Gattità o dell'indipendenza elegante e misteriosa (LINGUA ITALIANA) ~ di Silverio Novelli - TeclaXXI

LINGUA ITALIANA 

Gattità o dell’indipendenza elegante e misteriosa

di Silverio Novelli

 

 

 In modo dichiarato, affermo essere questo articolo frutto di una scelta di parte. Dalla parte dei gatti, poiché io sono amante dei gatti e da anni ospito gatti, i quali, a loro volta, mi concedono, in quanto servo dei loro irrecusabili bisogni, da loro interpretati come inalienabili diritti, di essere ospitato nella casa che loro, individuo peloso dopo individuo peloso nel corso delle generazioni, da quando vi entrano a bordo di un trasportino, al primo sguardo sciabolato dalla fessura verticale della pupilla, eleggono a proprio domicilio, hic et nunc trasformandolo in un principato felino.

Dopo aver dedicato questa rubrica ad alcune nobili parole embricate nella plurisecolare storia della lingua italiana, pur rimanendo nell’àmbito della sostantivazione astratta questa volta estraggo dal magazzino una parola nuova, un neologismo, gattità, felicissima neoformazione che è attestata nella lingua scritta da poco più di una quarantina d’anni. Gattità, leggiamo nel Vocabolario Treccani.it (e cito a ragion veduta, poiché si tratta di una voce che ho compilato io stesso, con l’aiuto del poeta e amico Domenico Adriano), è «[l]’essenza del gatto, nelle qualità che gli vengono attribuite da sempre, come indipendenza, eleganza, misteriosità».


Il meccanismo formativo della parola

Non voglio svilire l’aura fascinosa che gattità spande attorno a sé, a mio avviso riverberandosi anche tra chi non ama i gatti o è allergico agli acari morti che si annidano tra i loro peli o, ancora, tra chi parteggia – nel derby affettivo inventato da noi umani – per i cani, gli altri plurisecolari quattro zampe di casa. Non voglio svilire ma i princìpi fondanti di questa rubrica esigono almeno un paio di parole di descrizione tecnica del neologismo. Tanto fascinoso quest’ultimo mi appare, quanto è semplice il meccanismo formativo soggiacente alla sua struttura morfosintattica: si tratta di un denominale (ricavato cioè da un nome, gatto) con l’aggiunta del suffisso -ità, che da secoli nella nostra lingua (e da secoli ancora più lontani, indietro nel tempo, nel latino -itas) consente la formazione di sostantivi astratti (che poi, non di rado, possono assumere anche un significato concreto). Sono molti anche i nomi in -ità che hanno una base aggettivale (fugacità da fugace; il nome è attestato in italiano dal 1565). Spesso bisogna ricorrere a un buon dizionario etimologico (NON il Pianigiani che è presente gratis on line, perché è vecchio, spessissimo obsoleto e fallace) per scoprire se gli astratti in -ità sono nati in epoca romanza, quindi nella nostra lingua, o si tratta di adattamenti formali minimi di corrispettive parole latine prelevate dottamente da intellettuali pre-italiani e poi italiani in epoca medievale, umanistica ecc. fino a tutt’oggi. Un solo esempio: mentre fugacità è tutto italiano, cattività (dal XIV secolo nella nostra lingua) nasce per ricalco dotto del latino captivitas.

 

Sarcofago del gatto (Torino, Museo egizio). Silverio Novelli©2019

 

Poeti e scrittori

Torniamo al nostro gattità. È indiscutibile che il gatto sia un lare domestico e perfino una presenza totemica nelle case di scrittori e scrittrici, poetesse e poeti. Il poeta scrive, il gatto, silenzioso, osserva. Nel 1981 Gianfranco Palmery conclude così una delle sue più belle poesie dedicate ai gatti, compagni di tutta la sua esistenza: «[...] ma da solo la notte lotta nelle tenebre, / rischia con i suoi dèmoni e si slancia / fuori al mattino per un bagno / di luce, come un guerriero sfinito // o un bambino – punta uccelli che mai / prenderà; cerca il cibo, si appisola, si / spulcia: cura la sua faticosa gattità» (Mitologie, p. 24, Il Labirinto).

Due anni dopo, cogliamo una domanda, sulle labbra di Dario Bellezza (in Io, Mondadori), che suggerisce l’idea di una ineffabile superiorità del Felino sull’Umano: «Ma la gattità che cos'è? E dove / dovremo volteggiare per raggiungerla?» (Dario Bellezza, Io, Mondadori, 1983).

Mentre la parola comincia a diffondersi, nel millennio nuovo, anche al di là dello spazio poetico, in articoli di giornale e nel mondo internettiano, Vivian Lamarque, nel 2015, immagina un dialogo tra il gatto e l’umana, impegnata tra rime e ritmi, in casa. Significativamente lo scambio in versi si intitola Sua gattità:

- È quasi l’una, non si mangia oggi?

- Finisco questa riga.

- Potevi cominciare prima. Menu?

- Pollo.

- Ancoooora? Gradirei maggiore varietà.

- Agli ordini, Sua Gattità.

La gattità evoca il mondo dell’espressione artistica (per non parlare di religioni e miti). Non soltanto attraverso le pagine di un libro ma anche nella cinematografia. Rinaldo Censi, nel 2009, in un articolo comparso in nazioneindiana.com (2009), scrive dei film di John Gianvito, regista indipendente statunitense: «Ciò che colpisce a prima vista, ciò che emerge dai film di John Gianvito, prende piede quasi inconsciamente: possiede qualcosa di anodino e insieme cruciale. Si tratta di una certa “gattità”. Numerosi i gatti all’interno dei suoi film. Tanto che ci chiediamo se non ci sia qualcosa di felino nel suo fare cinema. Un gatto alla finestra, un gatto che buca l’inquadratura con il suo passo sonnolento ma preciso, un gatto che inaspettatamente balza, scatta preciso. C’è un gatto in noi?».


Altri parenti di gattità, con o senza Platone

Nascono altri neologismi e occasionalismi in -ità dopo gattità, va detto. Ma lo zampino del gatto, anche se indiretto, c’è sempre, almeno nel caso di cui scriverò brevemente ora. Tra i più recenti astratti in -ità c’è guerrità, un occasionalismo creato con intento fortemente ironico dal giornalista Aldo Grasso: «Che tristezza sentire certe frasi: “Io non penso che Putin sia il maggiore nemico che noi abbiamo di fronte in questo momento. Il nemico più mostruoso che sta di fronte a noi è la guerra. La guerra è mostruosa”. Ospite di Corrado Formigli a “Piazzapulita”, Michele Santoro si scopre filosofo: è irrilevante che un dittatore abbia invaso un Paese democratico, il mostro da sconfiggere risiede nell’iperuranio, è l’idea astratta di “guerrità”» (corriere.it, 3 aprile 2022, Padiglione Italia).

Questo guerrità non esisterebbe se Grasso non si fosse ricordato di un famoso precedente di àmbito animalesco di gattità, vale a dire cavallinità. Al filosofo cinico Antistene viene attribuita l’icastica critica della dottrina platonica delle idee («Platone, vedo il cavallo ma non la cavallinità»). Ma, nonostante la presunta paternità greco-cinica del termine originario, cavallinità perviene in italiano come traduzione di equinitas nel filosofo arabo medievale Avicenna («equinitas est equinitas tantum» ‘la cavallinità è semplicemente la cavallinità’).

La cavallinità è stata discussa ed è discutibile, la gattità è inoppugnabile.



SILVERIO NOVELLI










BIONOTA

Silverio Novelli si occupa da molti anni di lingua italiana. Tra le altre cose, ha scritto una grammatica scolastica (a sei mani), un paio di dizionari di neologismi (a quattro mani) e altri testi di divulgazione linguistica (a due sole mani, finalmente, le sue).

 


 

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