo particolare impegno ad elevarsi, quasi a dover dimostrare che, pur
appartenendo a delle minoranze aveva la stoffa dello statista. La memoria collettiva tende a non lasciare
tracce del pensatore e politico che fu Adriano, una figura veramente anomala
nel capitalismo italiano e non solo in quello della grande industria. Uomo
amato e odiato come lo possono essere solo i grandi statisti. Era un “Utopista
Positivo” come lo definì Ferruccio Parri? Oppure un feudatario da corte feudale
del neocapitalismo come venne definito con sferzante giudizio da Raniero
Panzieri? Un visionario che meditava un nuovo modello di società umana? Oppure
un arrivista calcolatore? Prima di scoprirlo vediamo quella che fu la sua
adolescenza.
“Fra questi amici ce n'era uno che si chiamava Olivetti, e io ricordo la
prima volta che entrò in casa nostra, vestito da soldato perché faceva in quel
tempo il servizio militare. Adriano aveva allora la barba, una barba incolta e
ricciuta, di un colore fulvo; aveva lunghi capelli biondo fulvi, che si
arricciolavano sulla nuca ed era grasso e pallido. La divisa militare gli
cadeva male sulle spalle, che erano grasse e tonde; e non ho mai visto una
persona, in panni grigio verdi e con pistola alla cintola, più goffa e meno
marziale di lui. Aveva un'aria molto malinconica, forse perché non gli piaceva
niente fare il soldato; era timido e silenzioso, ma quando parlava, parlava
allora a lungo e a voce bassissima, e diceva cose confuse ed oscure, fissando
il vuoto con i piccoli occhi celesti, che erano insieme freddi e sognanti.”
Così scrive di Adriano in Lessico famigliare
Natalia Levi Ginzburg, sorella di Gino che fu amico sincero di Adriano, ma
anche sorella di Paola che fu la sua prima moglie.
Tutto partì dalla frequentazione della Casa dei
Levi e in particolare di Gino che Adriano conosce la prima volta all’Università
e che ritroverà nell’estate del 1922 in un campeggio in Alto Adige. Dopo il
periodo estivo ritornano in treno insieme verso casa. Nelle lunghe ore di
viaggio imparano a conoscersi. Anzi, Adriano si apre addirittura alle
confidenze con questo nuovo amico. Gli parla della sua famiglia e soprattutto
della sorella Elena. Lei era la sorella maggiore, con la quale Adriano aveva un
rapporto speciale. Nell’adolescenza fu proprio lei ad aprirgli orizzonti
sconfinati, quando alla sera stavano a parlare per ore di letteratura (la
sorella stimolava in Adriano la passione per i grandi scrittori, come
Dostoevskij), oppure affrontando tematiche nuove del panorama culturale, come
gli scritti di Freud e della psicoanalisi.
Dopo l’intenso rapporto con la sua famiglia e
soprattutto con Elena e Massimo, era nata una nuova passione ad Adriano, quella
dell’amicizia con i Levi. Gino e Paola Levi trascorreranno parecchio tempo
insieme con Adriano. Adriano e Gino faranno insieme il servizio militare
dall’agosto del 1923 sino al giugno del 1924. Nel Natale del 1924 i due amici
affronteranno con gli sci la traversata da Cogne a Champorcher. Sorpresi dal
buio trascorreranno la notte di Natale all’agghiaccio in una baita abbandonata.
Sono esperienze che segnano una amicizia indissolubile. E poi c’è la
frequentazione di casa Levi, le cene con minestrina di dado e frittata fatte
dalla signora Lidia, madre di Gino. I discorsi con il capofamiglia Giuseppe, professore
di Anatomia all’Università di Torino, chiamato dagli amici Levi “pom”,
intendendo pomodoro per i suoi capelli rossi. E poi le gite in montagna con
Gino e Paola, al col d’Olen sopra Gressoney, quando Adriano si dichiarò a Paola.
Si sposarono nel maggio del 1927 a Torino, Ma sono anche gli anni fervidi e
formativi, dove prevale la voglia di gettarsi a capofitto nella lotta politica.
Vorrebbe combattere a fianco dei rossi, ma viene dissuaso e consigliato di
approfondire l’economia politica e studiare la realtà sociale, prima di
gettarsi in quella attività che, per via della passione, non gli avrebbe più
dato il tempo di vagliare attentamente le scelte. Così si interrogò sul
“Socialismo”, afferrando presto i segni del fallimento del disegno
massimalista. Nei suoi appunti si trova scritto:
“Dal 1919 al 1924, nei lunghi anni del Politecnico, assistei alla
tragedia del fallimento della rivoluzione socialista. Vedo ancora il grande
corteo del 1° maggio 1922 a Torino: duecentomila persone (probabilmente una stima esagerata dello stesso
Adriano,); sapevo che i tempi non erano ancora maturi, intuivo soprattutto
che la complicazione dei problemi era tremenda e non vedevo nessuna voce
levarsi a dominare con l’intelligenza la situazione e indicare una via perché
il socialismo diventasse realtà”.
Poi ci fu la reazione fascista e, dopo la
marcia su Roma, lo troviamo con Gobetti e con Carlo Rosselli che si incontrano
di nascosto sotto i portici di via Roma a Torino. Alla fine del ‘22 e nel
febbraio del ’23, Rosselli è a Torino e la casa dei Levi diventa un punto
d’incontro per gli amici del gruppo di “Rivoluzione Liberale”, la rivista
fondata da Gobetti. Tre giovani quasi coetanei che maturano l’opposizione al
regime fascista nascente, ma anche alla vecchia classe dirigente liberale
incapace di trasformare il Paese. Dopo il Delitto Matteotti, per Adriano è
venuto il momento di entrare in fabbrica. Ci entra anche l’amico Gino, assunti entrambi
come apprendisti nell’azienda di Camillo con la paga di 1,80 lire l’ora.
Prima di vederlo impegnato come operaio nella
azienda del padre, dobbiamo ancora soffermarci su alcuni aspetti della sua vita
giovanile intellettuale durante la sua maturazione adolescenziale. E lo
facciamo guardando all’ impegno giornalistico che fu poi l’elemento di
avvicinamento a Gobetti. Se già da piccolo aveva maturato la passione per la
scrittura avendo creato un giornaletto tutto suo che intitolò “Il passatempo”,
sarà col nascere della passione politica nel dopoguerra, che affinerà l’impegno
nel giornalismo. Dopo il terribile olocausto nelle trincee, i sommovimenti
sociali stavano ipotizzando la nascita di un mondo nuovo pieno di speranze
messianiche di fraternità e giustizia. Il giornalismo sarebbe stato il modo per
guidare gli animi umani verso questo futuro utopico. Seguì, un pochino, quelle
che erano già state le ambizioni del padre che aveva collaborato in passato con
“Il grido del Popolo”, quotidiano socialista di Torino, nonché al più influente
settimanale “La Sentinella del Canavese”. Il padre Camillo si spinse addirittura
a pensare di imbarcarsi nell’attività giornalistica e per un certo periodo, non
privo di mezzi finanziari, meditò di acquistare la torinese “Gazzetta del
Popolo” alla testa di una cordata di benestanti come lui. Ma poi si accontentò
di fondare ad Ivrea un settimanale, “L’Azione riformista”. Uscirà in stampa dal
14 agosto 1919 all’ottobre 1920. Su questo giornale cominciò a scrivere anche
Adriano con lo pseudonimo “Diogene” e con una propria rubrica intitolata
“Osservando la vita”. Una serie di editoriali che spaziavano dal costume alla
politica. Non risparmiò colpi contro il giolittismo secondo una ottica politica
salveminiana. In questa fase fu influenzato dal pensiero di un collaboratore
del giornale stesso. Giacinto Prandi. In
lui Adriano ricercava la figura di riferimento che sostituisse la figura
paterna. Ma ora Adriano trova un suo mentore (anche se hanno la stessa età) in
Piero Gobetti. Tanto è vero che già nel 1919 Adriano Olivetti aderirà al gruppo
che sostenne la prima rivista gobettiana “Energie nuove” ₂.
Sono gli anni nei quali si ragiona sul ruolo
degli intellettuali. Ben nota è la posizione di Antonio Gramsci, che propone un
nuovo tipo d’intellettuale, non separato dalla società e dalla classe
lavoratrice, ma impegnato nella sua emancipazione. Da questo punto di vista
Adriano, nei suoi scritti, si discosta da questa visione. Pur essendo critico
nei confronti dell’intellettuale vecchia maniera distaccato dalla società, Adriano
non condivide l’idea gramsciana di intellettuale “organico”, ma lo intende
piuttosto come l’eroe delle grandi trasformazioni che prendono avvio e impulso
dall’industria moderna e con essa dalla trasformazione della società. Un mito
di intellettuale che sarà realizzato in seguito con la sua guida dell’Olivetti,
quando nell’azienda inserirà fior di pensatori provenienti dalla più diverse
discipline. Nel 1920 il padre Camillo fondò a Torino un altro settimanale, “Tempi
nuovi”. Anche in questo caso in redazione troveremo Adriano. In questo
settimanale ci sarà spazio per parole d’ordine che derivavano da citazioni di
Carlo Cattaneo. Una proposta di federalismo regionalista a favore delle
autonomie. Una idea politica che lo seguirà anche nel secondo dopoguerra e che
all’epoca era sostenuta solo da “Critica Politica” ₃.
Quando nel 1924 entrerà in fabbrica al banco di
lavoro si accorgerà che i tempi sono cambiati nel giro di pochi anni. A fianco
degli autodidatti formatisi con i corsi di addestramento dello stesso Camillo,
primo nucleo di operai assunti dal padre, ora sono giunti i laurati come l’ingegnere
Dino Gatta che da Milano alla CGS ₄ ha seguito il capostipite per
assumere mansioni direttive. E poi l’ingegner Gino Modigliani ₅ che
iniziò a collaborare con Olivetti quando questa azienda in periodo bellico fu
trasformata per la produzione di sistemi di puntamento. E ancora l’ingegnere
Ferruccio Mariotti che si occupava di impianti e Giuseppe Pero, un alessandrino
laureato alla Bocconi in Economia e commercio, che diverrà ben presto direttore
amministrativo.
₁ Lettera di Adriano a Camillo, 22 settembre
1919.
₂ Il “Gruppo d’azione” di Torino, in >LUnità, Firenze,
12 aprile 1919, articolo non firmato.
₃ “Critica politica” prima quindicinale e poi mensile.
Gionale fondato nel dicembre del 1920 da Oliviero Zuccarini (Onorevole Repubblicano), il giornale
propagandò il federalismo ed ebbe come collaboratori figure come Gaetano
Salvemini, Arcangelo Ghisleri, Mario Pannunzio, Vilfredo Pareto. Nel 1926 fu
soppresso dal Regime fascista. Riprese le pubblicazioni dal 1945 al 1950.
₄ Ditta fondata da Camillo Olivetti di cui si parla nella
prima, “Le origini”
₅ Modigliani entra in azienda come ufficiale dirigibilista
per progettare magneti
RICCARDINO MASSA
BIONOTA
Riccardino Massa (1956) è nato nel “Canavese” (Piemonte centrale). Dal 1986 al 2020 ha svolto la professione di Direttore di scena al Teatro Regio di Torino. Ha ripreso la regia di Roberto Andò de Il flauto magico di Mozart nei Teatri lirici di Cagliari, Palermo e Siviglia, nonché la regia di Lorenzo Mariani de Un Ballo in Maschera di Verdi e quella di Jean Luis Grinda della Tosca di Puccini, entrambi al teatro Bunka Kaikan di Ueno in Giappone. Ha poi realizzato la messa in scena de L’Orfeo per il festival Casella e recentemente la ripresa della regia di Gregoretti del Don Pasquale di Donizetti al Regio di Torino.
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